APPROFONDIMENTI
La struttura dialogica nelle Prose della Volgare lingua
La struttura dialogica delle Prose della Volgar lingua è costruita con regolarità: i tre libri delle Prose, dedicati rispettivamente alla difesa del volgare, dello stile e della grammatica, sono costituiti in forma di dialogo, elemento principe della trattatistica umanistica in lingua latina, dove lo scrittore dimostra la dignità del volgare e della sua autonomia.
Pietro Bembo intavola un discorso fra personaggi attraverso l’uso del discorso diretto, introducendo qualche volta forme di dialoghi diegetici, nei quali la voce dell’autore presenta la situazione del colloquio e introduce poco a poco i discorsi dei personaggi.
Secondo la terminologia propria di questo genere di ampia diffusione e tradizione, soprattutto nell’ambito umanistico, si produce insieme alla trascrizione dei discorsi diretti una seria di “incisi” situazionali e narrativi.
Rispetto alla fortuna di questo genere discorsivo nel secolo XV e XVI , è opportuno osservare come la soluzione delle Prose della Volgar lingua (ma anche del Cortegiano di Castiglione) e la scelta della tecnica narrativo–diegetica, sia scarsamente frequentata a favore della forma mimetica ossia di diretta trascrizione del dialogo, senza sottotitoli né introduzioni situazionali.
Il compito di esporre il tema fondamentale delle tre semplici giornate, (sono tre i giorni nei quali avviene la discussione), è assegnato ad un interlocutore principale, ossia Carlo Bembo, mentre gli altri che assistono in circolo al dibattito possono intervenire o per contraddire o per proporre risposte appartate.
Carlo Bembo nella finzione del dialogo è portavoce delle idee del fratello (rappresenta l’alter ego di Pietro Bembo): discusse le teorie della lingua volgare fiorentina a Venezia, a casa sua, con tre celebri uomini e quando s’incontrò a Padova con suo fratello Pietro gli raccontò tutto ciò che si era esaminato. In questo modo Pietro pensò di mettere per iscritto questo dialogo, per tanto la sua trascrizione risulta essere di secondo grado in quanto riferì fedelmente i ragionamenti del fratello Carlo con i suoi illustri ospiti e dunque si fidò della sua memoria. Il testo, pertanto, si presenta sotto il segno di questo sdoppiamento di memoria, pur nella sua fedeltà.
La forma dialogica nelle Prose della Volgar lingua, si concentra sui discorsi che sembrano fissare codici e norme stabili, nelle quali la voce che parla segue modelli assoluti e vuole trasmettere verità definitive che escludono qualunque possibilità di contro-risposta: infatti al termine predomina sempre la teoria di Pietro Bembo, ossia la superiorità del volgare fiorentino, illustre modello sui grandi scrittori del secolo XIV.
È molto interessante che, per il suo debutto linguistico-letterario, Bembo scelga la forma del dialogo alla quale permane fedele in tutte le prose latine e volgare di sua invenzione: Gli Asolani, le Prose della Volgar lingua, le altre Operette latine.
Bembo annuncia nelle Prose della Volgar lingua, una sperimentazione in lingua volgare su modello del dialogo ciceroniano; difatti i protagonisti del dialogo, secondo il modello di Cicerone, hanno una distribuzione delle parti molto preciso, con le stesse riserve eclettiche, con la stessa retorica, con la stessa disponibilità ad esprimere in seguito e con eguale efficacia dottrine discordanti.
Si ripete nell’uso della lingua volgare, più che nell’uso del latino, lo stesso valore che Cicerone nei suoi Dialoghi e Trattati dimostra adoperando il latino lì dove si usava regolarmente il greco.
La forma dialogica oggi non è più in voga in quanto la vita vertiginosa del nostro tempo non lo permette, tanto meno quanto finzione, la discussione placida e lunga d’argomenti filosofici-letterari o linguistici.
Nei nostri tempi il Dialogo riappare sotto forma d’intervista giornalistica, nella quale ha importanza solo uno degli interlocutori: l’intervistato.
Il sistema enunciativo delle Prose della Volgar lingua, organizza il dialogo sia in forma di controversia (ad esempio con posizioni diverse, in contrasto, come fra Ercole Strozzi, difensore della lingua latina e Carlo Bembo, difensore della superiorità del fiorentino degli autori del secolo XIV), sia nella forma d’esposizione dove si arricchisce o corregge utilizzando gli interventi degli altri interlocutori.
Il Dialogo è, senza dubbio, molto semplice, in quanto confida sempre ad una sola voce il compito di esporre il tema e la tesi che gli appartiene. È il caso di Carlo Bembo che tendenzialmente è orientato verso il monologo, articolato in voci sussidiarie ma sempre marginali.
