Il contribuente di diritto e il contribuente di fatto: la traslazione dell’onere impositivo
I soggetti passivi del tributo vengono definiti anche contribuenti di diritto per distinguerli dai cosiddetti contribuenti di fatto, incisi o percossi: vale a dire da coloro sui quali l’onere finanziario, in cui si traduce la prestazione impositiva, viene ad essere riversato dal soggetto tenuto per legge ad effettuarla e che pertanto sono gravati in via definitiva da detto onere (traslazione di imposta).
La distinzione consente di ribadire che i contribuenti di fatto, pur se toccati dai risvolti economici del fenomeno impositivo, restano totalmente estranei all’imputazione degli effetti della fattispecie imponibile e quindi al rapporto obbligatorio di imposta.
V’è da rilevare che nella maggioranza dei casi il legislatore tributario si disinteressa completamente della vicenda, la quale viene a dipendere o dal gioco delle regole di mercato oppure dallo specifico assetto negoziale impresso al riguardo dalle parti del rapporto.
La prima ipotesi si verifica tutte le volte che il contribuente di diritto in sede di definizione dei rapporti giuridico-economici instaurati con il contribuente di fatto riesce ad inglobare nella prestazione gravante sul secondo (in genere nel prezzo o corrispettivo) una quota corrispondente, in tutto o in parte, all’entità dell’obbligazione impositiva al cui adempimento è per legge tenuto (fenomeno della traslazione occulta).
La seconda ipotesi ricorre ancorché il contribuente di diritto, per il tramite di una specifica clausola contrattuale, convenga con il contribuente di fatto che quest’ultimo si accolli l’onere economico della prestazione tributaria su di cui facente carico, con l’obbligo conseguente di rimborsargli le somme dovute a tale titolo (fenomeno della traslazione pattizia).
Ovviamente tali patti hanno natura meramente interna e, quindi, sono inopponibili all’amministrazione finanziaria creditrice, che pertanto è legittimata ad avanzare la sua pretesa nei confronti del debitore originario non essendo costui liberato a seguito dell’accollo.
Detto questo, merita evidenziare che il vero problema sollevato dalla presenza di simile clausola è, in realtà, quello del trattamento impositivo cui sottoporre le somme corrisposte da una parte all’altra inadempimento dell’accordo in punto di traslazione del tributo.
Poiché tali somme rappresentano comunque per il percipiente ulteriore manifestazione della forza economica sussunta nel presupposto impositivo e quindi colpita dal tributo, le medesime non possono non entrare a far parte della base imponibile soggetta ad imposizione.
Si pensi all’ipotesi in cui il compenso per una prestazione di lavoro sia stabilito in 100 al netto delle imposte dovute dal reddituario: in tal caso, il reddito del percipiente risulta per l’appunto costituito non da 100 bensì dall’importo complessivo erogato in adempimento di siffatta clausola, comprensivo pertanto e in specie anche della quota di rimborso dell’imposta (supposta quest’ultima pari a 20, il reddito imponibile ammonta pertanto a 120).
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto Tributario, a.a. 2008/2009
- Titolo del libro: "Manuale di diritto tributario" di P. Russo e "L'imposta sul valore aggiunto" di F. Padovani
- Autore del libro:
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