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Il trattato di Cennino Cennini


Il libro di Cennini non sta inutilmente al limite di due periodi, quello antico – medievale e quello moderno. Lo stesso autore mette espressamente in rilievo il “moderno” nello stile di Giotto. Per la prima volta, nella teoria italiana dell'arte, appare il termine “moderno”, importante e del resto non nuovo. La natura è già indicata come la guida più sicura, dato comprensibile in un tempo e in un ambiente che aveva abitudine ad un immediato, fecondo, studio del modello. Ma per Cennini, trapiantato nel settentrione, non ha molto maggiore significato che per i suoi compatrioti non artisti, come Boccaccio e Villani, e Cennino rimane sostanzialmente attaccato alle tradizioni della sua scuola. In quasi tutti i suoi precetti e consigli permane il predominio dell'exemplum medievale. Se la regola di disegnare liberamente e di avere sempre il sole a sinistra conduce subito su un terreno antico e meridionale, gli altri particolari sono formulati in maniera interamente medievale, poiché nella bottega del Cennino si sarà lavorato proprio su calchi di antichi modelli come nei laboratori del monte Athos, che egli stesso cita. Si indicano esattamente le parti del volto dove deve figurare l'ombra, come naso, orlo della bocca, mento, labbra e così via. Si descrive minutamente la maniera con cui Agnolo Gaddi metteva il rosso delle guance, raccomandandone l'imitazione perchè da più rilievo al viso. Anche il termine “rilievo” spunta per la prima volta qui. In eguale modo sono formulati i precetti della prospettiva: parlando delle cornici architettoniche più alte, stabilisce che siano rappresentate discendenti, mentre quelle più basse ascendenti. Per la pittura di paesaggio troviamo il consiglio più volte citato di tenere come exempla, nel proprio studio, delle grosse pietre grezze, alludendo alla rappresentazione, schematica ed ereditata dall'antichità, del terreno con rupi digradanti, che si conserva tenacemente nella pittura del Trecento.
È notevole il capito sulle proporzioni dell'uomo, di cui si parla per la prima volta in un trattato d'arte. Da allora conservano un posto fisso nella teoria. Nessuna pratica di laboratorio, dalla più antica età egiziana, ha potuto fare a meno di queste formule empiriche. Tutti i precetti del Cennini rivelano chiaramente la fonte antica: l'inscrizione della figura umana nel circolo, le otto lunghezze del volto cui deve corrispondere il corpo, la tripartizione del viso nel senso della lunghezza del naso.
Il Cennini, però, pare che non abbia utilizzato come fonte Vitruvio, la fonte antica per eccellenza, poiché poco noto. Schiettamente medievale è poi l'esclusione della donna dalla teoria delle proporzioni, poiché essa non possiede alcuna “simmetria”, causato in parte dall'atteggiamento negativo della Chiesa nei confronti del femminile umano. La completa ignoranza di anatomia mostra come il Cennini sia uomo del Medioevo, fermo alla credenza biblica che l'uomo abbia una costola in meno della donna, come ai discorsi in merito alla scelta del colore più conveniente, bruno per l'uomo e bianco per la donna, eco di antiche consuetudini di laboratorio.
L'antico come forma non ha la minima parte nel Cennini, e potrebbe sorprendere la cosa, vivendo in un città, Padova, apertamente umanistica, apertamente proclamante il pregio dell'antichità. Ma Cennini è troppo imbevuto della pratica dei compatrioti giotteschi e quanto egli sia in fondo estraneo all'antichità lo dimostra la favola medievale che usa per spiegare l'origine delle antiche statue nude, imitazioni di forme tratte dal vero sulla figura intera. È facile vedere anche qui l'impronta del formulario accademico. Il trattato del Cennini rimane la prima testimonianza di una terminologia delle espressioni artistiche sviluppatasi dalla pratica dei laboratori e già sufficientemente determinata: disegno, colorire, naturale, sfumare, maniera.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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