Strategia e governance degli intermediari finanziari:
Il corso è un insegnamento avanzato di gestione delle banche e degli intermediari finanziari. Approfondisce lo studio delle funzioni manageriali: strategia, organizzazione, marketing, controllo di gestione, nonché delle specificità e problematiche che presentano nel settore degli intermediari finanziari.
A.A. 2019/2020
Argomenti trattati:
• SREP
• PROBLEMA STRATEGICO DELLE BANCHE
• IL TASSO DI CAMBIAMENTO
• PROCESSO STRATEGICO
• STRATEGIA
• 3 GRANDI PROCESSI/DOCUMENTI STRATEGICI
• MACRO TRENDS
• MISSION E VISION
• BUSINESS MODEL
• VBM IN BANCA
• I PROCESSI DECISIONALI
• SISTEMI DI MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE
• LE LEVE DI REDDITIVITÀ
• IL CLIENTE INQUADRAMENTO STRATEGICO
Dettagli appunto:
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Autore:
Elisa Bellati
[Visita la sua tesi: "Le politiche monetarie non convenzionali"]
- Università: Università degli studi di Genova
- Facoltà: Economia
- Corso: Economia delle Istituzioni e dei Mercati Finanziari
- Esame: Strategia e governance degli intermediari finanziari
- Docente: Marco di Antonio
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Strategia e governance degli intermediari finanziari Appunti di Elisa Bellati Università: Università degli Studi di Genova Facoltà: Economia Corso di laurea magistrale in Economia e Istituzioni Finanziarie (EIF) Esame: Strategia e governance degli intermediari finanziari Docente: Marco di Antonio Anno Accademico 2019/2020Strategia e governance degli intermediari finanziari SREP (processo che fa il supervisore di revisione e valutazione del processo che fanno le banche) quindi valutazione interna di adeguatezza del capitale. Le autorità di vigilanza svolgono un regolare esercizio di valutazione e misurazione dei rischi a livello di singola banca. Questo momento fondamentale dell’attività di vigilanza, denominato “processo di revisione e valutazione prudenziale” (supervisory review and evaluation process, SREP), consiste nel sintetizzare i risultati emersi dall’analisi per un dato anno e nell’indicare alla banca le azioni da intraprendere. Nello specifico, lo SREP mette a fuoco la situazione dell’intermediario in termini di requisiti patrimoniali nonché di gestione dei rischi. Nella decisione SREP, che l’autorità di vigilanza invia alla banca a conclusione del processo, si definiscono gli obiettivi fondamentali per fronteggiare le problematiche riscontrate. La banca deve quindi effettuare un intervento correttivo nei tempi previsti. Per assicurare parità di condizioni è indispensabile applicare gli stessi parametri a tutte le banche. Lo SREP fornisce ai responsabili della vigilanza uno strumentario armonizzato per esaminare il profilo di rischio delle banche da quattro diverse angolazioni. 1. Modello imprenditoriale: “La banca è dotata di una strategia aziendale sostenibile?” i responsabili della vigilanza valutano la sostenibilità dell’assetto delle singole banche, in altre parole esaminano se siano impegnate in un’ampia gamma di attività oppure si concentrino soltanto su alcuni rami di operatività. Una banca che si occupasse esclusivamente di spedizioni marittime, ad esempio, sarebbe altamente vulnerabile a un rallentamento del commercio mondiale o alla concessione di finanziamenti eccessivamente generosi agli armatori, con un conseguente rischio da gestire. 2. Governance e gestione del rischio:” Gli organi di amministrazione sono idonei e i rischi sono gestiti in maniera adeguata?” i responsabili della vigilanza analizzano la struttura organizzativa delle singole banche tenendo sotto osservazione i loro organi di amministrazione e verificando se i rischi siano gestiti in modo adeguato. 3. Rischio di capitale: “La banca detiene riserve sufficienti per assorbire le perdite?” i responsabili della vigilanza appurano se la banca disponga di una rete di sicurezza adeguata per assorbire eventuali perdite derivanti, ad esempio, da attacchi al sistema informatico, da un brusco ribasso dei prezzi petroliferi o dal mancato rimborso dei prestiti nei tempi previsti. 