Progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa
Prima di concretarsi in un vero e proprio progetto politico e di divenire un obiettivo permanente nella politica di governo degli Stati membri, l’idea di Europa era patrimonio di una cerchia ristretta di filosofi e di idealisti: secondo l’opinione giuridica occidentale sviluppatasi nel Seicento, infatti, l’organizzazione del mondo era rigidamente impostata sull’evoluzione storica degli Stati nazionali, le cui uniche modalità di coordinamento intergovernativo consistevano nella loro relazioni dirette e disciplinate da specifici trattati.
Dall’inizio del Novecento, invece, quale immediata conseguenza del primo conflitto mondiale, le relazioni statali si sono articolate in due ambiti distinti, ma nello stesso tempo tra loro coordinati: la ormai tipica stipulazione di specifici trattati e l’innovativa elaborazione di politiche comuni attraverso la mediazione delle organizzazioni internazionali.
Per questa ragione, dal 1950, anno cui risale il discorso pronunciato da R. Schuman, gran parte dell’Europa matura la convinzione che, a fianco dei poteri nazionali o regionali, debba sussistere un potere europeo, basato su istituzioni democratiche ed indipendenti, in grado di gestire quei settori (il mercato interno, la moneta, la coesione economica e sociale, la politica dell’occupazione, la tutela dell’ambiente, la politica estera e di difesa, la creazione di uno spazio di libertà e di sicurezza), per i quali l’azione comune si rivela più efficace che quella svolta da Stati che agiscono separatamente.
In seguito alla firma del Trattato di Maastricht del 1992, l’istituzione dell’UNIONE EUROPEA (UE) rappresenta il risultato degli sforzi fino ad allora compiuti; si instaura così un modello istituzionale difficile da definire, strutturalmente intermedio tra la tipica organizzazione internazionale ed il tradizionale Stato Nazione.
L’UE è stata, infatti, investita di una funzione unica nel suo genere, il coordinamento tra le politiche democratiche degli Stati membri, che hanno creato una serie di istituzioni comuni, cui delegano parte della propria sovranità.
Storicamente, le radici dell’UE risalgono alla fine della seconda guerra mondiale, quando, nel 1951, il Trattato di Parigi istituì la COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO (CECA), allo scopo di armonizzare pacificamente lo sviluppo costruttivo di sistemi economici in potenziale conflitto, obiettivo già precedentemente perseguiti per lo sfruttamento, comune a Francia e Germania, delle aree carbonifere e industriali della Rhur. La formazione di un mercato comune settoriale coinvolgeva i sei Stati sconfitti: l’Italia e la Germania (le due nazioni che avevano visto ufficialmente lesi i propri principi istituzionali ed ideologici, oltre che morali), la Francia (paese solo teoricamente vincitore, ma in realtà soggetto all’occupazione nazista per ben quattro anni e territorio dello sbarco in Normandia) e, infine, Lussemburgo, Belgio ed Olanda (i tre Stati “cuscinetto” tra le potenze mondiali in conflitto).
Nel 1952, al fine di organizzare un corpo armato europeo sotto un unico comando, questi stessi Stati, rinunciando a parte della propria sovranità, tentarono l’istituzione della COMUNITÀ EUROPEA DI DIFESA (CED), fallita in seguito alla mancata ratifica dell’Assemblea nazionale francese.
In seguito, con il Trattato di Roma del 1956, nacquero la COMUNITÀ EUROPEA DELL’ENERGIA ATOMICA (EURATOM) e la COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA (CEE); la prima si costituì quale mercato comune settoriale, anche se di evoluzione limitata, mentre la seconda quale un’organizzazione economica, incentrata sulla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei lavoratori.
Da questo momento, furono così operanti nel panorama europeo ben tre diverse comunità, ognuna caratterizzata da uno specifico scopo e, pur avendo in comune una stessa struttura interna, da propri organi: Commissione (potere esecutivo), Consiglio (potere normativo), Parlamento o Assemblea comune (potere consultivo) e Corte di giustizia (potere giudiziario).
Da allora, la volontà di portare avanti il processo d’integrazione europea si è fatta sempre più concreta, al fine di semplificare la separazione delle specifiche competenze di ciascuna comunità e di favorirne il coordinamento.
Delineando l’evoluzione cronologica della “politica dello step by step” di questo processo, è da considerarsi la prima tappa, avvenuta nel 1965 a Bruxelles, la cosiddetta “fusione degli esecutivi”, cui fece subito seguito il perfezionamento dell’Atto unico europeo del 1987, che prevedeva la fusione delle tre comunità in un’unica.
Quest’ultimo obiettivo è stato raggiunto a Maastricht, nel 1992, in seguito all’istituzione della COMUNITÀ EUROPEA (CE), comprendente al suo interno le tre precedenti comunità; parallelamente alla realizzazione di questo ambito progetto, è stata anche sancita la nascita dell’UE, attribuendole la funzione di coordinamento tra la stessa CE e le due cooperazioni intergovernative rafforzate già esistenti, POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE (PESC) e GIUSTIZIA AFFARI INTERNI (GAI).
A Maastricht, infine, si stabilì di convocare una conferenza nel 1996, per definire alcuni punti ancora oscuri del Trattato, che riguardavano la comunitarizzazione delle politiche comuni e dei problemi istituzionali.
Le modifiche ivi ipotizzate confluirono direttamente nel Trattato di Amsterdam del 1997, che ridistribuisce, tra i quindici paesi ormai facenti parte dell’UE, le cariche ed il peso delle competenze all’interno dei diversi collegi europei.
Soffermandosi a questo proposito sull’evoluzione politica dell’UE, tra gli anni Settanta e Novanta si assistette ad un graduale e costante ampliamento della partecipazione statale europea.
In seguito al fallimento dell’alternativa associazione di libero scambio (EFTA) tra le potenze d’influenza anglosassone, la prima fase dell’allargamento comunitario coinvolse, nel 1973, l’Europa settentrionale, più specificamente, l’Inghilterra, la Danimarca e l’Irlanda.
Nel 1981 e nel 1986, invece, le adesioni di Grecia, Spagna e Portogallo rafforzarono il versante meridionale della Comunità, rendendo ancora più necessaria la realizzazione di programmi strutturali destinati a ridurre le disparità di sviluppo economico tra i dodici Stati membri; le ragioni storiche, che resero possibile l’ancoraggio al mondo occidentale democratico, furono la conclusione dell’esperienza dittatoriale dei colonnelli per la Grecia ed il tramonto delle autocrazie franchista e salazariana di origine filofascista (rimaste fino ad ora al potere per la loro mancata partecipazione alla II guerra mondiale) per la Spagna ed il Portogallo.
Infine, il primo gennaio 1995 entrarono a far parte dell’UE tre nuovi paesi, l’Austria, la Finlandia e la Svezia, che arricchirono l’Europa con il loro patrimonio culturale e le aprirono nuovi spazi al centro e al nord. Non a caso, quest’ultima tappa di aggregazione europea é stata possibile solo in seguito alla caduta del muro di Berlino, che ha definitivamente sancito la rottura del confine tra Blocco Nato e Blocco di Varsavia; in particolare, mentre l’Austria doveva la sua neutralità all’obbligo internazionale derivante dagli Accordi di Yalta, la Finlandia e la Svezia adottarono una politica improntata alla prudenza, per rispettare l’accordo di non invasione concluso con l’URSS.
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Dettagli appunto:
- Autore: Luisa Agliassa
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Giurisprudenza
- Corso: Giurisprudenza
- Docente: Porchia
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