APPROFONDIMENTI
Metachiasma ed Erotismo Ontologico
"La carne é impensabile. La sua stabilità è proporzionale alla nostra incapacità di vederne le incessanti deviazioni: cosí è continuamente retroflessa, identificata. Tuttavia, non essendo mai completamente, è irriconoscibile. La carne non si specchia. Se lo facesse, non si riconoscerebbe. Ma è tra gli specchi che potremmo scorgerne l’ombra, sempre spezzata, sfuggente, sfigurata, sempre tradita nelle singole manifestazioni, sempre promessa tra le relazioni, le prospicienze. Diviene, si trasforma, e nelle incessanti transmutazioni cessa di essere algoritmabile, tuttalpiù é vivibile. La variazione prende il sopravvento sul tema, pur continuando a retroflettere, tematizzandosi, e tuttavia ripetendo a smentirsi come tema, ingurgitata dalla tempesta di echi che l’hanno violentata. L’esposizione espropria, sfratta, per essere poi a sua volta sfrattata, espropriata. La carne è in performance perenne."
Anonimo
Se cercassimo un’immagine capace di visualizzare l’approccio della tradizione filosofica occidentale al mondo della vita potremmo forse trovarla in un romanzo poliziesco: la filosofia recita la parte del detective che sopraggiunge – in cronico ritardo – sulla scena del delitto. Il lavoro del filosofo, quindi, consiste nella ricomposizione concettuale di un puzzle che è già stato. Tuttavia, anche in questa prospettiva tipicamente platonica emerge la natura correlata della filosofia. La filosofia irrelata non ha senso. Occorre quindi pensare l’identità della filosofia a partire dall’orizzonte relazionale nel quale è immersa: in che modo pensare il relazionarsi della filosofia al resto, dopo essersi accorti che essa non si trova in una posizione di dominio rispetto a ciò di cui parla, e che l’affanno del detective è proprio una conseguenza del suo desiderio di possesso, tipico della Filosofia del Begriff? In altri termini: come fare una filosofia dello scarto? In che modo pensare l’engagement, l’arruolarsi della filosofia?Come praticare una filosofia che se la rida di se stessa , cioè che “si neghi formulandosi” ? E, infine: per filosofare occorre far altro?
La filosofia – come del resto l’umano – non sono pensabili a partire da un’essenza astratta, inscambiabile, autarchica; al contrario – presi entrambi in un divenire transizionale ed eteroriferito – sono in continuo commercio col mondo che abitano ed in perenne eterogenesi con esso. Così, oltre a mettere in questione il termine umano e gli -ismi ad esso correlati, è forse necessario interrogare il termine Filosofia: per farlo si potrebbe partire da una lettura metachiasmatica del pensiero merleau-pontiano, come se il non detto della sua filosofia della carne sia proprio il concetto di una carne della filosofia. É questo il risultato implicito della filosofia del chiasma: la filosofia non sfugge alla carne, ed è anzi il suo essere carne a farne un orizzonte spossessante, una filosofia “polimorf[a] a più entrate”. In quest’ottica la filosofia dei concetti appartiene alla carne della filosofia come la parte al tutto, cioè come una delle caleidoscopiche brecce/creuses di questa carne. Si tratta quindi di filosofie piuttosto che di Filosofia, di identità mutanti all’interno delle quali la tradizione filosofica occidentale è una concrezione particolarmente resistente – ma solo una – delle molteplici modalità di ripiegamento del sensibile nel senziente. Eccedenza della filosofia: la filosofia non è incompleta, ma cerca di farsi e disfarsi in un orizzonte carnale di relazioni, diventando il luogo virtuale di quella “reversibilità sempre imminente e mai realizzata di fatto” tra se stessa e le a-filosofie che la circondano – arte, letteratura, cinema, architettura, design, scienza, vita… In che modo, quindi, ripensare il ruolo del filosofo e della filosofia in rapporto alle a-filosofie? Come approdare nella zona d’indistinzione, nell’intorno tra l’una e le altre, e lì filosofare? Come può la filosofia dei concetti accedere in tempo reale a una visibilità anonima – cioè ridiventare carne?
Pensando alle a-filosofie come ad eventi generatori d’orizzonti carnali, possiamo forse parlare dell’11 settembre come di un evento a-filosofico, di una carne filosofica analogica sulla quale la filosofia dei concetti si áncora generando orizzonti di pensiero, costringendo il filosofo ad affrontare l’impensato e la sua esplosione a-concettuale. Se “i pensieri sono l’ombra delle sensazioni” , infatti, la carne della filosofia come forma di impensato è l’ombra del filosofo, l’a-concettuale precipitato di lebenswelt che sfugge alla relazione normata tra il (super)io e il mondo. Stiamo cercando di parlare di una filosofia dell’impensato come di uno dei virtuali risvolti carnali del sensibile nel senziente, e così facendo apriamo il pensiero all’immaginario implicato nella reversibilità tra il visibile e l’invisibile, che si manifesta attraverso il velo del reale e che amplifica gli echi della visione-voyance, imprigionati nella camera anecoica della logovisione cartesiana. Vediamo sempre più di quanto si vede proprio perché vediamo meno, e in questo senso il velo non è il limite ma il gancio tra il reale e l’immaginario, tra il visibile e l’invisibile pensati come simultanei, piuttosto che antitetici. Ancora meglio, il velo è il luogo del dischiudersi chiasmatico del visibile nell’invisibile, del reale nell’immaginario, del filosofo nella sua ombra. La visibilità assoluta, infatti, porta all’accecamento e all’impossibilità del pensiero-ombra, cui viene meno la superficie di proiezione – il velo stesso.
Forse si potrebbe parlare di un erotismo ontologico: la velatura è ontologicamente erotica perché vela e disvela simultaneamente nella misura in cui si aggancia alle pieghe della carne e ne svela di volta in volta le forme. É come la piega di un vestito che si incarna nelle curve di una donna celandole allo sguardo e insieme aprendole all’immaginazione. Senza il velo e le sue pieghe si entra nel regime della pornografia come visibilità assoluta, il contrario dell’erotismo. É su queste pieghe che agisce l’immaginazione: dietro il velo non c’è nulla, o meglio, ciò che conta, ciò su cui agisce l’immaginazione, sono le pieghe del velo, senza le quali essa sarebbe cieca. Se la visione immagina, infatti, siamo certi che l’immaginazione vede.