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Codici etici:
Gli appunti affrontano il tema della bioetica. La bioetica è un campo in cui forti sono i contrasti tra le varie ideologie e tra le multiformi visioni o concezioni della vita. Vengono analizzati i codici etici in ambito lavoristico:
• il codice deontologico degli avvocati italiani,
• il codice deontologico dell'attività giornalistica,
• il codice di autodisciplina pubblicitaria,
• il codice deontologico dei medici italiani,
• il codice di comportamento dei dipendenti pubblici,
• i codici etici dei magistrati.
Successivamente ci si concentrerà sulle procedure per assicurare cogenza ed effettività ai codici etici ed sul ruolo dei comitati etici nel mondo del lavoro e il progetti di riforma degli ordini professionali.
Infine viene descritta la bipartizione delle norme contenute nei codici di autodisciplina.
Dettagli appunto:
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Autore:
Marianna Tesoriero
[Visita la sua tesi: "Mind Control: strategie di controllo mentale attraverso i media"]
- Università: Università degli Studi di Messina
- Facoltà: Scienze della Comunicazione
- Corso: Scienze della Comunicazione
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I CODICI ETICI Appunti di Marianna Tesoriero Università degli Studi di Messina Facoltà di Scienze della Comunicazione Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione Esame di Biochimica Docente: Italia Di Liegro Anno Accademico 2015/2016 I CODICI ETICI La bioetica è un campo in cui forti sono i contrasti tra le varie ideologie e tra le multiformi visioni o concezioni della vita. Proprio l’estrema incompatibilità del contenzioso filosofico morale ha condotto a raggruppare intorno a nuclei di aggregazione etica coloro che piø si avvicinano a tali collanti assiologici, in gruppi di soggetti ideologicamente caratterizzati. Pertanto non è assurdo ipotizzare che tali formazioni sociali possano codificare le loro regole nelle forme statutarie costituzionalmente previste. Ormai tutti i gruppi sociali cercano di darsi una propria disciplina e relative norme deontologiche, volte a realizzare un comportamento uniforme dei propri membri, utile in termini di immagine e di forza del gruppo, ma anche espressione di autonomia. Alcuni settori delle complesse società occidentali non riescono ad essere disciplinati esclusivamente da norme di legge in quanto i comportamenti relativi a tali ambiti si svolgono piø nel campo dell’etica che in quello del diritto. . E regole che meglio si adattano a questi particolari settori sono quelle extragiuridiche o metagiuridiche, frutto di autoregolazione e caratterizzati da un alto tasso di condivisione all’interno della categoria di riferimento, così ad esempio, nell’ambito lavoristico abbiamo gli ordini professionali dotati di un proprio codice etico, fenomeno estesosi anche ai pubblici dipendenti. Altro chiaro sintomo di chiare dinamiche di aggregazione etica, che si manifestano questa volta in modo trasversale a molteplici settori della società, è costituito dai club service, tali hanno come fine istituzionale la promozione di una scrupolosa osservanza da parte dei soci, dei doveri giuridici e morali nella loro vita pubblica e privata. L’estrazione dei soci dalle varie categorie professionali xmette ai clubs di contribuire alla moralizzazione del lavoro e degli affari in quanto propugnano un’azione professionale praticata secondo i canoni previsti negli statuti dei clubs, intendono diffondere regole etiche nelle relazioni umane. Ogni socio deve tendere al servizio dell’uomo in quanto componente dell’intera società civile improntando l’attività professionale al concetto di servizio, con la conseguente moralizzazione dell’ambiente di lavoro si tende a contribuire fattivamente al bene della società. Questi si ispirano a principi di lealtà, rettitudine, solidarietà, amicizia. Si delinea così il codice etico dei soci che prescinde dalle loro particolari ed eterogenee convinzioni religiose, politiche e culturali. I clubs evitano di operare interferenze tra la sfera etico-sociale e quella morale-intima. (* sono diversi dalla Massoneria). Anche i gruppi di volontariato esprimono in pluriformi tavole assiomatiche(con la creazione di codici condivisi) le eterogenee ispirazioni