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APPROFONDIMENTI

Il counseling individuale: caratteristiche e struttura operativa dell'intervento

13/03/2009

Il counseling individuale: caratteristiche e struttura operativa dell'intervento

Il counseling di gruppo è un intervento d'aiuto preventivo, un processo interpersonale dinamico ed uno spazio psicologico protetto, con funzioni terapeutiche di tolleranza, orientamento verso la realtà, catarsi, fiducia reciproca, comprensione e sostegno1 e nel quale il counselor è impegnato in una relazione simultanea con più clienti.
Il counseling di gruppo si incentra su problemi evolutivi e situazionali e sui comportamenti coscienti portati spontaneamente dai clienti nel corso delle sedute e che vengono condivisi ed affrontati attraverso il lavoro creativo2 con le emozioni. Il nodo centrale del counseling di gruppo è l’orientamento al problema ed ai sentimenti: la riflessione ed il chiarimento delle emozioni e la modifica delle inclinazioni personali sono gli elementi costitutivi essenziali. L’enfasi è posta sulla crescita ed il benessere personale, piuttosto che sulla cura o sui deficit comportamentali. Il primo obiettivo del counselor impegnato nell'intervento di gruppo è la creazione di un clima interpersonale d’aiuto, definito “atmosfera di counseling”, che permette ad ogni individuo di sviluppare internamente e raggiungere un adattamento personale più salutare (Bonney W.C., 1965).3
Dal punto di vista procedurale, è necessario considerare una serie di elementi strutturali che definiscono la peculiare struttura operativa del counseling di gruppo: la selezione dei membri, la durata e la frequenza delle sedute, il tipo di gruppo (aperto o chiuso), la finalità e la metodologia, lo sviluppo ed il mantenimento della relazione, la responsabilità del counselor e del cliente, la conclusione e la valutazione del counseling.
La selezione dei membri spetta direttamente al counselor in prima persona e deve basarsi su criteri quali l'omogeneità dei membri per età e per maturità di comportamento sociale e sull'assenza di relazioni sessuali, amicali o di parentela tra i componenti. La durata di una seduta non deve superare l’ora e mezza. La frequenza di incontro dovrebbe essere di una o due volte a settimana, ma il counselor può stabilire la cadenze delle sedute in modo flessibile sulla base della valutazione e dei risultati degli incontri precedenti. Il gruppo può essere chiuso, ossia senza la possibilità di modificare la struttura assunta al primo incontro, oppure aperto a successive modifiche ed integrazioni del nucleo originario. Secondo l'ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità), principale riferimento metodologico sul counseling di gruppo, la finalità principale dell'intervento è lo sviluppo della consapevolezza delle proprie dinamiche interne ed interpersonali ed il cambiamento di quelle meno funzionali e soddisfacenti, attraverso l’espressione dei sentimenti e vissuti in un ambiente protetto in cui affrontare argomenti, vissuti e sentimenti ritenuti significativi a livello individuale, emozioni e vissuti rilevanti, sperimentare il senso di appartenenza, sviluppare attitudini di membership e di integrazione sociale, arricchire la prospettiva personale attraverso il contributo negoziale di tutti i membri, imparare e mettersi in discussione ed impegnarsi in un lavoro individuale di agevolazione e facilitazione (Murgatroyd S., 1985).4 I partecipanti costituiscono un gruppo d’evoluzione e sviluppo personale, nel quale il counselor svolge la funzione di agevolatore della comunicazione e della circolazione emotiva.