4. Rischio di liquidità e di provvista:” La banca è in grado di soddisfare il fabbisogno di liquidità a breve termine?” i responsabili della vigilanza verificano la capacità della banca di sopperire a esigenze di liquidità specifiche, ad esempio, in fasi di incertezza economica in cui i titolari di depositi potrebbero ritirare somme molto più cospicue del solito. Hanno tutti uno score da 1 a 4 e il regulator da i voti. Ci sono le misure di supervisione I gruppi di vigilanza congiunti (GVC), impegnati nel processo SREP in modo continuativo, preparano una decisione SREP per ogni banca una volta l’anno. La banca riceve una lettera nella quale si specificano le misure che dovrà attuare l’anno seguente. Il regulator ha una propensione al rischio diversa e questo è un problema di conciliazione degli obiettivi della banca e del regulator. PROBLEMA STRATEGICO DELLE BANCHE Le banche hanno un problema strategico e lo capiamo dal deterioramento se le cose non vanno bene ma anche dal fallimento di parecchie banche, dalla (relativamente recente) attenzione posta dal Regulator alla strategia (modelli imprenditoriali, Business Model Analysis, rischio strategico), dalla comparsa di nuovi competitor, con modelli imprenditoriali molto diversi: Fintech, digital/cloud bank (Illumia), challenger bank e dal profondo cambiamento del contesto (comune peraltro a tutti i settori). Non sempre è facile capire un problema se è tattico o strategico (su cosa transigo e su cosa no perché magari alcune cose si possono cambiare). Magari lo capisco dopo 10 anni di calo di redditività e vedo che il problema è strategico. Ma non bisogna aspettare, soprattutto se peggiorano gli equilibri economici. (un po' di persone si licenziano dalla mia banca, perché? Non ho costi ma è un problema). Non sempre le banche si fanno in modo sistematico la domanda di come mai se ne vanno le persone perché a ogni problema il vertice dovrebbe cercare di capire se il problema è tattico o strategico. Se i problemi sono strategici, devo cambiare strategia migliorando il processo di elaborazione e realizzazione della strategia (processo di pianificazione strategica). A volte l’output riesci a valutarlo ma a volte no (almeno prima del consumo e della spesa). La qualità di un piano strategico appunto si valuta alla fine. Modi per migliorare la strategia: - migliorare il processo di elaborazione e realizzazione strategica, quindi migliorando il piano industriale. Valutiamo il piano industriale non dal contenuto dello stesso ma dal suo processo di realizzazione. La valutazione può avvenire sulla base di diversi indicatori. Sarebbe meglio valutare l’output ma nel sistema banking è difficile farlo in tempi utili per questo si tende piuttosto a valutare il processo che porterà all’output. Ad esempio non possiamo valutare come andrà un investimento prima di averlo fatto quindi dobbiamo valutare il processo che ci porta a decidere se investire o meno. In caso di investimento si valuterà quindi il business plan per valutare l’investimento stesso, ovviamente si tratta di una proxy. - Il secondo metodo per migliorare la strategia è intervenire sulla governance e sulla struttura organizzativa della banca. L’organizzazione in sé non porta a risultati, i risultati sono dati dalle decisioni prese di giorno in giorno le quali però si inseriscono all’interno del sistema organizzativo che a sua volta si inserisce all’interno del piano industriale. In caso di problema si rompe il legame tra ambiente esterno e strategia della banca. Quando abbiamo un problema nei risultati quindi dobbiamo cambiare la strategia per riallinearla all’ambiente esterno e risaldare il legame che si era rotto. Bisogna capire se il problema di risultati è effettivamente vero oppure no, e se si quanto è grande questo problema. Se la redditività ad esempio è inferiore al costo del capitale per forza abbiamo un problema di risultato, questo problema è grosso perché sta durando da tempo. Risultati e problema strategico Le banche hanno davvero un problema strategico e di risultato perché la redditività è inferiore al costo del capitale. È un problema grosso perché dura da tempo anche se si sta leggermente riassorbendo. Per capire meglio ci dobbiamo chiedere cos’è il risultato: non è solo questione di redditività anche se di fatto le banche considerano un po' solo quello. La banca che fa risultati è una banca performante, ossia che fa performance. Cos’è la performance? La capacità di generare profittabilità sostenibile. Nel caso dei sub prime ad esempio il risultato era la redditività quindi sarebbe stata considerata