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Intervento sull'unione tra musica e parola del prof. Tammaro

L’unione della parola con la musica risale alla tragedia greca. Della musica greca in realtà non sappiamo nulla, ma c’è sempre stata la curiosità di recuperare questo mondo: da qui la nascita del melodramma. Per il resto, si cerca la replica dell’unione almeno nei cori.
Nel cenacolo dei Bardi si cerca di risolvere il problema, ma in realtà nasce una cosa del tutto diversa. Tra questi esperimenti si colloca Monteverdi: la musica deve essere soggetta all’orazione- al testo. A noi sembra ovvio, prima invece la musica era dominante.

Metastasio

Nel ‘700 Metastasio aveva scritto tanti libretti d’opera a soggetto pseudo storico, e anche li era convinto che la musica dovesse essere subordinata al testo. Si cerca di riportare in luce la tragedia anche grazie a diverse traduzioni accurate.

Medelssohn

Nel primo ‘800 tedesco si colloca Medelssohn: nel 1840 Federico Guglielmo IV voleva fare di Berlino la nuova Atene e per questo fa allestire Antigone e Edipo a Colono. All’inizio Mendelssoh è scettico, poi ne è entusiasta. In 10-12 giorni scrive la musica per i cori e per dei sottofondi musicali, i cosiddetti melologhi, in cui gli attori parlano sopra la musica.
Il testo non è greco, ma tedesco, nella traduzione di un funzionario di corte, tale Donner.
Per il coro usa una tecnica particolare, non contrappuntistica ma omoritmia: privilegia così il testo a discapito della musica. Dovendo adeguarsi al testo infatti, si ha l’impressione che la musica debba piegarsi a leggi non sue.
La scrittura è vigorosa, ma a volte la musica deve fare una sorta di enjambement. La dimensione corale, anche qui, evoca la dimensione dell’accettazione della morte.
“allegro”: c’è una dimensione eroica, forse anche in riferimento alla Prussia di quegli anni.

Orff

L’altro esperimento, cento anni dopo, è condotto da ORff, a Monaco. Anche lui ha il problema di conciliare musica e testo: non è un innovatore, né un cieco conservatore.
Sceglie di lasciare un grande spazio al ritmo a discapito di armonia e melodia, sulla traduzione di Holderlin. Il testo è molto fluido, contrapposto però ad un linguaggio musicale molto severo. Usa sei pianoforti, come percussioni, e tra gli altri strumenti anche sei arpe, otto timpani, un litofono, degli xilofoni e tante percussioni. Spesso c’è sempre una stessa nota ripetuta più volte con un ritmo preciso.
Non c’è mai spazio all’esasperazione, è sempre contenuto.

Tratto da IL MITO DI ANTIGONE di Federica Maltese
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