Il concetto di enunciazione diegetizzata
Il concetto di enunciazione diegetizzata
Dunque il tabù non è assoluto, ma relativo ai riferimenti attivati, e non investe lo sguardo in macchina in sé ma le sue possibilità d’inserimento in un quadro d’insieme. Del resto lo steso calcolo potrebbe essere fatto, oltre che per dei procedimenti dell’interpellazione, anche per certi elementi specificamente dietetici quali la recitazione, il decor, etc.: riportati ad un contesto, vedremmo che pure essi hanno dei problemi di appropriatezza, con indici invertiti rispetto ai precedenti, ma sempre graduabili su una scala deontica, e forse non solo su quella.
Identica radice, s’è detto, per i movimenti all’interno dei brani esaminati. Infatti è di nuovo la percezione di un’incoerenza tra uno sguardo in macchina e lo status della narrazione che motiva il trapasso dal piano del commento a quello del racconto: si scappa dall’enunciazione enunciata, cancellandola a profitto di un’enunciazione diegetizzata, perché se ne avverte l’incompatibilità del proprio quadro di manovra; una tale fuga presenta due risvolti.
1. riguarda le valenze da assegnare a questo gesto: la composizione del quadro di riferimento può far si che l’occhiata dello spettatore e il suo conseguente rifiuto appaiono ora come la rimozione di una possibilità ancora aperta, ora come un sondaggio tra le alternative praticabili. È quel che avviene nei nostri due brani:
- nell’uno, rispetto ad una narrazione cinematografica prossima ad imporsi, il fatto di tenere ai margini un gesto d’intesa troppo evidente significa dar comunque l’addio a forme di coinvolgimento non più praticabili;
- nell’altro, rispetto ad una narrazione cinematografica che sembra aver chiuso il suo ciclo, riproporre questo gesto significa chiedere di accelerare e di radicalizzare le trasformazioni.
Dunque un medesimo passo può assumere significati diversi: ma è l’orizzonte su cui si proietta, nello stato in cui è, che glieli fissa.
2. riguarda i modi in cui avviene la cancellazione di quanto non è considerato appropriato: anche qui l’effettiva composizione del contesto può consentire ora un rapido recupero, ora un debordamento definitivo. Di nuovo è quel che succede nei nostri brani:
- nel primo, basta tener lo sguardo in macchina ai limiti del testo per neutralizzarne gli effetti1;
- nel secondo, il fatto di sovrapporre all’occhiata un’interpellazione più marcata fa cogliere al film il rischio, certo voluto, di diventare altro dal racconto, magari poi per ricaderci in pieno.
Dunque uno stesso movimento può avere due linee di sviluppo: ed è il campo di forze in cui si iscrive, con la sua decisione di imporsi a tutti i costi o con la sua capacità di cambiare i propri connotati, che decide della qualità e dell’efficacia delle mosse.
Appunto il contesto e l’appropriatezza: non basta lanciare un gesto d’intesa, ci vogliono attente misurazioni e riscontri numerosi, calcoli di opportunità e accorti compromessi; con un prezzo sovente da pagare – come qui la marginalità o l’ironia – ma con un guadagno certo: l’enunciatario può sempre emergere, magari per un attimo, senza correre per forza dei rischi mortali.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Semiotica dei media
- Docente: Guglielmo Pescatore
- Titolo del libro: Dentro lo sguardo - Il film e il suo spettatore -
- Autore del libro: F. Casetti
- Editore: Bompiani
- Anno pubblicazione: 1986
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