Begli appunti discorsivi che riassumono i concetti del corso di Filosofia morale dedicato alla filosofia dell'affettività. Vengono presentate le principali riflessioni, soprattutto dei filosofi greci Seneca, Aristotele e Platone, ma anche di Cartesio, sul valore del linguaggio nella creazione di legami e sul valore dell'Eros contrapposto all'Agape e alla riflessione retorica.
LA FILOSOFIA DELL’AFFETTIVITÀ
Appunti del corso di filosofia morale del prof. Fabris a.a. 2004-05
Sinnlichkeit= capacità di sentire, sensibilità.
È necessario innanzitutto:
1. Descrivere il sentire
2. Chiedersi quali siano il fondamento e le condizioni del sentire
Nell’antropologia Kant definisce la sensazione come l’attiva capacità di essere passivi, ovvero la facoltà di
ricevere sensazioni.
a. Platone è il primo a fare una trattazione filosofica del sentire (Fedro)
b. Cartesio dà una spiegazione meccanica del sentire (Le passioni dell’anima)
c. Heidegger sostiene che il nostro modo di conoscere non ha a che fare solo con l’intelletto, con la
ragione, ma anche con il sentire che è un’apertura dell’essere stesso, è coessenziale ai fini della
comprensione. (Concetti fondamentali della metafisica: mondo, finitezza, solitudine).
Cos’è la filosofia morale? L’etica si occupa dell’agire, di fatti, eventi, fenomeni.
1. Atto: è un’azione precisa, compiuta in un tempo determinato.
2. Agire: ha una sua continuità, si svolge nel tempo
3. Comportamento/Atteggiamento: è un modo d’agire reiterato, un modo d’agire che si consolida, si
fa abitudine.
Quando c’interroghiamo su ciò che stiamo facendo, poniamo una domanda di etica.
Etica: riflessione sull’agire, riflessione che si rivolge al fare.
Nel momento in cui c’interroghiamo sulle nostre azioni compiamo un nuovo atto. Attuiamo una riflessione
su ciò che stiamo facendo: s’inaugura così la specifica attività filosofica.
Filosofia morale: riflessione che si rivolge al fare ponendo domande precise. Domandare non è mai
ingenuo: presuppone sempre un certo tipo di risposta.
Ci sono almeno tre tipi di domande, i quali scandiscono i modi in cui si può fare etica:
1. Che cos’è questo? Domanda che crea il proprio oggetto. In una domanda di questo tipo, si dà già
per scontato che si stia parlando di una cosa, di un oggetto. La domanda “che cos’è?” è la prima
porta d’accesso all’etica. Questa domanda prefigura il proprio tema come oggetto. Essa mira alla
descrizione dei processi morali.
2. Come? Domanda che descrive le caratteristiche dell’oggetto.
Lo scopo di queste domande è quello di spiegare i nostri atteggiamenti morali.
3. Che cosa debbo fare? Una simile domanda mette in gioco l’ambito del dovere. A tale ambito si
ricollega poi quello della scelta, della possibilità. Emerge il concetto di “possibile”: mondi diversi in
cui lo scegliere può esercitarsi. Proprio perché l’uomo può fare, ha bisogno di un’unità normativa
che gli dica che cosa deve fare, ha necessità di una guida.
4. Che SENSO ha il mio agire? Dove trova il suo fondamento? Se non posso più fare riferimento a una
natura definitiva dell’uomo e a un dovere divino o culturalmente determinato? Emerge la
situazione de nichilismo, cioè l’indifferenza nei confronti di tutto e di niente. In questa prospettiva
tutto è posto sullo stesso piano: disinteresse. La morale dell’assenza di senso è la morale della non
morale. all’indifferenza si contrappone la capacità di differenziazione, la possibilità di un punto di
riferimento al mio agire e al mio pensare, la possibilità di un orientamento che mi dica che una cosa
è differente dall’altra, che esiste una gerarchia. È necessario elaborare un senso che non sia
soggettivo, a universalmente condivisibile.