etiche del loro impegno solidaristico. Se un tempo era la semplice pratica della carità e e dell’altruismo verso i piø poveri e deboli ad ispirare le varie associazioni filantropiche, x lo piø di matrice confessionale, con il mutare della società si sono create nuove forme di agire volontario. Accanto a questo tipo di volontariato rivolto a fare del bene all’altro si è sviluppata tutta una serie di altre azioni volontarie che si pongono in una dimensione di solidarietà verso l’uomo in quanto tale, cioè anche se non si trova in una particolare situazione di emarginazione o disagio. Oltre quindi alla motivazione altruistica, di ordine morale, altre ragioni basate su etiche diverse da quella tipicamente cristiana della carità, hanno ispirato nuovi gruppi di volontariato. Due sono le grandi matrici: la cattolica e la laica. Con riferimento all’area cattolica, dal centro alla periferia si dispongono una miriade di iniziative ordinabili in base al loro legame con le strutture della chiesa cattolica, fino a quelle iniziative dall’ispirazione evangelica. Relativamente all’area laica, vi sono organismi e associazioni, movimenti e gruppi cittadini che, anche se credenti, intendono fare una piena esperienza laica senza premesse confessionali o dipendenza con la chiesa, accettando una totale responsabilità a titolo personale, lavorando fianco a fianco di qualsiasi cittadino disponibile al servizio dell’uomo. Le motivazioni che animano queste nuove iniziative dell’agire volontario sono collegate a esigenze emerse con il mutamento della società. Così con l’avvento del welfare state e con la sua crisi gruppi di cittadini si sono mostrati particolarmente sensibili. Un ulteriore aspetto innovativo del fenomeno volontaristico è rappresentato dalle cooperative di solidarietà sociale le quali nello svolgere un servizio in cui si materializza il loro principio etico ispiratore, ricavano degli utili che poi distribuiscono in parte agli stessi soci. Cade così la caratteristica un tempo imprescindibile dell’assenza di lucro. Oggi azione volontaria non è sempre sinonimo di lavoro gratuito. Un’altra forma di manifestazione del volontariato moderno è rappresentata da quei gruppi e movimenti che avvertendo in modo particolare la preoccupazione x il degrado ambientale, organizzano forme di denuncia e di sensibilizzazione sociale: Verdi, WWF, Green Peace. In questo contesto si collocano, inoltre, quelle forme di interrelazione volontaristica svolte dalle organizzazioni non governative ONG x la cooperazione allo sviluppo Nord-Sud, si tratta di gruppi associativi privati che nell’elaborare e realizzare progetti di aiuto e di sviluppo delle zone economicamente piø arretrate del mondo coinvolgono gli stessi interlocutori di tali aree rendendoli attivamente partecipi all’opera d’integrazione, in tale quadro non è escluso che i primi traggano qualche utilità dai secondi: interscambio! Dall’esperienza delle ONG traggono vantaggio anche le stesse società occidentali del Nord che però subiscono forti flussi migratori dal Sud diventando sempre piø multietniche e multiculturali, costrette quindi a fronteggiare quotidianamente problemi di integrazione razziale. In ogni caso le ONG forniscono anche informazioni su usi e costumi delle varie popolazioni del Sud. Proprio nella fucina delle ONG si è forgiata la figura dell’intermediario culturale che va a smussare i contatti non perfettamente combacianti di due o piø culture. Tali intermediari sono soggetti collegati con le ONG o perchØ volontari o perchØ cooperanti essi stessi, ed hanno una certa pratica di codici culturali e comportamenti diversi. Un incentivo alla multiforme attività volontaristica può venire dall’apertura di istituti bancari che si impegnino a sostenere queste iniziative, in Italia nel gennaio del 99 ha aperto la prima Banca etica. Si tratta di un’importante iniziativa di finanza etica e consiste nel gestire professionalmente il risparmio x finanziare specificamente il terzo settore (quello etico). Finora i tanti gruppi di volontariato hanno fatto ricorso ai normali canali finanziari x poter gestire attività di alto valore etico. Purtroppo l’accesso a tali canali viene spesso negato dal mondo finanziario che non si fida di queste imprese dai patrimoni limitati. La banca etica è quindi una