Tutela giuridica della libertà di adesione e recesso da comunità religiose

Tali sono all’evidenza quelli relativi alla tutela dei diritti inviolabili della persona, tra cui il diritto di associazione nei suoi aspetti “positivo” e “negativo”.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità dello statuto israelita nella parte in cui prevedeva l’appartenenza “di diritto” (obbligatoria, quindi, per il solo fatto della nascita da madre ebrea e non accompagnata da alcuna manifestazione di volontà in tale senso) del cittadino ebreo a quella comunità.
Alla libertà di adesione non può non corrispondere la libertà di recesso senza condizionamenti.
La questione aveva nel caso un risvolto pratico: la possibilità di abbandonare di fatto la comunità senza dover continuare a corrispondere il contributo finanziario annuo, cui l’ebreo è obbligato in forza dell’appartenenza di diritto alla comunità.
L’affermazione della libertà di recesso sarebbe monca se non fosse accompagnata simmetricamente anche dal diritto di difesa del fedele riottoso nel procedimento confessionale finalizzato alla sua espulsione.
Si tratta, invero, di un diritto fondamentale, il cui esercizio (ferma restando l’insindacabilità nel merito dei motivi religiosi addotti nel provvedimento) non può non essere soggetto al controllo statale.
Il Protocollo Addizionale all’Accordo di Villa Madama ha precisato che gli effetti civili dei provvedimenti “concernenti materie spirituali o disciplinari” vanno intesi in armonia coni diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani.
Il diritto di difesa è dunque tutelabile dallo Stato, ancorché non necessariamente nelle stesse forme previste dalla legge italiana o dalla CEDU o da un principio di “giusto processo”, bensì nel suo “nucleo più ristretto ed essenziale” di “diritto di agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti”.