Le azioni vengono valutate, osservate da tre punti di vista diversi.
Etica: complesso di criteri che guidano le nostre azioni. È una riflessione sul nostro comportamento. L’etica
si occupa di esplicitare quei valori che guidano azioni e comportamenti.
Dal greco “ethos”:
1. eta
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1. s: rimanda alla tradizione dei costumi di una civiltà, alla cultura di una comunità. (Azione
collettiva)
2. s: rimanda alla prassi e al costume individuale (Azione individuale)
Nel “De fato” Cicerone definisce etica come costume, ovvero mos, moris. Ciò che riguarda l’ambito dei
costumi da quel momento sarà detto morale. etica e morale indicano entrambe la riflessione sulle azioni
individuali e collettive e la loro riflessione.
Due livelli:
1. Agire: etica
2. Riflessione sull’agire: etica filosofica (filosofia morale) = META-ETICA
Domande fondamentali dell’etica:
1. Che cosa sto facendo? (definizione)
2. Come, in che modo sto agendo? (descrizione)
Si tratta cioè di definire e descrivere il nostro comportamento.
In Aristotele:
1. Etica eudemia
2. Etica nicomachea
3. Grande etica
La descrizione dell’agire si ricollega alla definizione del bene. Per Aristotele l’uomo agisce per conseguire il
bene. Vengono cos escluse tutte le azioni che perseguono il male. Queste ultime non vengono considerate
umane o quantomeno spiegabili con le categorie aristoteliche.
Male:
1. inteso come qualcosa che non intendo come tale;
2. giustificato perché teso al raggiungimento di un bene superiore.
Il presupposto è che non si fa il male per il male e che ogni azione è finalizzata al bene.
a. modello universalistico: ogni uomo persegue il bene;
b. modello individualistico: l’uomo persegue ciò che per lui è bene.
L’agire è sempre rivolto a uno scopo. L’agire ricerca i mezzi più adeguati per raggiungere il bene.
Per Aristotele il bene s’identifica con la felicità. L’eudemonia è il realizzare il progetto di vita migliore;
la felicità si realizza nella vita filosofica, nella vita dedicata alla contemplazione. La filosofia è il bene
supremo.
Il dio-filosofo di Metafisica XI è la realizzazione in atto del bene supremo, l’esemplificazione
dell’eudemonia.
Ora sappiamo che l’uomo è scisso tra bene e male e si tenta una risposta con la problematica del dovere
della seconda etica.
La filosofia coglie l’essenza del tutto. Pensare significa passare da ciò che è osservabile da tutti, alla cosa in
sé, alla vera struttura della cosa. Per Kant non è possibile attingere ciò che sta dietro i fenomeni, cogliere
l’essenza in sé. Possiamo conoscere solo ciò che ci appare. Kant fonda così il livello trascendentale.
a. Trascendente: è il livello metafisico che sta dietro alle cose; è la realtà in sé, quella parallela al
mondo dell’apparenza in cui viviamo. Il filosofo può attingere a quel mondo parallelo in virtù del
suo pensiero.
b. Trascendentale: è ciò che individua la condizione di possibilità di ogni mio agire, di ogni fare. È un
sinonimo di “apriori”. È una dimensione tra il mondo trascendente e quello empirico. Le strutture
trascendentali sono le strutture del pensiero.
È il soggetto che detta le regole. A partire dal soggetto umano bisogna chiedersi che cosa dobbiamo fare.
Nella “Critica della ragion pratica” Kant si domanda che cosa si deve fare. Per lui la domanda “Cosa debbo
fare?” apre le porte alla filosofia morale.
1. Che cosa posso sapere? (Domanda conoscitiva)
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www.tesionline.it 2. Che cosa debbo fare? (Domanda morale)
3. Che cosa posso sperare? (Domanda religiosa)
Queste domande posso essere riassunte in una sola: “CHI È L’UOMO? (Filosofia antropologica kantiana).