specifica banca x il settore non profit che si differenzia dalle altre aziende di credito perchØ garantisce ai suoi clienti l’impiego etico dei loro depositi, la trasparenza delle operazioni e la partecipazione alla scelte di investimento. Tecnicamente anche la banca etica richiede sui finanziamenti che concede un tasso d’interesse, ma tra i piø bassi del mercato. Per ottenere questi finanziamenti agevolati l’organizzazione non-profit dovrà contattare uno dei soci fondatori che gli farà da sponsor, questi produrrà un certificato di eticità assumendosi così piena responsabilità in merito alla suddetta valutazione . La banca etica provvederà a controlli mediante il comitato dei Garanti, il quale avrà accesso alle informazioni necessarie x le sue valutazioni e fungerà da garante x i risparmiatori. Un’altra opportunità offerta dalla banca etica è quella di permettere ai suoi clienti, verso quale settore indirizzare i propri risparmi. Ogni banca etica generalmente si specializza in un indirizzo di finanziamento, che viene codificato nel suo statuto, attraverso tale codice l’istituto di credito manifesta i valori etici che la motivano, esplica i principi etici che sovrintendono l’attività di impiega della banca etica. I CODICI ETICI IN AMBITO LAVORISTICO. Per quanto riguarda i codici etici in ambito lavoristico occorre preliminarmente avvertire che la divisione del lavoro sociale e professionale tende a unificare i singoli membri in un tessuto di interrelazioni la cui resistenza va al di la della portata utilitaristica di scambi e servizi, x arrivare a manifestare un’esigenza di coesione spirituale attraverso l’elaborazione di principi deontologici comuni. Questo fenomeno si registra con riferimento a professioni sia pubbliche che private. In riferimento al lavoro autonomo, varie sono le categorie di professionisti che si sono avvalsi del potere di autorganizzazione loro riconosciuto dallo stato: avvocati, notai, medici, dottori commercialisti, architetti, ecc. questa generale capacità di autogestione risulta composta da 3 elementi : 1. Autonomia, potere di formare norme giuridiche valide ed efficaci rispetto a un ordinamento, riconosciuto ad un soggetto distinto dalla istituzione sovrana e che xtato non può considerarsi esplicazione di sovranità. 2. Autarchia, potere di amministrare, svolto anche nell0interesse della collettività politica da organi di soggetti distinti dallo stato. 3. Autocrinia, corrispondente alla terza funzione statale di giurisdizione indiretta. In virtø di questi 3 poteri le classi professionali possono ad esempio tenere un albo degli iscritti, imporre loro contributi economici, stabilire le tariffe degli onorari e soprattutto fissare delle regole di disciplina comuni a tutta la categoria. Si è in presenza (in presenza di autonomia) di veri e propri ordinamenti dei gruppi professionali all’interno del piø generale ordinamento statuale. Lo Stato, o meglio, secondo il diritto, le fonti extragiuridiche non si trasformano di regola in fonti dell’ordinamento generale. Quest’ultimo può solo fare rinvio alle norme di ordinamenti particolari le quali quindi si limiteranno ad esplicare una forma di rilevanza nell’ordine giuridico. Tra l’ordine deontologico e l’ordine giuridico esiste una relazione inter-sistematica la quale esalta, anzichØ ridurre, il potenziale di interazione, di mutamento e di implementazione di entrambi i sistemi. Gli ordinamenti extrastatuali sono espressione della capacità dei singoli gruppi sociali di organizzarsi autonomamente. Tutti questi ordinamenti, che costituiscono il diritto vivente di una società, vengono recepiti parzialmente dall’ordine giuridico, le cui fonti rivestono però un ruolo solo sussidiario x le particolari comunità. Queste ultime (tra le quali rientrano gli ordini professionali) attribuiscono una grande rilevanza ai loro ordinamenti proprio x la particolare capacità di rispondere immediatamente ai bisogni sociali. E’ come se la deontologia fosse una specie di diritto vivente fondamentalmente indipendente dalla struttura statuale di produzione normativa e riconducibile invece alle esigenze organizzative di un certo gruppo che persegue una ottica autonoma, non necessariamente nØ totalmente coincidente con quella dello stato, anche se strettamente connesso ad un momento