L’appello avverso alla sentenza dichiarativa di fallimento
Per rimediare ai possibili vizi della sentenza, l’art. 18 prevede che contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto appello dal debitore e da qualunque interessa con ricorso da depositarsi entro 30 gg presso la corte d’appello.
Prima d’ogni cosa, vanno chiariti quali poteri abbia il giudice d’appello e cosa possa fare dinanzi ad una sentenza di fallimento nulla, oppure ingiusta:
a. La regola generale è quella del c.d. effetto devolutivo dell’appello, che indica che al giudice dell’appello sono attribuiti poteri rescindenti e rescissori. Ciò sta a significare che il giudice d’appello non può limitarsi a sanzionare una eventuale nullità pronunciata dal primo giudice, ma deve poi provvedere nel merito e, quindi, stabilire,se sussistono i presupposti per la dichiarazione di fallimento. Dunque, se la sentenza è ingiusta, il giudice dell’appello la corregge e la sostituisce con sentenza “giusta”. Mentre, se la sentenza è nulla, il giudice dell’appello rinnova le attività processuali nulle dinanzi a sé, e poi pronuncia comunque una sentenza che sostituisca quella impugnata;
b. La prima consente al giudice d’appello di rimettere la causa al primo giudice affinchè questi ripeta il processo considerato nullo: in questo caso, la ripetizione delle attività nulle e l’emanazione della sentenza giusta non vengono poste in essere dal giudice dell’appello ma dal giudice di prima istanza. L’istituto della rimessione della causa al primo giudice sembra possibile anche avverso la sentenza che dichiari il fallimento, anche se l’ambito di applicazione è ristretto da alcuni limiti previsti, per analogia, dall’art. 354 c.p.c… Tra questi vi è quello per il quale il giudice dell’appello rilevi la nullità della notifica dell’istanza di fallimento, pronunciato in contumacia del fallito, oppure quello della nullità della sentenza perché non sottoscritta dal Presidente del collegio o dal relatore;
c. La seconda eccezione si ha quando il giudice d’appello, rilevando una nullità, non deve ripetere l’attività processuale nulla e poi emanare una sentenza giusta, ma deve solo chiudere in rito il procedimento. Sono questi i casi in cui il vizio processuale consiste nel fatto che la domanda non poteva essere proposta, oppure l’azione non poteva essere proseguita (come nei casi di carenza di legittimazione ad agire). In questi casi, il giudice d’appello non può pronunciare nel merito ma, in via eccezionale, deve chiudere il procedimento con una sentenza processuale.
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Autore:
Alessandro Remigio
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- Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
- Facoltà: Economia
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