La nozione di sostituto d’imposta
Normalmente il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria è colui in capo al quale si realizza il presupposto impositivo. Tuttavia il caso della sostituzione d’imposta deroga a questo schema poiché gli obblighi tributari sono posti in capo ad un soggetto diverso da colui cui va riferito il presupposto impositivo, cioè colui che è portatore della capacità contributiva.
I soggetti protagonisti di questo meccanismo sono due: il sostituto che eroga il compenso e poi preleva e trattiene una parte di tale compenso attraverso lo strumento della ritenuta, e il sostituito che percepisce tale compenso decurtato della quota trattenuta. Quindi il sostituito è il soggetto in capo al quale si realizza il meccanismo impositivo, mentre il sostituto è il soggetto tenuto all’obbligazione tributaria.
La caratterista peculiare del sostituto d’imposta è quella di essere un debitore di una somma che costituisce la ricchezza da tassare per il contribuente. Tutte le volte in cui in un’obbligazione tributaria venga coinvolto un soggetto diverso dal portatore della capacità contributiva deve esistere una giustificazione di ragionevolezza ai fini dell‘art. 53 Cost. , poiché tale norma non consente di stabilire tributi a carico di soggetti diversi da coloro cui si riferiscono i fatti o i presupposti impositivi, salvo semplificazioni che siano ragionevoli. Nel caso della sostituzione d’imposta l’elemento di praticità risiede nel nesso di dipendenza che lega il sostituto al sostituito e per lo Stato sarà più agevole pretendere il prelievo tributario dal sostituto anziché dal sostituito.
Le ipotesi tipiche di sostituzione o ritenuta d’imposta sono due:
1. Ritenuta a titolo d’imposta: il rapporto tributario si esaurisce con il pagamento della ritenuta stessa (Esempio: Sostituzione a titolo di imposta sugli interessi bancari. Sul denaro depositato in banca si maturano degli interessi che sono soggetti a imposta. La banca, come sostituto d’imposta, decurta da tali interessi maturati una somma a titolo di ritenuta d’imposta);
2. Ritenuta a titolo d’acconto: è una somma trattenuta e poi versata come acconto o anticipazione delle imposte effettivamente dovute. (Esempio: Ritenuta a titolo di acconto del datore di lavoro. Il datore di lavoro quando paga la retribuzione al lavoratore la decurta di una somma che è un’anticipazione delle imposte che dovrà pagare il lavoratore stesso. Alla fine dell’anno il lavoratore dovrà sommare le retribuzioni lorde ricevute, calcolare su tali retribuzioni l’imposta che dovrà pagare e sottrarre da tale imposta ciò che ha già pagato tramite la ritenuta).
Una parte della dottrina ritiene che rientri nella categoria delle ritenute anche la c.d. ritenuta diretta qualificandola come tertium genus e che si ha quando lo Stato sia al contempo debitore del contribuente, ma anche creditore del tributo. In realtà in questo caso non si può parlare di ritenuta, ma si è in presenza del meccanismo civilistico della compensazione .
Il sostituto d’imposta è definito legislativamente dall’art. 64 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 insieme al responsabile d’imposta, ovvero l’obbligato solidale dipendente.
Il sostituto è “tenuto in luogo di altri”, mentre il responsabile è “tenuto insieme ad altri” al pagamento dell’imposta. In questo caso la legge vuole rimarcare che il responsabile d’imposta, essendo un obbligato solidale, è tenuto alla stessa prestazione, infatti l’espressione “in luogo” significa che sussiste una prestazione sostitutiva, che è appunto l’effettuare la ritenuta.
Nel caso del sostituto la norma afferma che deve trattarsi di “fatti riferibili ad altri”, mentre nel caso del responsabile di “fatti esclusivamente riferibili ad altri”. Con l’espressione “esclusivamente riferibili” la legge vuole sottolineare come il responsabile d’imposta sia totalmente estraneo rispetto al presupposto dell’imposta, poiché estraneo alla ricchezza ed estraneo ai fatti che danno luogo alla ricchezza. Il sostituto, invece, è estraneo alla ricchezza, ma è parte del rapporto, perché è un debitore del contribuente.
Nel caso del sostituto la legge afferma che la rivalsa è obbligatoria, nel senso che costui deve dedurre la ritenuta dal compenso del sostituito. Se il sostituto non esercitasse la rivalsa, e quindi non trattenesse l’importo della ritenuta pagando al contribuente la retribuzione al lordo, si verificherebbe un’ipotesi di evasione.
Esempio: Supponiamo che il datore di lavoro debba pagare al lavoratore un compenso di 1000 assoggettato ad una ritenuta del 10%. La situazione fisiologica sarebbe quella per cui il datore di lavoro trattenga 100 a titolo di ritenuta e paghi al lavoratore 900 di retribuzione. Supponiamo, invece, che il datore di lavoro trattenga 100 a titolo di ritenuta, ma che alla fine paghi comunque al lavoratore una retribuzione di 1000.
Quindi: 1000 (al lavoratore) + 100 (di ritenuta) = 1100.
In questo caso il datore di lavoro avrebbe dovuto trattenere 110 a titolo di ritenuta.
L’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 indica i soli soggetti che possano diventare sostituti d’imposta tra i quali sono ricomprese entità che di per sé abbiano una certa organizzazione tra cui società, enti diversi dalle persone fisiche, gli imprenditori, i liberi professionisti e il condominio.
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Dettagli appunto:
- Autore: Luisa Agliassa
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Giurisprudenza
- Docente: Marcheselli
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