Lo sviluppo della relazione conferisce al counselor una posizione di primo piano, poiché è lui il responsabile organizzativo del gruppo, che fornisce esplicitamente ai membri una serie negoziata di norme e principi guida utili alla creazione di un dato clima operativo. Il gruppo detiene un potere terapeutico diffuso legato alle relazioni, alle dinamiche ed al processo interni allo stesso; il counselor sostiene il clima di counseling e promuove dinamiche positive all'interno del gruppo, al fine di utilizzare tale potere terapeutico ai fini dell'intervento. È responsabilità del counselor trasmettere empatia, accettazione, calore, essere equidistante ed avalutativo rispetto alle dinamiche interpersonali dei membri e deve promuovere l'espressione dei sentimenti e delle emozioni indipendentemente dal numero di clienti impegnati nell'intervento. Le responsabilità dei clienti sono complementari a quelle del counselor, dal momento che, scegliendo di partecipare al gruppo, accettano di condividere i vissuti emotivi e le esperienze e di contribuire a creare il clima di counseling favorevole alla ricerca comune della soluzione dei problemi. Nei confronti della leadership, della membership e degli obiettivi dell'intervento, i membri del gruppo possono assumere ruoli riconducibili a tre categorie: ruoli orientati allo scopo, ruoli di crescita collettiva e spinta vitale, ruoli anti-gruppo. Il counselor è responsabile della chiusura dell'intervento: propone la conclusione se i problemi del gruppo sono stati affrontati completamente, se ritiene che i membri siano sufficientemente maturi per lo scioglimento del gruppo e se ha il consenso maggioritario dei membri. Sono elementi che indicano il cambiamento e la raggiunta maturità del gruppo l'abbandono progressivo delle false apparenze a favore del radicamento di un modello comportamentale di accettazione autentica dell'altro, l'indebolimento del sentimento compulsivo e della corrispondenza alle attese degli altri, lo sviluppo di una crescente fiducia in se stessi, nelle proprie competenze sociali e nella propria capacità di scelta, di giudizio e di auto-orientamento, l'attribuzione di una valenza positiva alla propria interiorità, percepita come risorsa inestimabile, ed alle relazioni profonde.
Il gruppo, nel corso dell'intervento, affronta un processo evolutivo che Rogers (1970)5 ha sinteticamente rappresentato, in un'ottica prettamente operativa centrata sulle abilità di lettura e decodifica che il counselor deve possedere a fronte del processo di gruppo, con un modello evolutivo del gruppo a sei stadi. Nel primo stadio, prevalgono la confusione, il silenzio imbarazzato e la comunicazione superficiale. Il counselor contiene la confusione, presentando i membri del gruppo ad uno ad uno, esplicitando gli obiettivi dell'intervento e le attese rispetto alla partecipazione, riportando le interazioni entro i limiti della comunicazione disordinata ma non improduttiva. Il secondo e terzo stadio vedono il gruppo affrontare dapprima sentimenti esterni o attuali come se fossero accaduti nel passato, quindi proseguire con l'espressione dei sentimenti negativi verso il counselor e gli altri membri. Il counselor interviene solo per contenere l'aggressività, regolare i turni comunicativi, utilizzare la parafrasi e la riformulazione dei messaggi. Deve mettersi in gioco in prima persona, esprimendo verbalmente sentimenti di autentica comprensione e sostenendo l'espressione di sentimenti positivi senza per questo limitare la catarsi da quelli negativi. Il quarto e quinto stadio si caratterizzano per l'emergere e l'esplorazione del materiale personalmente significativo, per l'abbandono di tteggiamenti difensivi e di resistenza a favore dell'espressione di sentimenti interpersonali immediati nel gruppo e per lo sviluppo della capacità curativa diffusa tra i membri. Il counselor sostiene la circolazione della fiducia e della stima, attraverso un atteggiamento accogliente e una discreta supervisione sui processi. Interviene soprattutto per completare i feedback frettolosi e parziali, riformulare i messaggi ambigui e sollecitare i chiarimenti tra i membri. L'intervento del counselor segue il criterio della ricerca della massima trasparenza comunicativa. Il sesto stadio coincide con la chiusura dell'intervento e lo scioglimento del gruppo, una volta che il counselor ha valutato il consolidamento del cambiamento di ogni membro rispetto agli schemi mentali e comportamentali disfunzionali. A questo livello, il counselor utilizza la restituzione ed il riepilogo dei processi avvenuti, avvalendosi della diretta partecipazione dei diretti interessati ed evidenziando i contributi individuali al cambiamento.