Questa condizione enunciativa consente di intravedere facilmente, dietro le voci principali, la voce del soggetto che racconta il tutto, articolandosi e sdoppiandosi in quelle, utilizzando la sua competenza per assumerle come parola-chiave.
La strategia enunciativa delle Prose della Volgar lingua, ricorre costantemente all’uso d’esempi, secondo una tradizione interna e di lunga durata nella storia dell’argomentazione del genero dialogico.
Gli esempi hanno la funzione di generalizzare certe posizioni espresse dagli interlocutori tipo: relazione volgare-latino, lingua materna, lingua straniera, lingua parlata dai Romani, lingua dei Greci, etc.
Vi sono anche esempi di tipo modello in quanto si tratta di campioni sia in positivo sia in negativo: che si devono riprodurre e seguire o evitare e scartare: per esempio perché sia necessario usare il volgare fiorentino e non il veneziano, perché il latino e non il volgare....
Le Prose della Volgar lingua mette in gioco, esplicitamente o implicitamente, una complessa trama di referenze, citazioni, allusioni ad altri testi antichi e moderni; un modo di procedere, questo, che si collega alla cultura occidentale, ad uno specifico modo di produzione testuale. Certamente la cultura di Bembo è classica, pertanto, non potevano mancare referenze a Cicerone e Quintiliano. Inoltre, insieme a questi testi classici, vi sono i testi esemplari della tradizione volgare: Dante, Petrarca, Boccaccio, soprattutto come corpo linguistico prima che testuale.
Testi che rendono possibile la stessa forma di enunciazione in quanto si fanno garanti del proprio modo di dire. L’insistenza sul dialogo implicava la necessità e certamente l’intenzione di chiamare come parte del proprio lavoro “altri”, gli amici soprattutto.
Il Dialogo del primo libro delle Prose della Volgar lingua s’immagina che sia accaduto nel mese di dicembre nell’anno 1502, a Venezia, a casa del fratello di Bembo, Carlo, fra Giuliano de’Medici, Federico Fregoso, Ercole Strozzi e lo stesso Carlo Bembo. Ciascuno dei personaggi, in parte legati direttamente o ad una pratica intellettuale, o ad una situazione sociale e territoriale ben determinata, appare come un modello dei vari volti della crisi linguistica (e non solamente nei suoi aspetti formali): ad esempio l’umanista Ercole Strozzi, celebre poeta latino che aveva ospitato Bembo a Ferrara, lasciò eleganti elegie latine e scrisse anche alcuni sonetti d’intonazione petrarchesca.
Nessun dubbio sulla convenienza storica della parte che Strozzi ha nelle Prose della Volgar lingua, di scrittore fedele alla tradizione umanistica latina. È storicamente confermata anche la conversione che Bembo gli attribuisce al volgare negli ultimi anni di vita. Le sue Elegie latine furono pubblicate da Aldo Manuzio, del quale Strozzi era stato alunno nel 1513. Nel Dialogo delle Prose ad Ercole è dato il compito di provocare la difesa del volgare negli altri tre giorni, dichiarando subito la superiorità della lingua latina alla volgare.
Come secondo interlocutore incontriamo Federico Fregoso d’antica famiglia genovese, uomo di corte e coltivatore di poesia dalle origini, fu eletto secondo arcivescovo di Salerno da papa Giulio nel 1507 e cardinale nel 1536. Manca su di lui uno studio biografico e fu una di quelle figure più singolari dell’aristocrazia italiana nei primi anni del secolo XVI. Valgono per la gioventù e prima maturità della sua vita mondana, politica e letteraria, le testimonianze di Bembo, di Castiglione e d’Ariosto. Dopo un lungo ritiro dal mondo, Fregoso emerge negli ultimi anni come uno dei protagonisti della riforma cattolica e ricordato perché scrisse un Trattato dell’orazione (1542). Nel Dialogo delle Prose, appare nelle vesti di provenzalista, dove si occuperà di delineare un’importante storia della letteratura dalle origini, rivelando una conoscenza della poesia antica da parte di Bembo veramente eccezionale. Studia soprattutto l’influenza della lirica della lingua provenzale sulla nostra lirica toscana.