cruciale nell’ambito dell’attività statuale (il processo). IL CODICE DEONTOLOGICO DEGLI AVVOCATI ITALIANI. Una delle categorie professionali che non disponeva fino a poco tempo fa di un proprio codice di autodisciplina a livello nazionale era quello degli avvocati. Occorre infatti distinguere tale normazione domestica dalle regole di deontologia forense che sono frutto di eteronormazione; esse hanno la loro fonte negli artt. 12 e 38 del novembre 93, n.1578, della legge professionale forense. La prima di queste due norme giuridiche impone agli avvocati di adempiere il loro ministero con dignità e decoro, mente la seconda prescrive a carico di quei professionisti colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio, affermando che tale procedimento possa essere oggetto del controllo finale della corte di cassazione a sezioni unite, queste erano le uniche norme positive atte a disciplinare la condotta degli avvocati, nel senso che l’individuazione e l’applicazione di specifiche regole deontologiche erano rimesse alle decisioni disciplinari degli organi forensi, chiamati a pronunciarsi sui ricorsi. Con l’emanazione del codice deontologico si è provveduto ad integrare tali determinazioni giuridiche formalizzando anche qualificazioni di ordine etico. Il codice degli avvocati, infatti, non realizza solo un’esigenza di certezza ed esaustività dell’ordinamento forense ma anche di identificazione (etica) del ruolo sociale del difensore. Un codice deontologico contiene anche regole etiche radicanti nel sensus di appartenenza alla particolare comunità che la identificano spiritualmente. Il codice deontologico forense, fornisce agli avvocati una tavola assiologica di riferimento che li guida in maniera chiara nell’esercizio della professione. Con tale strumento può essere rivalutata da parte della comunità la figura e il ruolo del difensore la cui condotta risulta costantemente e piø agevolmente valutabile alla luce di questo suo statuto etico. E’ stato il consiglio nazionale forense a procedere nell’elaborazione delle norme, pescando tra la prassi instaurata dalla giurisprudenza consiliare e, prendendo in esame i codici deontologici già redatti dai singoli consigli dell’ordine locali e dalle associazioni e istituzioni comunitarie e internazionali. Si è voluto coinvolgere nella misura piø ampia possibile la categoria sollecitando osservazioni e proposte sul progetto preliminare, poi si è proceduto alla redazione del progetto definitivo, successivamente approvato dal consiglio nazionale forense. IL CODICE DEONTOLOGICO DELL'ATTIVIT À GIORNALISTICA. Nel settore dell’informazione il problema dello svolgimento della professione secondo valori etici corretti è fortemente condizionato dal’esigenza di tutelare la privacy. Infatti, se l’attività giornalistica è costituzionalmente garantita dalla libertà di stampa occorre d’altra parte considerare che x tale via possono essere perpetrati attacchi alla riservatezza. Proprio al fine di apprestare una garanzia idonea a questi due diritti costituzionalmente sanciti, si è voluto creare un chiaro strumento etico capace di guidare i giornalisti nella funzione di informare. Tale categoria risultava fino a poco tempo fa sprovvista di un codice deontologico. A seguito della legge 32 dicembre 1996 n.675 c’è stata una forte sollecitazione a confezionare tale importante strumento. Nel caso in cui tale categoria non fosse riuscita a dotarsi x tempo di un codice di autodeterminazione, quest’ultimo sarebbe stato imposto dall’esterno della categoria, dal Garante della privacy. Il 3 agosto del 98 è stato pubblicato il codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica ai sensi dell’art 25 della legge del 31\12\96. Il codice è rivolto all’attività e non alla professione giornalistica quindi deve essere osservato da tutti coloro i quali esercitano il diritto di manifestazione di pensiero. Le sanzioni disciplinari sono applicabili solo ai giornalisti, i quali xò non soggiacciono alle sanzioni penali o amministrative tranne che l’inosservanza delle norme sulla privacy fissate nel codice non arrechino una lesione penalmente rilevante alla dignità e all’identità delle persone protagoniste dei fatti. Il codice pone in primo piano la tutela della persona umana, i suoi diritti fondamentali, e a