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Sarcofaghi

Sarcofaghi è il quarto componimento del ’23.
È un sarcofago su cui sono state scolpite delle fanciulle che vanno verso una valle: proprio perché scolpite le figure sono ferme.

Leopardi e Montale

Natura definita madre e non matrigna: contrario di Leopardi, anche se c’è un riferimento ai due componimenti sepolcrali sopra il ritratto di una bella donna e Sopra un bassorilievo antico. Per Leopardi la fanciulla che va sola nella morte è sicura pur nella sua mestizia:la donzella bellissima si dirige verso la fine di sé, andando da un luogo ad un altro luogo (contrariamente all’immobilità montaliana). In questo cammino ritrasforma per sempre in cadavere, spoglia: rimando al Bruto minore –ignota spoglia. Dice “non tornerai”: la grazia del morire risponde al vivere che è sventura, coincide con il  nulla attestato da una pietra, bassorilievo antico tombale (uguale al sarcofago di Montale), testimone di questa bellezza, che per Leopardi è il valore più alto. L’opposizione non è tra vita è morte ma tra bellezza e la sua fine. Il bassorilievo ci parla di un valore che in qualche modo si mantiene altrove, nel bassorilievo stesso: è un paradosso. Serie di domande metaforiche a cui non può rispondere.
Le donzelle di Montale dove vanno?

Leopardi e Petrarca

Non ci sono punti interrogativi come in Leopardi, le fanciulle non sono definite bellissime ma ricciute, con una sfumatura affettuosa. Il contesto è la loro casa, non vanno verso l’ignoto come per Leopardi, ma verso una dimora che produce un rasserenarsi dell’animo. Rappresentano  una funzione, come tutto il resto del paesaggio, che contribuiscono a definire: sono genius loci.  Il punto interrogativo che non c’è è dopo “mondo…chi può dire?” domanda sul livello di dissomiglianza con questo luogo. È la regio dissimilitudinis, l’eternità per Petrarca. Levità di forme: non c’è passaggio tra un mondo e l’altro, e se anche ci fosse non ci sarebbe la drammaticità leopardiana. È un mondo iconico, fulminato,  dove le donzelle non camminano e sono creature felici. “dove se ne vanno” significa “stanno”, in un’altra dimensione rispetto ai vivi che seguono la loro stella, il loro destino. Esse stanno nella loro eternità: il dolore della vita non è più percepito. “portate” è un esortativo, un’apostrofe, è un’esoratzione a questo atteggiamento lieve e formalmente imperfetto.  La domanda di Montale non è dove vadano, ma “chi può dire?” e le risposte non sono chiare. Il passo delle donzelle è leggero, diverso dal passo tragico di chi cammina cercando di conseguire il proprio destino(vedi il camminante di Lorca). Il gesto delle donzelle è accarezzato da una madre, non matrigna. Non lontano dall’arazzo di “quasi una fantasia”. Rispetto all’assunto di Leopardi (vivere è una sventura, morire una grazia) è qui perfettamente realizzato da Montale: la felicità è nell’inesistenza, e parla di dolore dell’esistenza che con un colto paradosso viene chiamata “morte”. La sua vita è paradossalmente chiamata morte, è l’essere nella morte di Agostino. Per chi è già di là l’aldilà è incommensurabilmente più felice. Con quella domanda Montale pone l’impossibilità di ogni spiegazione, nonostante quella bella descrizione dell’aldilà, verso cui c’è un’assillante, perentoria curiosità. Confronto con il “quaderno dei quattro anni”.
Nel disumano e LE prove generali: Montale, anche ultrasettantenne continua a fare tentativi: in  questo mondo dove tuttora una significato, non ha valore, non lo stesso, nell’aldilà. Anche Petrarca ha la stessa necessità di dire l’aldilà (Triumphus aeternitatis). Quando Petrarca pensa all’eternità e cerca di descriverla immagina un mondo più bello e giocondo,  esito di una distruzione e di un rifacimento. De civitate dei,ripresa da Agostino, e vivere secondo la carne riprende S.Paolo. L’eternità è il contrario del tempo, l’alterità assoluta rispetto alla successione dei movimenti: allora è libertà, ma anche Agostino ci va cauto: l’eternità è il non essere nella morte.  Quindi non basta il riferimento a Leopardi e Petrarca, si va fino ad Agostino. Petrarca per analogia, Agostino per differenza. Montale ci dice che bisogna buttar via il vecchio bagaglio, il noto e conosciuto, come un qualcosa che non sappiamo. L’eternità per lui è alla lettera il non pensabile con testa umana.
Montale è l’ultimo umanista, ma non ce la fa davanti a questa dimensione del disumano. Qui però Montale descrive accuratamente quel luogo, l’aldilà, tra l’altro rappresentato in modo felice. La curiosità metafisica è costante in Montale, vedi la sua attenzione per la conversione di Rebora “la voce di Dio è sottile”.
Montale
racconta in “fuori di casa” di una chiesa ad Edimburgo in cui c’è scritto “Dio non è”: qual è la soluzione? È possibile o no dire? Sembrerebbe di si in questa poesia, eppure c’è ambivalenza. La felicità di quelle creature così lievemente sospese non riguarda l’uomo che passa, che non ha asilo e seguita il suo giro esistenziale. L’unico modo in cui si avvicina a quel mondo è quando fa il gesto di offerta: ramicello che per un momento accompagna (anche tonicamente –ricciutelle) il tragico al non tragico. Quindi ancora una volta non  c’è una soluzione (vedi anche Xenia I : l’aldilà ouò vedere l’aldiqua? C’è rapporto, comunicazione?).

Tratto da MONTALE: OSSI DI SEPPIA di Federica Maltese
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