Analisi della poesia "Corno inglese" di Montale
Da una parte il vento, l’orizzonte di rame, il mare, la Natura che suona e risuona, dall’altro il cuore, scordato (non accordato/dimenticato) strumento. Accostamento colore-suono / buio-silenzio. Problema romantico della Natura, ponendosi il quale Montale rischia di cadere nel topos. Confronto con Wordsworth, The excursion, in cui si presentano le nozze tra intelletto raziocinante e sacro universo-Natura. Rispetto a questa posizione, a questa corrispondenza, Montale stabilisce piuttosto un’estraneità, facendo riferimento piuttosto all’eredità concettuale di Leopardi, e al sentimento di inappartenenza.
La Natura
Noi non sappiamo nulla della Natura pur sapendo di non essere Natura. Idea che la Natura debba compiersi: le malchiuse porte sono un nodo montaliano, che risente dell’eredità concettuale di Leopardi, che tuttavia tradisce. Citazione del passero solitario e della sua melodia in Sulla poesia del 1947. Non è un caso che Montale citi Leopardi quando deve stabilire la superiorità della Natura sulla Ragione. La Natura è già compiuta, l’Arte ci va vicino e ha i suoi scopi; rispetto allo scordato cuore ( scordato in quanto pesante) nella non pensante ma musicale Natura. Dal punto di vista gnoseologico è perfettamente leopardiano: l’uomo chiede almeno di essere visto, se non, cosa impossibile, di ritornare Natura.Mario Novaro fonda “Riviera Ligure” una rivista su cui scrivono anche grandi poeti. Scrive Murmuri ed echi nel 1912 preannunciando certi temi, come l’antisoggettivismo. È possibile parlare di dissolvimento di sé? È un’ambizione in un certo senso antitetica rispetto alla tradizione soggettiva di stampo occidentale-socratico. La dicotomia tra il creato e l’uomo è vissuta in modo drammatico da Montale: il versante simbolico è quello estetico decadente (D’Annunzio, Lawrence) poi rifiutato da Montale, che accentua e descrive la velleità di fondersi nella Natura. È un attivo stilistico, però, non concettuale. Non c’è il sublime dannunziano, è declinato in modo problematico, senza la sensualità, il piacere di perdersi di D’Annunzio. Confronto con la poesia di Lawrence tradotta da Giuseppe Conte. La Natura è una malchiusa porta sull’essere. Tutti questi elementi devono essere ricondotti allo spirito (Boutroux) attraverso quel verso che si apre. Mircea Eliade in “la nostalgie des origines” dice che il vettore sentimentale è la fonte del nostro comportamento storico. Qui integrazione di Montale: è la storia di un compimento possibile, di una religiosità senza virtù teologali. Le porte malchiuse sono i cancelli del cielo dell’Apocalisse. Montale descrive nello stesso tempo una possibilità e una mancanza: la possibilità dello spirito di compiersi e nello stesso tempo la mancanza di questo compimento, l’essere trattenuto dalla Natura al di là di questa porta. Sono versi danteschi, inferi. C’è la Natura che risuona, che ha una forza, ma che non ce la fa a compiersi, che tende verso gli alti eldoradi senza riuscirvi. La Natura di Leopardi era bastante, quella di Montale non è sufficiente a se stessa. C’è qui un salto logico fondamentale: il poeta è lontano ma anche vicino. Non è Natura, non è quell’è lan vital, quell’accordo fondamentale tra uomo e mondo. Non è Natura e non è ciò che non è ancora Natura, cioè l’essere. Dunque l’uomo è due volte lontano dal suo compimento. Il cuore quindi uno strumento scordato rispetto alla Natura, è anche tenebroso, è nel buio che va a finire perché non ce la fa. Scordato anche rispetto a ciò che in Natura va dischiudendosi. Inoltre, idea di insensibilità. Non muta il destino individuale il fatto che ci sia una probabile compiutezza della Natura. Vedi “A se stesso” di Leopardi: c’è stanchezza, solo più la capacità di disprezzare. È una poesia disperata. L’ultimo moto del cuore è il rifiuto di quel vuoto stesso, e dunque il ritrarsi in sé. Il cuore di Montale invece vorrebbe ricominciare a suonare, vorrebbe essere ripreso dalle mani della Natura. C’è il capovolgimento dell’eredità leopardiana. Montale va dalla quiete al desiderio di moto, e si augura che il cuore si avvicini alla Natura. Il vento è definito attento, si augura quindi che il cuore si affidi alla Natura. La concezione stessa di Natura è diversa: in Leopardi è un dio nemico che governa occultamente, in Montale è una forza a cui rivolgersi per suonare. Il retroterra è comune: la Natura è animata, ha una divinità in sé. La differenza è che in Montale la Natura è romanticamente intesa come anima, spirito, intelligenza. Confronta Shelling “sull’anima del mondo” (1798) ,la Natura è intelligenza immatura, non perfettamente matura. Individuo e Natura sono l’uno lo specchio dell’altro. Vicino a Montale anche in direzione del contingentiamo. La diversità tra Leopardi e Montale non sta tanto nella concezione della Natura (vista come forza, potere…) quanto nella sua relazione con l’uomo: rifiuto e distruzione per Leopardi,a attenzione e miracolo per Montale, disponibile nonostante il male radicale kantiano. Il cuore vorrebbe raccordarsi. La Natura è viva, è un dato di tipo più complesso rispetto a Leopardi. Essere riaccordato è l’aspirazione fondamentale del poeta, già accennata in rimanenze e pianissimo di Sbarbaro.