performante però era un tipo di redditività non sostenibile. Dimon, presidente della JpMorgan definisce invece la performance come un pacchetto di cose, non solo la redditività. Quindi cosa deve fare una banca? Dipende da chi la giudica. A seconda di chi giudica la banca avremo diversi punti di vista, ognuno porrà l’enfasi su un aspetto diverso. Gli stakeholders della banca (ossia chi ha legittimo interesse nella performance della banca) sono: l’autorità di settore (ossia il regulator), gli azionisti, la collettività in generale, i creditori, i clienti, il personale e il management. Il punto chiave per la banca è capire quali siano gli stakeholders prioritari ossia quelli a cui rispondere in modo prioritario, non tutti hanno la stessa importanza per la banca. Uno dei primi scopi della banca è quello di distinguere quale sia il proprio vincolo (ossia ciò che si vuole minimizzare) e quale sia il proprio obiettivo (ossia ciò che si vuole massimizzare). Ad esempio soddisfare gli interessi del regulator è un vincolo, si vuole fare il minimo indispensabile per non incorrere in sanzioni. In ogni caso dobbiamo ricordare che anche se non sono sullo stesso piano, la banca soddisfa gli interessi di tutti questi soggetti, non può mettersi contro nessuno di loro. Quindi la banca mira a minimizzare le esigenze degli stakeholders vincolo e a massimizzare le esigenze degli stakeholders obiettivo. Se ci sono troppi stakeholders obiettivo (che hanno tendenzialmente la stessa importanza), problema di trade-off perché spesso le loro esigenze entrano in conflitto anche se sono tutte importanti. 3 modelli astratti di performance che dipendono dallo stakeholder: 1) la performance tradizionale è quella economico finanziaria: profittabilità in modo adeguato in base alle esigenze dei suoi azionisti. prospettiva shareholders 2) Performance sociale che è proprio l’opposto: scopo di soddisfare azionisti ma anche la società. prospettiva CSR 3) La via di mezzo tra queste due accezioni estreme di performance è la performane allargata: non da tutti i punti di vista ma solo dei suoi stakeholders prioritari, quindi solo alcuni. Scelgo i sogg chiave da cui dipende il suo successo e cerco di far felici loro (clientela, personale, collettività). prospettiva multi-stakeholders. Ragionando sulla 1 e la 3 che sono le + diffuse Poniamo alcuni modelli concettuali che ci aiutino ad analizzare il sistema bancario: si può dire prima della crisi la il motivo della crisi il modello shareholders era dominante a livello teorico, di prassi, di regulation e soprattutto relativamente alle banche + grandi ma il tema delle finalità della banca e della scelta dei criteri in base ai quali valutare il suo successo sono cambiati. Perché? La crisi ha messo in discussione sto modello da un lato e dall’altro lato l’aumentata competitività rende difficile fare performance e questo quindi forse richiede + attenzione alla strategia, alla gestione e al mio orientamento quindi (se essere share holders ecc). l’aumentata esposizione e la più condivisa percezione del rischio climatico e ambientale; vedi prospettiva Envirorment Social Governance ESG che oggi prende un po' il posto della CSR. È qualcosa di + della redditività degli azionisti. connesso a questo è l’obbligo di «comunicazione non finanziaria»: in cui le grandi imprese comunicano al mkt info relative alla loro performance sociale e ambientale. la tradizione delle nostre banche: «social oriented», Le nostre banche hanno tradizione di commercial banking, retail…quindi tradizionali sono legate al territorio e quindi sembra più una prospettiva stakeholders ESG piuttosto che shareholders. Banche locali/del territorio; commercial banking/lending anzichè attività sui mercati, elevata sindacalizzazione, scelta di una «economia sociale di mercato». Le banche hanno fallito da tutti i punti di vista Vediamo alcuni dei profili di underperformance rispetto a diversi stakeholder: - Azionisti: abbiamo una bassa redditività delle banche e un crollo dei prezzi delle azioni - Clienti: c’è un aumento della mobilità, un maggior turn over di clienti e una perdita di clienti a favore di nuovi concorrenti. Inoltre sono in aumento le cause legali e le contestazioni rivolte alle banche ed è crollata la fiducia - Personale: c’è un clima organizzativo deteriorato, sono aumentati i licenziamenti ed