L’avviso di accertamento, quale atto finale del procedimento tributario
Il procedimento tributario può finire con l’ATTO DI ACCERTAMENTO. Questo atto è un provvedimento amministrativo autoritativo che contiene la determinazione in forma autoritativa della pretesa tributaria del fisco. L’atto di accertamento è un eventualità: non è detto che ci sia sempre. Prima di tutto perché il fisco non controlla tutti, poi quelli che vengono controllati possono anche essere in regola, oppure trattandosi di controllo formale si passa direttamente riscossione.
Si dice che l’atto di accertamento non sia un provvedimento discrezionale. Cosa intendiamo per discrezionalità? Se per discrezionalità intendiamo il bilanciamento tra interessi contrapposti il fisco non può operare questo tipo di valutazioni: se la capacità contributiva è 100 non è perché un contribuente è più simpatico di un altro che paga di meno. Quindi in questo senso l’atto di accertamento non può essere considerato un provvedimento discrezionale. Questo però non vuol dire che gli uffici tributari sono come dei robot che funzionano automaticamente, c’è tutta una serie di valutazioni da fare, dall’interpretazione della legge ai ragionamenti, che non sono vincolate dalla legge, tutt’altro. Quindi l’attività dell’amministrazione finanziaria è un’attività vincolata però è anche un’attività valutativa.
Quali sono i contenuti dell’atto di accertamento? Sostanzialmente 2:
- MOTIVAZIONE: è la parte dell’atto che ci dice il perché l’ufficio ha così deciso;
- DISPOSITIVO: è la parte dell’atto che dice che cosa l’ufficio ha deciso.
Per le imposte sui redditi la disciplina del dispositivo dell’atto di accertamento si trova nell’art. 42 del D.Pr. 600/73: l’atto di accertamento deve contenere l’imponibile (la misurazione della capacità contributiva), le aliquote, l’imposta lorda, le detrazioni, i crediti di imposta, le ritenute e l’imposta netta. L’imponibile nell’avviso di accertamento c’è sempre, ma non è detto che ci siano tutti gli elementi perché è anche possibile che si faccia un avviso di rettifica in cui non si scopre che il contribuente deve pagare qualcosa, ma si scopre che il contribuente si era portato a credito più di quello di cui aveva diritto. Ci può essere quindi un avviso di accertamento senza imposta dovuta.
Che cos’è la motivazione? E’ un discorso che serve a giustificare il provvedimento, che da conto dei motivi giuridici e di fatto della decisione. A cosa serve la motivazione? Innanzitutto serve come tutela del contribuente che può controllare se è vittima di un ingiustizia oppure no. La motivazione prima che ad aiutare il contribuente, serve a controllare l’operato della pubblica amministrazione. Il contenuto della motivazione è molto ovvio: ci sono i fatti che si sono accertati (es. il contribuente ha nascosto dei ricavi), si dice come si sono accertati questi fatti (es. si è scoperta una documentazione segreta) e quali norme si sono applicate. La motivazione deve esserci per tutti gli atti dell’amministrazione tributaria. Questo è uno dei principi più importanti è uno dei principi più disattesi: c’è una categoria di atti, ad esempio le cartelle esattoriali, che tradizionalmente sono sempre molto poco e molto mal motivate. L’art. 42 afferma anche che l’atto di accertamento, oltre alla motivazione, deve indicare qual è l’ufficio a cui rivolgersi per chiarimenti, chi è il responsabile del procedimento, qual è l’autorità competente per l’eventuale riesame, qual è il giudice competente e qual è il termine per fare impugnazione. E’ interessante domandarsi che cosa succede se queste indicazioni non ci sono (ad esempio se manca l’indicazione del responsabile del procedimento)? In tutto il diritto, e anche nel diritto tributario la cosa che conta di più è il buon senso, quindi non tutte le mancanze di un atto amministrativo, anche non tributario, determinano la sua nullità. C’è una norma che prevede la nullità dell’atto amministrativo nel caso di mancata indicazione del responsabile del procedimento, ma è una norma un po’ sproporzionata. Diverso è il caso in cui nell’atto ci fosse indicato un termine sbagliato per impugnare o il giudice sbagliato. Ad esempio si indica un termine per impugnare di 70 giorni quando invece il termine è di 60: il contribuente è in buona fede, gli dicono che ha 70 gg. per impugnare e lui impugna il 69° giorno. Cosa succede in questi casi? Nessuna norma afferma come procedere ma ci sembrerebbe corretto ritenere l’impugnazione tardiva giustificata . E’ importante invece il vizio di motivazione: se la motivazione manca o non è sufficiente o è contraddittoria l’atto può essere annullato dal giudice.
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Dettagli appunto:
- Autore: Luisa Agliassa
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Giurisprudenza
- Docente: Marcheselli
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