Le cerimonie di rito e le estorie sacre per Spinoza
Il fine delle cerimonie di rito
Le cerimonie di rito per Spinoza furono istituite solo per gli ebrei e furono così adattate al loro Stato. Esse non riguardano le legge divina e pertanto non contribuiscono in alcun modo alla felicità ed alla virtù, ma si riferiscono esclusivamente alla elezione degli ebrei. Per conseguenza non poterono avere utilità alcuna se non nel periodo in cui esistette quello stato. Che poi le cerimonie di rito non arrechino nessun vantaggio alla beatitudine, ma che riguardano solo la il temporaneo benessere dello Stato, lo si deduce dalla stessa Scrittura la quale in cambio dell’osservanza delle cerimonie di rito non promette altro che vantaggi e gioie corporee, mentre promette la beatitudine soltanto in cambio del rispetto della legge divina universale. I sacrifici offerti a Dio dai patriarchi non furono dunque dovuti al comandamento di qualche legge divina, ma alla sola consuetudine di quei tempi. E, se ciò avvenne per comando di qualcuno, quel comando non fu altro che la legge dello Stato in cui vivevano, legge che erano tenuti ad osservare.
Il vantaggio delle storie sacre
Il contenuto puramente speculativo dell’insegnamento della Scrittura è soprattutto questo: esiste Dio, cioè un essere che ha creato tutte le cose e che con somma sapienza le conserva e le governa. Tutto ciò è provato dalla Scrittura in base alla sola esperienza, cioè con le narrazioni in essa contenute. Non sono date definizioni, ma ogni argomentazione è adattata alla capacità di comprendere del popolino. Al volgo, la cui intelligenza non è capace di percezioni chiare e distinte, è sommamente necessario conoscere quelle storie e prestarvi fede. Chi le respinge perché non crede nell’esistenza di Dio, è empio; ma chi, pur ignorandole, conosce, grazie al lume naturale, l’esistenza di Dio e segue quindi una vera norma di vita, è in stato di perfetta beatitudine e lo è più del volgo, perché oltre ad opinioni giuste, possiede anche una conoscenza chiara e distinta. Infine, chi ignora le storie della Scrittura e non conosce nulla per lume naturale, se non empio, è però un essere estraneo all’umanità e quasi un bruto e non ha alcun dono di Dio. Ciò che occorre tuttavia non è che il volgo conosca tutte le storie contenute nei testi sacri; ma occorre che esso conosca solo quelle storie che sono capaci di spingere l’animo all’obbedienza e alla devozione. Ma il volgo, da solo, non è in grado di apprezzarne il valore, perché esso trae diletto dai racconti più che dalla dottrina contenuta in essi. Per questo motivo ha bisogno, oltre che della lettura delle storie, anche dei pastori che lo istruiscano. Chi legge le storie della Scrittura e a tutte presta fede,ma non coglie l’insegnamento cui mira la Scrittura attraverso di esse e non corregge la propria condotta di vita, ne trae il vantaggio che otterrebbe se leggesse il Corano o i drammi dei poeti.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Valentina Ducceschi
[Visita la sua tesi: "Il Vangelo morto sulla croce - Lettura de L’Anticristo di Friedrich Nietzsche"]
- Università: Università degli Studi di Pisa
- Facoltà: Filosofia
- Esame: Estetica - a.a. 2005/2006
- Docente: Leonardo Amoroso
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