è peggiorato il trattamento economico - Collettività: c’è una bassa reputation - Regulator: perdita di fiducia e passaggio dalla light alla heavy regulation Per la società il financial service nel 2019 ha incrementato di 2 punti il grado di fiducia ma nonostante questo un settore merdoso. Il migliore è il settore tecnologico e manifatturiero come reputazione delle persone. Le banche sono al penultimo posto come grado di fiducia, superiori solo al settore dei media. Nel 2006 prima della crisi le banche erano al secondo posto. Facendo un sondaggio sui giovani, le banche sono sempre messe male, solo i partiti riescono a fare peggio. Il problema di reputazione delle banche non è solo europeo ma tipo anche americano. Nei confronti del regulator le banche soddisfano? No. Anche qui il punto di svolta è la crisi. Lui ha reagito stringendo la regulation rendendo + difficile il raggiungimento dei target di redditività. Se misuro la performance nei confronti dell’azionista anche loro non sono felici. Consideriamo il livello di soddisfazione dell’azionista come il livello di redditività e quindi consideriamo il ROE (return on equity). Vediamo che il ROE è negativo negli ultimi anni quindi il settore bancario è un settore maturo che cresce poco, in cui è difficile fare redditività. Si conclude che il settore bancario non è + capace di creare redditività. Forse i suoi servizi sono un po' fuori moda. Costo del capitale che è tipo un ROE minimo richiesto. Nell’ultimo decennio il settore bancario ha sofferto di calo della redditività ma anche di un incremento del costo del capitale. Abbiamo dei dati europei. Sulle ascisse costo capitale e ordinate roe: prima della crisi le banche avevano un ROE superiore al costo del capitale poi dopo la crisi vanno sotto. Da sto punto di vista il settore bancario è il peggiore. Notiamo che fino al 2006 le banche avevano un ROE superiore al costo del capitale e questo è positivo. Invece dal 2015 vediamo che il ROE delle banche è crollato andando ben al di sotto della soglia minima rappresentata dal costo del capitale. Al momento pochissime banche sono in grado di fornire un rendimento del capitale proprio superiore al costo del capitale. Le banche italiane sono penalizzate da un elevato costo dell’equity che rispecchia sia il rischio paese che l’elevata volatilità. . Roe nelle sue componenti. Passa dal 9,7 al 5,2 in 10 anni e sto peggioramento è dovuto a varie componenti: Osserviamo un crollo del NII (net interest income) cioè il margine di interesse (interessi attivi – interessi passivi). Abbiamo un leggero rialzo delle commissioni da servizi e un miglioramento nella gestione dei costi. Un’altra componente che incide negativamente sul crollo del ROE è il costo del rischio (le sofferenze, le rettifiche di valore sui crediti, parliamo di non performing loans). Perché la redditività è diminuita? • Bassi tassi di interesse e bassi margini perché il quantitative easing ha abbassato i tassi e di conseguenza i ricavi • Rallentamento economico e rischi di recessione, con connessi timori di insolvenze aziendali • Bassa domanda di prestiti • Bassa qualità dell’attivo (sono presenti molti titoli tossici) • Costi operativi ancora elevati (soprattutto per le banche italiane) • Regulation: heavy regulation: ad es. Basel 4, con ulteriore aumento coefficienti di capitale e possibile introduzione di requisito patrimoniale su titoli di stato detenuti; nuovo regime di risoluzione delle crisi bancarie (bail-in) • Livelli di capitale relativamente elevati (anche a causa delle richieste del regulator) • Multe e sanzioni (e incertezza del loro ammontare) per episodi di misselling (v. Deutsche Bank) • Risposte strategiche delle banche inadeguate (modelli di business obsoleti) soluzioni per rialzare la redditività. Per quanto riguarda la congiuntura le banche possono fare poco, è necessaria una ripresa generale dell’economia e delle modifiche nella politica monetaria. Per quanto riguarda le regole si deve cercare una maggiore stabilità è un rilassamento di certe regole. Per quanto riguarda la tecnologia bisognerebbe facilitare la cooperazione con fintech. Costo del Rischio Un altro indicatore da considerare quando trattiamo le banche è il Costo del Rischio (che è molto più alto per le banche italiane che per quelle europee a causa dell’andamento generale della nostra