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Il ruolo di Francisco in El - Luis Bunuel -


Terza storia sottesa alla nostra sequenza d’avvio. Fin qui si è parlato di Francisco come marca di una ricezione; ma in che maniera egli assume un tale ruolo?
La possibilità appare legata ad una frattura effettiva tra colui che vede e ciò che è visto: nella successione delle inquadrature interviene letteralmente uno stacco tra un soggetto percipiente di un oggetto che per intanto è solo supposto, e un oggetto percepito da un soggetto che nel frattempo è finito fuori campo.
La scansione non è cento anomala: tutte le soggettive per costituirsi hanno bisogno di due indicazioni distinte, l’una che rinvia al punto di partenza dell’occhiata, l’altra che ne esibisce il punto d’arrivo; ma la scansione è soprattutto sintomatica: il fronteggiarsi di quanto sostiene il vedere e di quanto ne definisce il risultato ci ricorda da vicino la giustapposizione di uno sguardo che coglie la scena dall’esterno, e che la anima in base al proprio intervento, e una scena che postula lo sguardo ad essa incidente, e che lo richiama sulla base del proprio taglio.
Insomma, il fronteggiarsi di un occhio e di una vista ci ricorda da vicino il fatto che lo spettatore è due cose distinte:
- un dato concreto – un recettore – che agisce al di fuori e sopra il film,
- un’istanza astratta – un darsi a vedere e a intendere – che nasce all’interno e per iniziativa del film.
Francisco assume il proprio ruolo partecipando fino in fondo a questa dinamica: egli diventa marca di una destinazione perché sullo schermo si allineano qualcuno che vede e qualcosa che è visto; ma egli diventa marca di una destinazione in coincidenza con uno stacco che separa il soggetto vedente dall’oggetto della visione.
Ne deriva che la costruzione di un tu capace di calarsi in un personaggio in campo non porta soltanto ad un confronto con le diverse cose che pesano su un quadro, ma anche all’individuazione di una frattura che pesa sul visibile, e quindi alla consapevolezza di una dimensione che eccede le immagini e i suoni: un destinatario in scena non costituisce soltanto un nodo a cui si legano tutti i fili della rappresentazione, ma anche una figura che viene tenuta lontana dal centro del suo interesse, e quindi un segno della distanza che si interpone tra chi siede nella sala e quanto gli appare davanti. Insomma, all’obbligo già notato della relazionalità si aggiunge adesso la scoperta di un versante sfuggente, e il situarsi del punto d’ascolto incrocia un altrove radicale.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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