contemperarli con il diritto di informazione e la libertà di stampa. Salva l’essenzialità dell’informazione il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti nei fatti lesive della dignità della persona, ne si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca il guornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione. Particolare riguardo alla tutela della persona malate, il giornalista nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza e al decoro personale, e si astiene a pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico. Un altro traguardo che si intende raggiungere col codice consiste nel contribuire a rivalutare il ruolo dei mass media nella società. Questa infatti accusa il sistema dell’informazione di essere poco affidabile e di ispirarsi solo allo scoop e al sensazionalismo. Tale logica di mercato conduce spesso a violare i diritti fondamentali della persona. Il codice fissando principi quali il rispetto della verità sostanziale dei fatti e della persona umana, può offrire un valido aiuto x recuperare un rapporto di fiducia tra i giornalismo e i suoi fruitori. Il codice agevola l’ordine dei giornalisti nella valutazione del comportamento dei suoi iscritti chiamati a svolgere correttamente l’importante attività di comunicazione multimediale. Senza il codice l’informazione multimediale sarebbe disancorata da regole di comportamento, enucleate alla luce dei valori fissati nell’art 2 della costituzione a salvaguardia della dignità della persona. Con l’emanazione del codice la società risulta maggiormente tutelata anzichØ aggredita dall’esercizio di una importante libertà che caratterizza un moderno stato di diritto: la libertà di informazione. E’ necessario xaltro che, al di là della questione della privacy, a cui sembra immediatamente collegato il codice, si apra un dibattito piø generale sul complessivo stato di salute dell’informazione. e’ importante che a tale dibattito non partecipino solo i protagonisti del giornalismo ma anche gli utenti di questo servizio, cioè tutti i cittadini, in quanto titolari del diritto di essere informati. Assumono particolare rilevanza le associazioni di utenti e di consumatori quali Codacons, l’Adiconsum ecc., che rivendicano una maggiore attenzione etica nei rapporti di mercato. IL CODICE DI AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA. Per quanto riguarda il settore della pubblicità, a differenza del giornalismo che si è dotato solo recentemente di un codice deontologico, la pubblicità ha in tale ambito un’esperienza trentennale, ci riferiamo al Codice di lealtà pubblicitaria, che risale al 1966 in seguito alla prima sono state elaborate numerose altre edizioni tra cui quella del 75 che segna anche il cambio di denominazione in Codice di autodisciplina pubblictaria. Con il codice di lealtà pubblicitaria ci si limitava a voler contribuire all’affermazione di un costume di lealtà e di correttezza dell’intero settore e fornire alla magistratura validi criteri x la determinazione dei principi della correttezza professionale pubblicitaria. Successivamente sono stati operati numerosi aggiornamenti in risposta alle sempre nuove esigenze sociali maturatesi anche a livello europeo. Cosi il codice di autodisciplina pubblicitaria oltre a mantenere la funzione di realizzare l’interesse corporativo delle varie associazioni di categoria alla tutela della pubblicità in se stessa, si occupa anche dell’intero fenomeno pubblicitario, facendosi pure carico della tutela del consumatore. Il codice di autodisciplina pubblicitaria risulta essere uno strumento deontologico unitario rivolto a salvaguardare la pubblicità da ogni pregiudizio alla sua immagine, formalizzando i valori etici cui si ispira la comunità dei soggetti che esercitano un’attività professionale collegata con la pubblicità. Fra i valori si annoverano il principio di verità dei messaggi pubblicitari, il rispetto della dignità della persona e delle sue convinzioni morali, civili e religiose. Il codice prevede anche il divieto di affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che debbano ritenersi indecenti, impone inoltre di evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e della paura. Tutela in via primaria la sensibilità dei cittadini i quali hann diritto di non essere