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Diritto del lavoro nel fascismo

DIRITTO DEL LAVORO NEL FASCISMO


La tutela si arricchisce di elementi che vanno a toccare i rapporti di lavoro in nuovi ambiti (maternità,..). La legge del 1924 viene rafforzata da qualche ulteriore disciplina. 

Leggi razziali: diritto razzista, che prevedeva la persecuzione degli appartenenti ad una specifica fede religiosa. La persecuzione legale aveva quale fondamento l’idea della razza ebraica. Sulla base di questa pseudo scientificità si emanano norme per la componente ebraica presente in Italia (componente ebraica: circa 50.000 persone). Per ragioni storiche erano principalmente concentrati nel Lazio (nel luogo della cristianità si è sempre cercato di mantenere la presenza della componente ebraica), a Trieste,.. Vi erano poi alcuni ebrei stranieri. 
La legislazione razziale prevede l’espulsione di qualsiasi traccia di ebraismo dai settori fondamentali della società: dall’impiego privato, dal lavoro autonomo, dall’impiego pubblico (vengono licenziati la quasi totalità del corpo docente di quegli anni); viene loro vietato di avere relazioni con persone di razza ariana (divieto di matrimoni misti), vietato di esprimere la loro religiosità (no festività). Vengono inoltre espropriati delle loro proprietà private (indennità in base all’immobile, ma su liste catastali minime). 
A questo punto potevano essere oggetto di una persecuzione fisica (non avevano più alcun diritto).
Pubblica istruzione: è stato richiesto che venissero cancellate tutte le tracce della presenza ebrea nelle istituzioni.

Tratto da DIRITTO DEL LAVORO di Francesca Morandi
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