Nozione romantica di Natura. Lo schema di questo testo è semplice e ci riconduce allo schema leopardiano,con l’antagonismo uomo-Natura nella prima parte della poesia. L’armonia si realizza anche mediante la dissolvenza: il suono della Natura che è armonico ha in sé la dissonanza che viene riassorbita in armonia. Nuvole in viaggio: è in queste malchiuse porte che c’è la svolta in avanti di Montale rispetto a Leopardi: oltre al contingentismo francese di avverte infatti la sua eredità concettuale(non stilistica), seppur complicata, lievemente traviata. Testo del ’45 in cui Montale ci da una mano per capire se stesso. “ il passero solitario è il più flautato degli uccelli canori. L’armonia del suo canto è ineffabile”. Non è un caso che Montale citi indirettamente e dialetticamente Leopardi quando deve stabilire la superiorità della Natura sulla ragione. Su questo antagonismo fondamentale si reggono i canti leopardiani: c’è un’integrazione del pensiero razionale a partire dal pensiero mitico. Superiorità dell’espressione Naturale sull’espressione umana: la Natura è già superiore all’arte (vedi la pecora,superiore all’uomo nel canto notturno di un pastore errante, perché immediatamente felice), da cui l’invidia della ragione nei confronti della Natura. Ottavini: le api nel loro oblio industrioso sono beate,al contrario rispetto a questo scordato strumento, il cuore dell’uomo, scordato perché elucubrante, pensante (ossimoro), nella non pensante e musicale Natura (il vento, il mare). Il cuore è scordato perché si oppone al palpitare delle cose, queste cose che suonano,nelle loro variazioni, e rappresentano veramente l’armonia ineffabile della Natura, qualcosa di non traducibile. Di fronte a certe interpretazioni novecentesche ricordiamo che Montale vede nel poeta qualcosa di diverso dal pensiero,pur usandolo come vettore di poesia. Vocazione fondamentale del poetico,di essere altro da sé rispetto al pensiero. Anche la tromba marina con la sua inerte schiuma (dissonanza) e lo scuotere di canne (lamiere) contribuiscono ad introdurre l’elemento della dissonanza all’interno della sinfonia, rappresentandoli timbro di quest’aria musicale. La prospettiva, dal punto di vista gnoseologico, è quella leopardiana: l’uomo chiede alla Natura di essere almeno visto ( pietosa no, ma spettatrice almeno “primavera hitleriana), chiede che il proprio cuore scordato si riaccordi con la Natura. Chiede di pendere quel di più rispetto ad un ramo di pino scosso dal vento che è il pensiero, raccordandosi al suono. Montale vuole tornare Natura, a prima dell’autocoscienza, a prima dell’io. Confronto con Mario Novaro, poeta di Oneglia, ispiratore e in un certo senso padre degli altri poeti liguri. Nel 1910 fonda “Riviera ligure”,e nel 1912 scrive un libro ormai quasi dimenticato, “murmuri ed echi”, in cui preannuncia alcuni punti fermi del novecento (l’avventura non è di trovarsi, ma di perdersi). L’antisoggetivismo, tematica fondamentale ( nel 1915 tradurrà il libro di un taoista). Montale presenta le poesie cinesi: dice che la poesia cinese non ha sviluppo, non ha portato nessuna variante, al contrario della poesia occidentale. Nella poesia orientale si entra e si resta al punto e basta. Vedi anche “parole d’erba” di Novaro: la meta antisoggettiva di Montale è qui contenuta: è possibile ritornare flusso, mero fluire senza io? Questo è l’obiettivo della poesia ligure di quel tempo. La dicotomia tra Natura e uomo è vissuta da Montale in modo drastico, la prospettiva di Novaro viene complicata, ma la partenza è questo sogno di diventare onda, vento. L’unico obiettivo dell’io è colmare questa distanza e non essere più io. Da una parte c’è LEopardi, dall’altra il decadentismo simbolista (D’Annunzio, Lawrence, con la perdita panica nella Natura, senza la tragicità di pensiero/Natura: di D’Annunzio infatti verrà recuperata l’intelligenza fonica,il sublime dell’anti-io). La condizione della sparizione dell’io è così forte che può diventare terra. Importanti i versi 7-9: la Natura è una malchiusa porta sull’essere. La descrizione morfologica di ciò che fa il vento ci conduce all’elemento ispirativi di Montale, riportandoci alla prospettiva più tipicamente montaliana degli Ossi. Contingentiamo: analisi della Natura in se stessa, e