economia e a causa delle diverse attività svolte). Il costo del rischio è dato dal rapporto tra le rettifiche sui crediti e l’attivo in percentuale. Notiamo che esso è salito negli anni della crisi e che ha avuto altri picchi negli anni successivi. CET1 ratio Possiamo considerare anche la capitalizzazione che indichiamo come CET1 ratio ossia il capitale di qualità primaria, in questo caso l’Italia è leggermente più bassa delle grandi banche europee. Il livello di capitalizzazione delle banche italiane è un po' sotto la media non perché siano poco capitalizzate ma perché è + alta la ponderazione media per il rischio. La misura dell’attivo ponderato per il rischio è un indicatore soggettivo che viene calcolata in base a coefficienti attribuiti dal regulator. Questa ponderazione è un po' discrezionale ma utile e sappiamo che le banche italiane hanno un attivo + rischioso perché fanno + prestiti che titoli e la regulation potrebbe penalizzare un po' chi fa prestiti., quindi a parità di capitale, il coeff di capitale è + basso. Leva finanziaria Invece considerando l’indice di leva finanziaria (capitale/attivo) vediamo che l’Italia è sopra alla media europea e questo è positivo. Nel corso degli ultimi anni abbiamo avuto un rafforzamento patrimoniale delle banche sia italiane sia europee, questo processo di ricapitalizzazione è stata una delle principali risposte attuate a livello mondiale contro la crisi. Incidenza dei costi Introduciamo l’incidenza dei costi =costi non finanziari detti operativi (utenze affitti personale ecc..) l’efficienza negli anni è migliorata ed è scesa l’incidenza dei costi. Le banche di italiane sono meno efficienti di quelle europee perché hanno un’ incidenza dei costi altina. Questo è un fattore di sottocompetitività. Scomponiamo l’indicatore di incidenza dei costi sull’attivo: da un lato costo personale unitario e dall’altro lato attivo per dipendente. Ciò che alza l’incidenza dei costi non è il costo del personale ma la produttività del personale ovvero l’attivo del dipendente. Un papaer dice che il livello dei costi dipende dal business model. Oltre a questo, causa di inefficienza relativa potrebbe essere anche la bassa digitalizzazione. Bassa produttività perché ho tecnologia obsoleta. Rapporto delle società di consulenza per capire diagnosi: banche americane vanno meglio perché hanno maggiore redditività attesa perché hanno regulation meno intensa. La soluzione sarebbero delle fusioni che però in Europa sono un po' ostacolate. Sono invece + percorribili fusioni azionarie. La nuova fase di consolidamento necessaria si basa su tre razionali: a) sinergie di costo; b) integrazione di fabbriche prodotto a partire dall’asset management; c) massa critica per abilitare gli investimenti digitali. C’è bisogno di una evoluzione dei modelli di fare credito, nella direzione di partnership con alternative lenders e originate-to-distribute e di un maggior peso dei prodotti fee-based, per avere strutture patrimoniali capital-light. Il rischio di redditività può diventare rischio di stabilità: elementi chiave dell’analisi: sfide cresccenti, erosione margine d’interesse, diminuzione del roe, aumento del rischio di credito, costo incame e appiattimento della posizione di capitale per quanto riguarda il common equity ration. Questi elementi sono al centro dell’analisi del regulator. Nel Finanacial stability report vediamo che l’area euro ha 3 problemi: ha una bassa profittabilità con costi alti, eccesso di capacità e limitata diversificazione dei ricavi dal 2012. In oltre le prospettive del ROE delle banche non sono rosee e alcune ragioni sono cicliche come per esempio gli NPL che però si spera non siano strutturali ma ciclici. Anche la compressione del margine di interesse dovuto ai tassi bassi la BCE dice che è ciclico ma su questo si potrebbe discutere. Scarsa digitalizzazione, livelli eff bassi, eccesso di capacità e molte cose che abbiamo detto sono problemi strutturali invece che è il grosso del problema. La risposta sarebbe un cambiamento della misura di business e facendo consolidation, quindi misure strategiche. Il consolidamento potrebbe essere una buona risposta ma ci sono problemi e barriere da parte delle pratiche di mkt ma anche da parte della regulation. La BCE commenta ste barriere e dice che ci sono: i costi di integrazione, la complessità