Appunti di lezioni del corso di Diritto costituzionale, tenuto dal prof. Andrea Morrone.
Il giusto indennizzo nell'espropriazione forzata
di Alessia Podeschi
Appunti di lezioni del corso di Diritto costituzionale, tenuto dal prof. Andrea
Morrone.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto costituzionale
Docente: Andrea Morrone1. Introduzione al concetto di proprietà privata
La Costituzione italiana, all’art. 42, riconosce il diritto alla proprietà privata: “La proprietà è pubblica e
privata. Laproprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che nedetermina i modi di acquisto, di
godimento e i limiti allo scopo diassicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.
Laproprietà privata è dunque un diritto riconosciuto e garantitodalla legge, la quale però fissa anche dei
limiti al suo esercizio.
Infatti,l’art. 42 introduce la funzione sociale della proprietà, checonfigura appunto un limite ad essa,
individuabile nel dovere diesercitare i propri diritti in modo non egoistico, cioè senzacomportare un
eccessivo sacrificio degli interessi altrui, mapiuttosto nell’interesse dell’intera collettività.
Lostesso termine “funzione” delinea uno scopo nel diritto diproprietà, uno scopo sociale appunto, che
consiste nel bilanciarediritti e doveri nell’interesse della comunità a cui siappartiene.Inoltre,la Costituzione
riconosce – nei casi stabiliti dalla legge -l’espropriazione per pubblica utilità, per motivi di interessegenerale
e salvo comunque il diritto del proprietario di ottenere ungiusto indennizzo.
Affermainfatti l’art. 42 terzo comma: “La proprietà privata puòessere, nei casi preveduti dalla legge, e
salvo indennizzo,espropriata per motivi d’interesse generale”. Anchel’art. 834 cc contiene le stesse
previsioni: “Nessuno puòessere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se nonper causa di
pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro ilpagamento di una giusta indennità”.
L’espropriazioneè dunque il più forte limite alla proprietà, dato che il dirittodel proprietario viene, in questo
modo, sacrificato a vantaggiodell’interesse collettivo. In caso di contrasto tra interesseprivato ed interesse
pubblico è, dunque, quest’ultimo a prevalere.La legge prevede comunque un’indennità, come risarcimento
per ilproprietario che ha subito l’espropriazione e che ha perciò persoil suo diritto, il quale è divenuto, come
si dice in questi casi,affievolito.
Lanormativa in materia di determinazione dell’indennità che spettaal proprietario in caso di espropriazione
ha subito nel temponumerosi cambiamenti, il che ha portato all’elaborazione didifferenti principi.
Inogni caso l’Italia sembra essere l’unico Paese europeo nel qualenon viene corrisposto un giusto
risarcimento agli espropriati. InGermania, invece, in determinate circostanze, ad esempio quando vi èun
forte valore affettivo, si riconosce un indennizzo superiore alvalore venale del bene.
Dalcanto suo, la Corte Costituzionale, dal 1957 ad oggi, hacontinuamente affermato che la Costituzione,
all’art. 42, nongarantisce l’integrale ristoro economico per i soggetti chesubiscono l’espropriazione.
Alessia Podeschi Sezione Appunti
Il giusto indennizzo nell'espropriazione forzata 2. Il calcolo dell'indennità attraverso le sentenze della Corte
costituzionale
Riporto di seguito un elenco dei vari criteri di calcolo dell’indennità succedutisi nel tempo e delle varie
visioni della Corte costituzionale al riguardo:
- La disciplina in materia era un tempo dettata dalla legge n. 2359/1865, chiamata “legge fondamentale”, che
affermava il criterio del valore venale, in base al quale l’indennizzo era rappresentato dal valore di mercato
del bene, cioè dal giusto prezzo che, secondo una valutazione effettuata da periti, avrebbe avuto l’immobile
se fosse stato oggetto di un normale contratto di compravendita.
- In seguito, date le scarse risorse finanziarie disponibili, venne adottato un criterio più restrittivo per
assegnare un’indennità ai soggetti espropriati.Nacque così, nel 1885, la “Legge Napoli”, che introdusse
appunto un nuovo criterio, dato dalla media tra il valore di mercato o venale e l’insieme dei fitti (canoni di
locazione) dell’ultimo decennio; nel caso in cui non fossero provati tali canoni di affitto, essi venivano
sostituiti dai redditi imponibili catastali.
- Con la sentenza 61/1957 della Corte Costituzionale, è stato affermato che “l’interpretazione letterale e,
in un certo senso, meramente etimologica, del concetto dell’indennizzo, non può essere accolta. Essa
prescinde del tutto dagli elementi storici e sistematici, che, invece, essenzialmente devono contribuire a
determinarla e, soprattutto, difetta della necessaria considerazione dello sviluppo e della evoluzione che il
concetto di indennizzo ha, via via, subito attraverso le varie leggi relative alla espropriazione per pubblica
utilità; inoltre, la Corte ha affermato che il criterio del valore venale non ha carattere assoluto e che, infine,
l’indennizzo va stabilito in base al rapporto tra il valore di mercato del bene e gli scopi di pubblica utilità, i
quali devono essere conseguiti tramite un bilanciamento con l’interesse privato, ma restando, pur sempre,
sovraordinati a questo.
- Con sentenza 67/1957, la Corte affermò poi che l’espressione indennizzo, di cui all’art.42 Cost., non va
interpretato nel senso letterale ed etimologico della parola, ma solo come il massimo di contributo e di
riparazione che, nell’ambito degli scopi d’interesse generale, la Pubblica Amministrazione può garantire
all’interesse privato, secondo una valutazione che spetta al legislatore nell’esercizio dei suoi poteri
discrezionali, affermando, quindi, la legittimità del criterio di determinazione dell’indennità di cui alla
“Legge di Napoli”.
- Successive sentenze hanno poi affermato che il potere discrezionale del legislatore nella determinazione
dell’indennità è limitato dall’esigenza che l’indennizzo non sia irrisorio e che, la possibilità di corrispondere
indennizzi diversi a seguito di espropriazione di beni identici è ammessa solo in presenza di differenziazioni
improntate a ragionevolezza e giustizia sociale.
La sentenza 15/1976
- Con la sentenza 15/1976, poi, la Corte Costituzionale, ha sostenuto che l’indennità non deve
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