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L’interpellazione nelle sue diverse forme - Il re dell'arena -


Lo si ritrova innanzitutto in alcune inquadrature d’apertura, là dove le ragazze si rivolgono direttamente alla m.d.p.; qui abbiamo una rottura tra gli elementi: sia l’enunciatore che l’enunciatario si installano nell’enunciato, ma lo fanno in modo diseguale. Abbiamo un personaggio che, quasi fosse colui cui si deve il film, chiama in causa colui cui il film è destinato; abbiamo qualcuno che guarda e vede qualcuno che guarda e si fa vedere da qualcuno che è portato a guardare e che può guardare senza farsi vedere; abbiamo un io(chi guarda e vede) che si confronta con un egli(chi si fa vedere, ma insieme guarda verso colui che si vuol portare a guardare), mentre un tu(chi è fatto guardare ed è guardato, ma non è visto) entra in gioco senza assumere alcun contorno. Enunciatore ed enunciatario: entrambi si dicono oltre a farsi intendere, ma il primo si figurativizza in un personaggio appoggiandosi a un’identità d’azione – il guardare – e ad un’identità di obbiettivi – puntare a colui che vien portato a guardare –, membra il secondo si dà per quello che è, nient’altro che un punto di vista ideale; ecco perché l’enunciato paga qualcosa all’enunciatore: esibisce quello che è il suo tacito presupposto, lo richiama entro i bordi dell’immagine, gli dà lo statuto del narratore diegetizzabile o diegetizzato.
Ora, queste dinamiche si affacciano anche in situazioni diverse dallo sguardo in macchina, e nel film di McCarey le troviamo in azione anche in quella parte che va dalle silhouette delle ragazze che si tolgono il costume da bagno dietro a dei paraventi trasparenti fino al fuggi fuggi generale quando la m.d.p. cerca di sorprenderle nell’atto di spogliarsi: in questo brano, l’io invece di calarsi nell’egli di un personaggio si cala in quell’egli che è costituito dall’enunciato nel suo complesso, il presupposto cioè abbraccia tutto ciò che presuppone, proiettandosi e riflettendosi nell’insieme dei suoi contorni; lo schermo nello schermo e le ombre dentro un gioco di ombre mirano proprio a congiungere metalinguaggio, designazione e interpellazione, in una struttura che si puro rendere nei termini dell’ “ecco a te/questo è cinema/cioè me”1.
Ma passando all’enunciatario, osserviamo che in entrambe le varianti esso assume la classica posizione dell’a parte: quasi a ripercorrere le consuetudini del teatro, dove spesso l’autore si serve di un suo personaggio per dare informazioni non a chi agisce sulla scena, ma direttamente al pubblico; anche qui abbiamo qualcuno che partecipa alla partita e che insieme ne rimane in disparte.
Resta da aggiungere che le grammatiche classiche si sono occupate raramente di questo caso, sia perché esso si sovrappone ad un interdetto, sia perché esso viene di solito riportato alla soggettiva, che invece pare costituisca una configurazione a sé.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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