Un elemento particolarmente rilevante nel setting di gruppo è il feedback, ossia il ritorno dell’informazione all’emittente, attraverso un messaggio che serve ad agevolare l’apprendimento e l’aumento dell’auto-consapevolezza. Il messaggio di ritorno informa l’emittente dell’effetto prodotto sul destinatario. La percezione della retroazione determina un adeguamento comportamentale dell’emittente alle esigenze che gli altri comunicano con il feedback; in questo modo, le conseguenze del comportamento attuale possono alterare o rafforzare la condotta futura.
Il feedback fenomenologico è il tipo di retroazione comunicata più indicata in situazione di gruppo e prevede l’adozione di espressioni verbali che fanno riferimento alle percezioni sensoriali ed alle sensazioni veicolate soprattutto dalla vista e dall’udito (“ho sentito”, “ho visto”, “ho immaginato”, “ho provato”, “sento”, “ti vedo”, “penso che tu”). Il counselor ha la responsabilità di promuovere tale tipo di feedback, utilizzandolo in prima persona verso il gruppo ed i singoli membri e rappresentandosi come esempio positivo e costruttivo di comunicazione ed interazione.
Il counseling di gruppo ha avuto un'evoluzione particolarmente veloce nell'ultimo decennio, grazie al suo successo terapeutico, al conseguente entusiasmo nel settore della pratica psicologica e delle relazioni d’aiuto ed al potere attrattivo che tale tipo di intervento ha dal punto di vista economico, psicologico e professionale. Una ragione di successo è l’economia permessa dall’intervento: il lavoro di gruppo comporta un uso più efficiente ed efficace del tempo dei professionisti, perché permette di avere contatti con più individui alla volta. Ciò ha motivato, ad esempio, il suo impiego nelle scuole americane, dove il rapporto tra counselor ed alunni è elevato (1/400) e c’è l’esigenza di stabilire un contatto valido e durevole con tutti gli studenti.
Un altro fattore di successo del counseling di gruppo è la sua congruenza con l’intervento individuale, tanto che spesso esso è lo stimolo ed il viatico per entrare nella relazione diadica con il counselor o con il terapeuta.
L’attrattiva psicologica del counseling di gruppo deriva dalla consapevolezza che la formazione, o il cambiamento, delle credenze, convinzioni e norme, spesso avviene attraverso l’interazione con gli altri. Non solo: le relazioni di un individuo costituiscono la principale fonte di problemi, ma anche d’informazione, su lui. Il cambiamento della personalità e gli aggiustamenti personali possono manifestarsi in ogni gruppo in cui ci sia un interscambio di sentimenti, emozioni, attitudini e bisogni: l’apprendimento sociale è un risultato sempre possibile, perché ogni individuo agisce e reagisce gli altri. La conduzione del counseling di gruppo è molto diffusa in questo momento, perché innalza la levatura professionale di un counselor agli occhi dei suoi colleghi. Un counselor è considerato impreparato, oggigiorno, se non ha avuto esperienze di counseling di gruppo, ma è soltanto nell’ultimo decennio che sono state create istituzioni preposte alla didattica ed allo sviluppo delle competenze necessarie al counseling di gruppo; di conseguenza, solo i counselor più recentemente formati sono davvero preparati al lavoro in questo tipo di setting.
La rapida evoluzione del counseling di gruppo è stata accompagnata da un fervente lavoro di ricerca e di definizione concettuale, sebbene il counseling di gruppo risenta ancora, dal punto di vista terminologico, di una certa confusione sul preciso significato di “gruppo” e degli elementi che lo caratterizzano.

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Note:

1. Gazda G. M. (1971), Group Counseling: A Developmental Approach, Allyn and Bacon, Inc., Boston.

2.Benson J. F. (1987), Working more creatively with Groups, Tavistock Publications Ltd, Londra (trad. it. Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale in psicoterapia, Sovera Multimedia, Roma, 1993).

3. Bonney W. C (1965), Pressare toward conformità in Group Counseling, Personnel and Guidance Journal, vol. 43, pag. 970.

4. Murgatroyd S. (1985), Counseling and Helping, The British psychological Society and Routledge (trad. it. Il Counseling nella relazione d’aiuto, Sovera Multimedia, Roma, 1995).

5. Rogers C. (1970), A way of being, Houghton Mifflin Company, Boston (trad. it. Un modo di essere, Martinelli, Firenze, 1983).


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