Come terzo interlocutore incontriamo Giuliano dè Medici, duca di Nemours, cugino di Giulio dè Medici, terzo figlio di Lorenzo il Magnifico. Giuliano figura anche fra i personaggi del Cortegiano di Castiglione e fu un buon affezionato cultore di poesia. Incontrò molti ostacoli per ritornare a Firenze, dopo essere stato espulso nel 1496. Insieme con il fratello Giovanni, attuò autoritariamente la costituzione di Firenze. Dopo l’elezione al pontificato di suo fratello, il Papa Leone X, si diresse a Roma e più tardi gli fu concesso il titolo di duca di Nemours. Nel Dialogo delle Prose il compito di Giuliano è di promuovere il volgare fondato sull’uso e non sulla norma, sui moderni e non sugli antichi, ossia del fiorentino parlato contemporaneo.
Alla fine Carlo Bembo, che ne Dialogo è naturalmente l’alter ego di suo fratello Pietro, proporrà e guiderà il superamento del fiorentino parlato contemporaneo, posizione per Carlo destinata a perdere perché è totalmente in contrasto con la sua tesi, in quanto lui ha il compito di stabilire il criterio assoluto e liberato dal presente al di sopra della storia proponendo l’eccellenza degli antichi modelli del secolo XIV: Petrarca e Boccaccio. Conosciamo pochissimo sulla sua vita, che si può risalire dagli scritti di suo fratello Pietro. Carlo morì il 30 gennaio del 1503, pianto da Pietro in versi latini e rime. Il dialogo delle Prose si finge accaduto nel dicembre del 1502 e lui morì 30 giorni dopo, ossia nel gennaio del 1503. Pertanto il 10 dicembre del 1502 è un giorno fortunato per Carlo Bembo sia perché poteva convivere e dialogare con quei rinomati ospiti, sia perché era il suo compleanno(anche se era l’ultimo che celebrava in quanto molto infermo).
Pietro Bembo considerò opportuno favorire i pochi studiosi della lingua volgare scrivendo un dialogo sulla lingua che gli era stato raccontato da suo fratello Carlo (portavoce delle idee del fratello Pietro), nei giorni nei quali visse a Padova e inviando dopo il Trattato a Giulio dè Medici, ossia Papa Clemente VII (altro personaggio eminente nominato nelle Prose), che come sappiamo è la persona alla quale sono dedicate le Prose della Volgar lingua.
Ritornando al Dialogo, osserviamo che il tema della lingua, attualissimo a quel tempo costituisce una materia malleabile, suscitando nei dialoganti una moltitudine di risonanze che concordano nei vari aspetti del mondo della cultura.
I tre interlocutori, Carlo Bembo, Giuliano dè Medici e Federico Fregoso, sembrano uniti, sebbene ciascuno con la sua ideologia (ad esempio Carlo difende i grandi scrittori del secolo XIV, Giuliano parla dell’uso vivo della lingua fiorentina e Fregoso considera i processi dell’evoluzione e comparazione tra lingua provenzale e lingua toscana) contro Ercole Strozzi, difensore della supremazia della lingua latina. I tre interlocutori sembrano quasi obbligarlo a dichiarare le sue posizioni. Ciò che si osserva è che i quattro protagonisti disputanti sono persone di lettere, di cultura.
Volendo fare uno schema fra chi difende l’arte della lingua volgare fondata su criteri normativi grammaticali possiamo associare certamente Carlo Bembo e Federico Fregoso contro Ercole Strozzi difensore dell’arte della lingua latina, mentre difensore dell’uso vivo della lingua volgare fiorentina contemporanea (come sosteneva Machiavelli) troviamo solamente Giuliano dè Medici.
Ercole Strozzi, difendendo sempre la superiorità e l’eccellenza di scrittura della lingua latina, si presenta come un curioso della lingua volgare toscana fiorentina, ed è compito di Carlo Bembo, essendo questo Dialogo eminentemente retorico, convincerlo a scrivere qualcosa in questa lingua volgare che Messere Ercole considera vile -povera - disonorata.
Le sue asserzioni in difesa del latino non lo convincono sul perché è necessario lodare tale idioma volgare che, seguendo l’impostazione di Bembo, sarà elegante soltanto se i letterati seguiranno il modello dei migliori scrittori toscani del secolo XIV: Petrarca come modello per la poesia e Boccaccio come modello per la prosa. Ercole chiede al suo interlocutore di aggiungere motivazioni valide al suo volgare, soltanto così potrà considerarsi persuaso ed eventualmente scriverà qualcosa in questa lingua.
Contro Pietro Bembo, Ercole esprime il suo disgusto a Carlo sul fatto che suo fratello si allontani dalla scrittura in lingua latina per il volgare. Strozzi per il numero d’interventi nel Dialogo è il principale interlocutore dopo Carlo Bembo, segue poi Giuliano e Fregoso.