urtati nelle proprie piø profonde convinzioni e nella propria dignità umana da campagne commerciali e da iniziative propagandistiche. Con i codice il sistema di autodisciplina pubblicitaria acquista i tratti di un ordinamento autonomo rispetto al piø generale ordinamento giuridico. Infatti oltre ad un complesso di regole di condotta esistono anche specifici organi decisori, istruttori o consultivi: il giurì e il comitato di controllo. Per assicurare la piø ampia applicazione delle regole di autodisciplina pubblicitaria si è istituita la clausola di accettazione del codice inserita nei contratti di pubblicità. . Per tale via si è affermato il carattere cogente delle disposizioni codicistiche nei confronti di tutti quelli che si avvalgono della pubblicità come mezzo promozionale nello svolgimento della loro attività di impresa, quindi anche a soggetti non facente parte all’istituto di autodisciplina pubblicitaria (associazione composta da enti interessati al fenomeno pubblicitario e da associazioni professionali o di categoria, i cui statuti ripetono di accettare il codice x via contrattuale. Il procedimento di giurisdizione interna del codice è ispirato a principi alquanto singolari: inversione dell’onere della prova, non necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, estensione della decisione ai mezzi pubblicitari che abbiano accettato il codice, inappellabilità della decisione. Anche le sanzioni sono particolari, esse vanno dal semplice ivito a desistere, conseguente all’accertamento del giurì che il messaggio pubblicitario esaminato non è conforme alle regole del codice; fino a, nel caso della reiterazione di uno spot già inibito, la sanzione della pubblicazione dell’accertamento da parte del giurì dell’inosservanza delle sue decisioni. Oltre al giurì di autodisciplina pubblicitaria esistono altre autorità istituite in conseguenza del proliferare di leggi sulla pubblicità, sia pur dotate di un potere di cognizione limitato a certi settori merceologici: società quotate in borsa, banche, assicurazioni ecc. esiste xtanto a causa della confusione che può generare questa numerosità di figure nonchØ di norme e ruoli, esiste il rischio di un contrasto fra le decisioni di ogni organo. IL CODICE DEONTOLOGICO DEI MEDICI ITALIANI. L’Ordine professionale piø prolifico nell’emanazione dei propri codici disciplinari è quello dei medici: il loro codice deontologico è arrivato nel 1998 alla sua 5° edizione il primo fu nel 54. I valori costituenti l’asse portante del codice sono la difesa della vita e della salute della persona umana nel rispetto della sua libertà e dignità. Con riferimento alla tutela della vita umana si è sostituito il termine compito del medico con DOVERE del medico, accentuando così l’obbligatorietà professionale a difesa dell’esistenza. Inoltre la salute è intesa nell’accezione piø ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona. Da non tralasciare anche la sostituzione operata nel codice del termine cittadino in PAZIENTE in modo che in quest’ultimo potesse trasparire un rapporto di subordinazione al medico. Risulta palese come la medicina non vada piø intesa solo quale scienza del malato ma anche del cittadino sano che ad essa si rivolge nell’intento di potenziare o migliorare le proprie condizioni fisiche e psichiche non compromesse da patologie. E’ possibile quindi notare come la sensibilità deontologica e la capacità della classe medica di autoregolamentare l’attività dei propri membri abbia condotto all’elaborazione di un codice deontologico da cui emerge un’impostazione concettuale aperta alle modificate linee guida provenienti da altre scienze quali il diritto o la bioetica. Si è prodotto così un codice etico in cui traspare una forte volontà di rinnovamento. Dalle ultime due stesure del codice dei medici emerge una normativi medica sui generis, che mette in luce l’inerzia delle istanze istituzionalmente deputate ad approntare soluzioni giuridiche. Si afferma, invero, un ruolo normativo del medico, indispensabile filtro etico, mediatore del sapere tecnico, partecipe del processo legislativo attraverso i gruppi di pressione, propositore di norme giuridiche e infine riferimento obbligato x qualsiasi riflessione sulla libertà coscienza in ambito biomedico. IL CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI. Per quanto concerne il grande settore del lavoro dipendente, con particolare riferimento a quello pubblico, occorre richiamare l’art. 58 bis del decreto legislativo del 23 febbraio del 93 n. 29, che ha introdotto nell’ordinamento italiano i codici deontologici x il personale della pubblica amministrazione. Tale norma prevede il codice di comportamento x la generale categoria dei dipendenti pubblici e i codici etici x ciascuna magistratura e x l’avvocatura dello stato. Il codice dei dipendenti pubblici rappresenta un semplice sforzo di individuazione delle forme di corretto adempimento della prestazione lavorativa. Emerge qui una duplice natura dei codici di condotta nel settore pubblico: i codici etici dei magistrati si avvicinano ai codici deontologici tipici delle categorie professionali, mentre i codici di comportamento dei dipendenti pubblici sono analoghi a quelli in uso presso le aziende private. Per quanto riguarda i codici di comportamento il suo contenuto richiama da un lato i valori dell’etica pubblica e dall’altro l’idea di correttezza nell’adempimento, è il dipendente a impegnarsi a rispettare il codice, questo impegno è la necessaria accettazione della particolarità del rapporto di lavoro prestato nell’organizzazione pubblica. Tale particolarità diversifica la codificazione dei doveri nella pubblica amministrazione da quella relativa agli obblighi nel lavoro privato: nel settore provato la definizione dei doveri del dipendente è richiesta solo nei limiti in cui la loro violazione dia luogo a sanzioni disciplinari, nel settore pubblico è necessaria una codificazione tendenzialmente completa. Pertanto col codice, l’individuazione dei doveri è specifica e completa. E’ proprio questo l’aspetto saliente di un codice etico: manifestare l’impegno totale del lavoratore, suggellandolo con una serie di obblighi morali che garantiscano il corretto adempimento della prestazione lavorativa. Per questa via si vuole fronteggiare il malcostume imperante in larghi settori dell’amministrazione pubblica con uno strumento di maggiore respiro e soprattutto meno traumatico di quello penale. E’ vero però che il codice agevola l’evidenziazione delle responsabilità del personale. Si rischia così di contestare ad esempio un reato a un dipendente solo x aver violato una norma del codice. Una simile evidenza rappresenterebbe un abuso di uno strumento che serve x prevenire e non x provare la commissione di reati o la violazione di qualche codice di condotta, ciò che voglio dire è che comunque la situazione, la responsabilità penale, va valutata alla luce di tutti gli elementi richiesti dalla norma incriminatrice. Da uno sguardo complessivo al codice si ricava l’impressione che esso non tenga conto del pluralismo presente anche nel settore dell’amministrazione pubblica. Emerge un’esigenza di diversificazione non limitata alle tipiche distinzioni del mondo del lavoro ma dettata da parametri vigenti x la piø generale società civile (lavoratori handicappati, appartenenti a minoranze etniche e religiose etc.). sembra opportuno cioè elaborare ulteriori codici piø specifici, relativi a singole amministrazioni o a singole categorie di dipendenti, che siano piø vicini alle reali e diversificate esigenze e quindi in armonia con il patrimonio etico-culturale dei rispettivi gruppi di appartenenza. La nuova versione dell’art 58bis si preoccupa anche della diffusione e dell’applicazione dei codici di comportamento, attribuendo ai dirigenti responsabili di ciascuna struttura uno specifico potere di vigilanza e alle pubbliche amministrazioni il compito di organizzare attività di formazione del personale x la conoscenza e la corretta applicazione dei codici. La creazione di appositi comitati etici x il pubblico impiego potrebbe agevolare il progetto , tali organi di consulenza potrebbero svolgere un ruolo di ausilio x il dipendente nel corretto utilizzo del codice etico della sua categoria e nella pratica effettiva dello stesso. I CODICI ETICI DEI MAGISTRATI. Occorre adesso soffermarsi sui codici etici adottati dalle varie magistrature (ordinaria, amministrativa, contabile, militare) e dell’avvocatura dello stato. In conseguenza al solito art.58bis nasce l’esigenza di
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