Si deve ripensare ogni rapporto a partire dal concetto di soggetto. Con la tradizione ebraico-cristiana si
parte da un dovere (10 comandamenti). Kant recupera questa tradizione. Il problema è quello di
interpretare filosoficamente una religione perché il rapporto tra l’uomo e dio non è più scontato. Kant
laicizza il principio del dovere. Egli:
1. riporta il principio morale alla soggettività;
2. laicizza il principio del dovere; dovere in cui comando a me stesso (non si può far riferimento a
un’istanza superiore in un temo in cui dio è morto);
3. questo dovere non mi dice concretamente cosa devo fare. Mi dà la struttura alla quale si deve
uniformare la mia azione se intende essere morale.
L’azione diviene morale nella misura in cui l’egoismo lascia posto all’universalità, nella misura in cui questa
può essere valida per tutti. L’imperativo categorico a cui mi sottopongo, mi dà la norma generale per
riconoscere la moralità di un’azione. Io trovo in me l’imperativo categorico. La legge morale dipende dalla
ragione.
Come può l‘uomo essere felice? Secondo Kant la felicità deriva dall’agire morale. Egli definisce sommo bene
il frutto dell’unione di moralità e felicità. Ma vi è l’esigenza che questo sommo bene si realizzi. Esso si
realizza soltanto in virtù di un dio che si faccia garante di quest’unione. Dio è il garante del senso della mia
vita.
Per Nietzsche la moralità è il risultato di una serie di circostanze storico-culturali. La morale è quindi
relativa alla cultura di provenienza. Essa si configura come l’interpretazione dei nostri rapporti con gli altri.
Per Nietzsche, infatti, tutto è interpretazione.
Si giunge all’assunzione che tutto sia indifferente, privo di senso. L’indifferenza morale nasce dal
relativismo morale del nichilismo. Il Novecento ha cercato di fare i conti con la problematica del nichilismo
recuperando il concetto di senso.
La filosofia del senso è l’ermeneutica contemporanea (Heidegger, Gadamer). Rifondando l’etica attraverso
la nuova dimensione del senso, si cerca di contrastare l’indifferenza del nichilismo.
Qual è il SENSO del mio agire?
Gli sviluppi scientifici hanno radicalmente modificato il concetto di agire umano. Il potere dell’uomo è stato
enormemente ampliato. Se l’agire si amplia, si ampliano anche i modi di fare etica.
Limiti sviluppati:
1. limite relativo al potere dell’uomo di incidere sull’ambiente e sull’esistenza dell’uomo stesso.
2. limite di natura superiore. Manca infatti un limite che poteva venire da un’istanza superiore. Ora
sono solo in noi le ragioni del nostro agire.
L’etica contemporanea cambia prospettiva; non si possono più fare discorsi generali. Nascono gli ambiti di
etica applicata ai determinati ambiti. L’etica si colloca sul terreno di altre scienze. Si tratta, allora, di
accordare i problemi dell’etica generale con le questioni concrete.
È proprio vero che sappiamo cosa significa provare qualcosa? Le emozioni, gli affetti sono cose?
È possibile una filosofia dell’affettività?
“Affetto” indica qualcosa da cui siamo colpiti. (Dal latino adfectum, participio passato del verbo adfiere,
portare qualcosa). Adfectum si ritrova per la prima volta in Agostino che lo utilizza come traduzione del
termine greco pathos.
Kant: com’è possibile ricevere affezioni?
Dobbiamo trovare le condizioni di possibilità che ci fa essere affetti da qualcosa. Kant considera ogni
rapporto sensibile nei termini di un’affezione. La nostra capacità di ricevere sensazioni si chiama sensibilità.
Ogni volta che utilizziamo determinate parole, ci facciamo veicolo di prospettive ben precise, di precise
interpretazioni.
Affetto: è un passivo, il risultato di un’azione precedente. È qualcosa inserito in un rapporto causa-effetto.
(Cartesio: l’affetto è un effetto).
Appunti di Valentina Ducceschi
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