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Logica, argomentazione e analisi nella filosofia del linguaggio

Logica, argomentazione e analisi nella filosofia del linguaggio


Il punto di partenza di una nuova attenzione agli inganni del linguaggio comune si trova in Gottlob Frege, che come Aristotele vede nella logica uno strumento utile a chiarire confusioni concettuali. Il progetto di Frege si è in parte realizzato poichè alcune idee sono fallite, come quella di fondare la matematica sulla logica in base al suo linguaggio ideografico.

In compenso, Frege ha scoperto un intero continente intellettuale: la nuova logica e i problemi della filosofia del linguaggio. I filosofi dopo di lui, Russell, Wittgenstein e Carnap hanno usato la logica come strumento di lavoro. Diverse ambiguità del linguaggio hanno trovato chiarificazione.
Tradizionalmente si distinguono due correnti di pensiero nella filosofia del linguaggio:

I filosofi dei linguaggi formali che cercano, attraverso la formalizzazione, di ricostruire i linguaggi scientifici o cercano una formalizzazione dello stesso linguaggio comune (Russell, il Wittgenstein del Tractatus, Carnap, Reichenbach, Montagne);
I filosofi del linguaggio ordinario che cercano, attraverso le analisi degli usi correnti, di mo-strare la ricchezza e varietà del linguaggio, ma anche come alcuni problemi della filosofia pos-sano derivare da fraintendimenti linguistici (il secondo Wittgenstein, Austin, Ryle, Strawson).

La contrapposizione era molto viva nella prima metà del ‘900 e si è andata attenuando. Ma qualcosa della vecchia contrapposizione rimane vivo in quella che negli anni ’50 Strawson chiamava battaglia omerica, uno scontro tra due opposte fazioni:

chi privilegia lo studio del significato oggettivo degli enunciati determinato dalla loro struttura logica: questo atteggiamento è il paradigma dominante della filosofia del linguaggio;
chi privilegia lo studio delle intenzioni del parlante come punto di partenza per definire il significato delle espressioni linguistiche, privilegiando la pragmatica sulla semantica.

Fallacie


La fallacia è un argomento che sembra valido e corretto ma non lo è. Ne distinguiamo vari esem-pi. Nella petitio principi, la fallacia consiste nel dare per dimostrata o assumere tra le premesse la conclusione che si vuole dimostrare. Dà luogo ad argomenti circolari. Ad es. Dio esiste perché lo dice la Bibbia. Come fai a sapere che quanto dice la Bibbia è vero? La Bibbia è la parola di Dio.

Nella ignoratio elenchi si usano premesse che non hanno a che fare con la conclusione: ad es. questo delitto di cui Pio è accusato è orribile, quindi Pio è da condannare. Nell’ambiguità di composizione si prende la parte per il tutto, o i membri per la classe; ad es. i cani sono comuni, gli husky sono cani; quindi gli husky sono comuni. Nell’ambiguità di divisione, qualcosa vero del tutto si ritiene vero della parte: gli uomini sono numerosi, Socrate è un uomo, Socrate è numeroso.

L’affermazione del conseguente (se p allora q, ma q quindi p) è una fallacia formale perché viola una regola formale di deduzione, il Modus Ponens. Il quarto incomodo è detto di un sillogismo che sembra funzionare ma che in realtà usa uno stesso termine con due significati, quindi usa di fatto quattro termini: le cose ricercate sono care, i criminali sono ricercati, i criminali sono cari.

Tratto da INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO di Domenico Valenza
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