bisogna dare importanza alla contingenza. La Natura non è direttamente l’essere, ma deve essere riattaccata allo spirito mediante quel varco, la malchiusa porta. È la nostalgia dell’eden, l’archetipo mitico, la nostalgie des origines: per esempio il recupero memoriale dell’infanzia o di un tempo in cui c’era connubio e fusione con la Natura. La poesia è nostalgia, ma è anche consolazione per un mondo che non c’è più. Questa nostalgia è qui integrata nell’idea contingentista (fare attenzione alla cosa così com’è, perché è li che si manifesta il miracolo). È la storia di un compimento possibile. Religiosità fondamentale di Montale, in assenza delle virtù teologali. La porta malchiusa non è altro che una traccia amnestica, rimanda ai cancelli del cielo dell’Apocalisse (le idee artistiche, a prescindere da quelle montaliane, sono tutte intuitivamente religiose). Esprime anche una possibilità per lo spirito di compiersi (è una porta che si dischiude sull’essere), oppure al contrario una mancanza di compimento perché implica una mancanza di perfezione dello spirito stesso. Il poeta non è sufficiente a se stesso. L’uomo non è Natura in sé e non è ciò che non è ancora Natura, cioè spirito. Sono versi danteschi, inferi. Questa è la Natura che non passa al di là della malchiusa porta verso gli alti eldoradi (l’essere verso cui si indirizzerà la Natura stessa). La Natura rimane qui, agitata, mossa: è una Natura, contrariamente a quella leopardiana, che non basta a se stessa. Il poeta non è Natura in sé, non è quella prima musica, non è quello slancio vitale,quella stimmung, l’accordo fondamentale tra me e il mondo,e non è ciò che non è ancora materia, cioè non è essere.
Non è Natura in sé e non è ciò che non è ancora Natura, cioè lo spirito: il cuore è scordato rispetto alla Natura che sta dischiudendosi, è rotto, abbandonato, è un oggetto inservibile.
C’è l’idea dell’essere messo da parte, inservibile nell’esecuzione di quella sinfonia. L’elemento drammatico della poesia montaliana è vedere linel cielo la dischiusa porta e di essere li legato al suo cuore scordato: non cambia nulla, non c’è possibilità di salvazione.
Confronto con “A se stesso” di Leopardi (in lui c’era l’élan vital, il suo palpitare era l’amor vitae dei Greci, rispetto al mondo che è fango, in opposizione ad un’esistenza fatta di noia). L’agonismo cuore-Natura è fondamentale per questo testo: c’è un disprezzo ultimo del cuore stesso, così stanco che ormai è capace solo più di disprezzare. È un cuore che ormai rifiuta di palpitare, e la soluzione è allora l’immobilità assoluta, il farsi pietra, il consacrare al nulla il proprio desiderio, celarlo. Il cuore di Montale, invece, vuole ancora palpitare, ricominciare a suonare pur essendo un relitto abbandonato (vedi l’ottativa), immobile in attesa di essere di nuovo accolto dalla Natura, rispetto alla quale Leopardi vuole scappare. Shelling in “filosofia della Natura” e “anima del mondo”(1798) parla di Natura come intelligenza immatura. La diversità tra Montale e Leopardi non è tanto di tipo concettuale, quanto nella relazione uomo-Natura: la Natura è disponibile negli Ossi, nonostante il male di vivere. C’è l’attenzione della Natura, dunque Montale si augura che il cuore si affidi alla Natura per ricominciare a battere ispirato da lei. La Natura è quindi una forza a cui rivolgersi, non è distruzione ma attenzione. Il retroterra è comune a Leopardi, per cui la Natura è animata, è qualcosa che si muove, che ha una sua divinità in sé. La differenza è che si passa in Montale ad una Natura romanticamente intesa come amica, spirito, coscienza, intelligenza (ancora Shelling). La differenza sostanziale tra Leopardi e Montale non quindi nella concezione della Natura (forza, potere…) quanto nella relazione uomo-Natura ( rifiuto e distruzione per Leopardi, attenzione e miracolo per Montale).
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Dettagli appunto:
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Autore:
Federica Maltese
[Visita la sua tesi: "Forme di un sacrificio: Alcesti in Euripide, Yourcenar, Rilke e Raboni"]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Lettere
- Esame: Letteratura Italiana
- Docente: Giorgio Ficara
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