organizzativa di aggregare, sfida associata di entrare in nuovi mercati, e poi ci sono restrizioni ai flussi di capitale all’interno di un gruppo, e poi magari avrò requisiti + alti ecc.. IL TASSO DI CAMBIAMENTO: esistono cambiamenti diversi e si può misurare il cambiamento e capire il suo impatto. Vediamo 3 vettori di misurazione: c’è un problema di intensità del cambiamento, di velocità del cambiamento con i relativi tempi di adattamento che la banca avrebbe (elemento importante) e poi la durata del cambiamento (se è ciclico o strutturale). La velocità di adattamento è aumentata e le cose stanno cambiando. Le banche rischiano. Non è detto che è il leader o il + innovare a sopravvivere, la banca che vincerà a sfida competitiva sarà quella + predisposta al cambiamento. Parola d’ordine cambiamento! Il fattore chiave di successo non sono le dimensioni, i prodotti, i clienti perché il cambiamento rapido e intenso svaluta questi fattori. Questo cambiamento chiede 2 cose fondamentali: capire che succede (alcune cose stanno cambiando, direzione intensità durata..) e adattarsi in modo coerente fronteggiando il cambiamento. Richiamiamo il processo strategico e mettiamo l’accento sull’analisi strategica interna ed esterna. È una fase importante nella fase che costruisce il piano strategico. “Se dovesse riassumere tutte le nuove sfide per le imprese in una parola, quale userebbe?” “Non ho dubbi: cambiamento!” ”Qual è stato il più grande cambiamento del capitalismo ?” M. David-Weill: “Il cambiamento più importante a cui ho assistito è che il tempo si è accorciato. Il numero delle decisioni che un imprenditore deve prendere oggi perché l’azienda continui o migliori la sua performance è diventato più grande. Le scelte strategiche non sono mai state così frequenti come in questo periodo, il tutto in un contesto generale che mai, prima d’ora, è cambiato così velocemente. Quando si parla di modelli, non ne vedo uno in particolare. Si tratta di esercitazioni intellettuali che non rispondono alla realtà. La verità è che oggi la rapida evoluzione dei mercati esige cambiamenti strategici costanti” Dilemmi del cambiamento: • «Scelte strategiche frequenti» è un ossimoro: la scelta strategica è «irreversible», il piano strategico deve dare una direzione chiara e durevole, l’organizzazione deve dare stabilità • La velocità del cambiamento azzera l’effetto apprendimento • Attenzione alle «best practice», ai benchmark, ai modelli suggeriti dalle società di consulenza • Non è detto che l’azienda sia in grado di gestire certi livelli di complessità. ricordiamo che quando parliamo di banche parliamo di aziende complesse internamente. Implicazioni: • La concorrenza riguarda la sopravvivenza nel business • La concorrenza si sposta verso i modelli di business • La gestione diventa più difficile • Cambiano i fattori chiave di successo competitivi (es. da quota di mercato, dimensioni, redditività attuale a capacità di adattamento e innovazione) • Cambiano i fattori chiave di successo organizzativo (strutture flessibili, capacità di innovazione e imprenditorialità, processo strategico) Secondo Steve Jobs va bene cercare di anticipare il cambiamento ma non troppo perché se poi sbaglio scenario non posso + tornare indietro. È un trade-off. Non posso essere già salito sul treno perché se poi partono altri treni io sono già sull’altro. La sfida è questa. Quali competenze deve sviluppare la banca in uno scenario così? - Crescita dell’intelligenza strategica (individuare, analizzare e capire le sfide) - Strategia di diversificazione (il cambiamento porta opportunità di nuovi business oltre che minacce) - Organizzazione decentrata, flessibile, con clima organizzativo aperto, capacità a sperimentare e ad apprendere (learning organization), «democratica», diversa, motivante - Orientamento all’azione, - Velocità di risposta, non di stare a chiedere nuovi dati prima di decidere - Flessibilità dei modelli di business - Radicamento e rafforzamento delle proprie competenze distintive - Cambiamento di mission, obiettivi, strategie - Innovazione che prima era + un costo - Comunicazione (modalità + contenuti della proposta di cambiamento) - Creare il senso di urgenza (simulare crisi ?) spesso ci si accorge che bisogna cambiare quando è troppo tardi - Solidità patrimoniale - Leadership forte - Management giovane - Fortuna