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Piacere e sapienza nel "De finibus"



PERCHE’ IL PIACERE E’ IL TERMINE ULTIMO

Poi dimostra che il piacere è il supremo bene. La miglior condizione è: fruire di grandi, molti, continui piaceri fisici e spirituali, con una fermezza d'animo che non teme la morte e il dolore (la morte è priva di sensibilità, il dolore è lieve se dura a lungo e breve se forte), la volontà divina e non lascia sfuggire i piaceri passati, rallegrandosene invece. Se il supremo male è vivere con dolore e pena, il supremo bene è vivere con piacere.  Nulla per natura può preoccupare o angustiare.  Ma in genere gli spunti di tutte le azioni partono o dal piacere o dal dolore. E tutti gli atti giusti han dunque questo riferimento, quello di vivere con piacere, il nostro estremo termine del bene. Siccome esso a null'altro si riferisce (tutto è in vista di lui) e ad esso si riferisce ogni cosa. Quindi il sommo bene è vivere piacevolmente. Chi ripone il sommo bene nella sola virtù commette un errore. Se tali virtù non producessero piacere,  chi le giudicherebbe degne di essere lodate o ricercate?? Così approviamo la scienza medica non in funzione dell'arte in sè, ma della buona salute.

LA SAPIENZA

Lo stesso, non si ricercherebbe la sapienza, se non avesse alcun effetto. Essa ci aiuta infatti ad acquistare piacere. La vita umana è tormentata per l'ignoranza del bene e del male. La sapienza (vedi le considerazioni di epicuro sulla filosofia) ci aiuta a sopprimere terrori, cupidige, false opinioni, scaccia dall'animo la mestizia e il timore. Le cupidigie sono insaziabili. Da esse nascono le guerre e i dissidi. Anche nell'intimo dell'anima ci sono dissidi, che rendono la vita amara. Obiettivo del sapiente è soffocare la vanità e l'errore, per vivere senza timore. Epicuro. classificò:
-desideri naturali e necessari (si soddisfano senza grande fatica o spesa)
-desideri naturali e non necessari (lo stesso)
-desideri nè naturali nè necessari (per loro non si può trovare limite o termine)
Quindi bisogna ricercare la sapienza per i piaceri e fuggire l'ignoranza per i dispiaceri.

Tratto da "DE FINIBUS" DI CICERONE di Dario Gemini
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