La botta d'arresto della riforma Fanfani
Fu allora che la riforma Fanfani subì una pesante botta d'arresto. Togliatti fece una lunga opposizione di disturbo, la CGIL non fu molto partecipativa e i riformisti si sentirono alla lunga isolati. Era poi intervenuta una difficile situazione economica che aveva dato luogo ad una pesante ondata di panico. Per la prima volta la domanda di lavoro superava l'offerta, i salari aumentavano progressivamente e, soprattutto le piccole industrie, per rifarsi aumentavano il prezzo dei manufatti, che del resto non rispondevano sufficientemente alla domanda. Per la prima volta dagli anni '40 l'inflazione era uno spettro minaccioso. La DC decise allora di tirare il freno delle riforme di Fanfani, soprattuto in vista delle imminenti elezioni del 1963, e lo fece per mano di Moro, congelando due importantissime riforme imminenti in Parlamento:
- L'istituzione delle regioni. Avversata e bloccata perché il decentramento avrebbe concesso enormi poteri alle regioni rosse dell'Italia centrale.
- La pianificazione urbanistica. Uno dei capitoli più ignominiosi della politica italiana. La lungimirante riforma del ministro dei Lavori Pubblici, il democristiano riformista Fiorentino Sullo, era (e sarà) l'unico serio tentativo di fare i conti con la speculazione fondiaria e col caotico sviluppo urbano. Prevedeva la concessione agli enti licali del diritto di esproprio preventivo di tutte le aree fabbricabili incluse nei rispettivi piani regolatori. Gli stessi enti locali avrebbero provveduto poi a realizzare le necessarie opere di urbanizzazione e avrebbero poi rivenduto i terreni attrezzati ai privati, ad un prezzo più alto ma controllato. Fine della selvaggia speculazione dei suoli edificabili dunque. In aggiunta, i nuovi proprietari sarebbero entrati in possesso dell'edificio ma non del terreno, in maniera tale da rendere lo Stato capace di esercitare un controllo reale sul piano regolatore. Una lungimirante proposta che scatenò accuse di bolscevismo e spinse Moro a dichiarare in televisione – senza che Sullo ne fosse al corrente – che la proposta del ministro era sua e solo sua e mai sarebbe stata realizzata.
Alle elezioni la DC scese sensibilmente. Salirono liberali, missini, socialdemocratici e comunisti, questi ultimi largamente, cooptando soprattutto i voti degli immigrati al settentrione e degli operai emigrati in Europa del Nord. Il PSI scese leggermente. In sostanza la somma dei voti delle destre ebbe un aumento percentuale ridicolo, lo 0,7%. Era sufficiente ciò a far capire ai partiti di governo la necessità di scegliere, di rafforzare la chiarezza dei progetti e delle alleanze sociali ad essi sottesi. Eppure nella DC prevalse la strategia Moro: il centro – sinistra come scelta obbligata ma infida e la conseguente politica del sonno e della limitazione degli interventi riformatori per non scontentare le aree sociali e culturali di riferimento degli anni del centrismo.
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: Salvatore Adorno
- Titolo del libro: Storia del miracolo italiano
- Autore del libro: Guido Crainz
- Editore: Donzelli
- Anno pubblicazione: 2005
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