APPROFONDIMENTI
Educazione: un viaggio di senso umano
Con questo articolo ci si propone di percorrere un ideale cammino, la cui destinazione è piuttosto incerta, tentando di superare gli ostacoli (in)sormontabili che di dubbio in dubbio si stagliano all’orizzonte, impedendo di avanzare, che sia in una direzione onell’altra, o, peggio, condannando ad una marcia dis-orientata, indifferentemente rivolta in una direzione e nell’altra. L’immobilità di una coscienza che non procede oltre la mera fattualità del proprio esistere qui ed ora, a cui manca il necessario coraggio di scegliere per sé, (di sceglier-si), o la ridda scomposta di pensieri grigi e neutrali, che affollano di volta in volta l’animo reso opaco dall’incapacità di riconoscere le sfumature, costituiscono due declinazioni possibili dell’essere umano, le quali, sebbene antitetiche, condividono lo stesso insidioso terreno concettuale, pronto a franare ad ogni passo: quello del non-senso, che rende vano qualunque viaggio.
Il cammino è ideale in quanto metafora che richiama l’idea della possibilità -la più autenticamente umana- per ogni individuo di costruire il senso della propria esistenza, attraverso un continuo processo di interpretazione che, a partire dall’esperienza soggettiva e dalla situazione contingente, a cui dà significato, si apre a ciò che trascende il finito e il singolo, in un anelito incalzante a sfiorare l’Assoluto e l’Altro. La destinazione è incerta, poiché non si stabilisce a priori e in modo definitivo quando un’esistenza possa dirsi dotata di senso: il viaggio dura tutta la vita e ad ogni svolta c’è il pericolo di smarrirsi, ma anche la sorpresa di ritrovarsi, ad un livello ulteriore, scoprendosi trasformati, pur essendo rimasti se stessi.
Gli ostacoli lungo il sentiero che, prendendo consistenza, impediscono il transito verso un grado di consapevolezza maggiore di sé, del mondo e degli altri, rappresentano il riflesso di quegli interrogativi che il soggetto deve porsi affinché la propria esistenza abbia senso, ma un senso umano: ogni quesito implica per ciascuno la facoltà di formulare risposte diverse e originali, ma anche la necessità di scegliere quelle che più validamente incarnano l’immagine a tutto tondo dell’Uomo, interpretando e portando a conguaglio ogni sua dimensione. Le domande sono molteplici e inesauribili; qui si è scelto di affrontarne alcune, ritenute personalmente tra le più importanti ai fini della possibilità-necessità di connotare di significato e senso il proprio agire; per ognuna si è provato a costruire una risposta prendendo le mosse da un’analisi critica di alcune affermazioni contenute nel saggio di Hans Jonas, “Il principio responsabilità”1 .
Le questioni sono presentate nel loro susseguirsi secondo un ordine che ricalca il progressivo divenire umano dell’Essere, l’incedere lungo un percorso che non è lineare e non si limita ad attraversare da un opposto all’altro un’immaginaria linea retta bidimensionale; la strada, piuttosto, si inerpica, continuamente sull’orlo di un burrone: il cammino comporta l’andare avanti ma anche il salire, ciò che rimanda alla dolorosa tensione esperita dall’uomo che, nella sua finitezza, accoglie il pensiero dell’Infinito, a cui volge lo sguardo oltre l’orizzonte. Per ogni interrogativo è necessario creare una risposta prendendo posizione, dichiarando la direzione, tra le molte possibili, verso cui si decide di andare, testimoniando con ogni scelta l’unicità del proprio irripetibile e significativo tragitto e la sua sostanziale coincidenza con quello di tutta l’Umanità, sì che il proprio viaggio possa dirsi un viaggio di senso umano.
PERCHE’ L’ESSERE PIUTTOSTO CHE IL NULLA?
Al quesito sul perché qualcosa debba avere la priorità sul nulla si può rispondere in modi differenti. Non si può, però, non rispondere, poiché questa è la domanda iniziale, cioè è quella che per prima si pone come ostacolo alla possibilità del singolo di dare un senso alla propria esistenza, ed è altresì quella che costituisce la cifra dell’Umanità intera, la quale, unica tra le altre specie viventi, ricerca significati che giustifichino la sua presenza nel mondo. Nel costruire una risposta ad essa, dunque, occorre far riferimento a qualcosa di più di una soggettiva e, quindi, relativa, attribuzione di valore all’esistente, come teorizza Jonas.
Alla questione “se debba esserci qualcosa- anziché nulla […] si può rispondere soltanto in modo assoluto, ad esempio che l’essere in sé è ‘buono’, giacché con il nulla non è possibile nessun confronto per gradi; quindi l’esserci ‘deve’ essere preferito al suo opposto contraddittorio (non ‘contrario’). […] Io sostengo che si può scegliere il non essere in luogo di tutte le alternative dell’essere se non è riconosciuta un’assoluta priorità dell’essere rispetto al nulla.
[…] Con la pura attribuzione di valore all’ente, non importa se poco o molto ne sia attualmente presente, è già decisa la priorità dell’essere sul nulla – al quale non è attribuibile assolutamente nulla, né valore né disvalore-, ed è stabilito inoltre che nessuna preponderanza, temporanea o anche permanente, del male sul bene può nell’insieme delle cose cancellare quella priorità dell’essere, ossia ridurne l’infinità. La capacità di valore è essa stessa un valore, il valore di tutti i valori, e così persino la capacità di disvalore, dal momento che la semplice apertura alla distinzione fra valore e disvalore assicura già da sola all’essere la sua preferibilità assoluta rispetto al nulla. Quindi non soltanto l’eventuale valore, ma anche la pura possibilità di un valore, essa stessa tale, rivendica l’essere e risponde alla questione del perché deve esistere ciò che dischiude questa possibilità. 2 ”
Pertanto “l’essere si pone in senso assoluto come migliore rispetto al non essere”, giacché vale “a partire da se stesso e non soltanto grazie a un desiderio, un bisogno o una scelta3 ”. Ciò ne sancisce l’intrinseca bontà, indipendentemente dalle valutazioni, dalle interpretazioni e dai giudizi del singolo e dalla sua capacità o meno di incarnare nella propria esistenza quel potenziale valore. Si allude, quindi, ad uno sfondo durevole e condivisibile anche dagli altri esseri umani, che trascende le singole vite ed è costituito dal “bene-in sé-possibile4 ” insito nell’Essere in quanto tale.
Al di là delle convincenti argomentazioni fornite da Jonas, che qui vengono riportate solo parzialmente, senza rendere giustizia della complessità del ragionamento sotteso, resta comunque un vuoto di senso incolmabile con il solo soccorso della ragione, un baratro in cui si rischia di precipitare laddove esperienze di sofferenza e di intenso dolore mettano in discussione il valore e la bontà dell’esistenza. Perché, in fondo, costruire un discorso logico che corrobori questa tesi non implica che si riesca a credere in essa, al punto da sentirla come il richiamo forte ed inequivocabile della Verità. Del resto, se così fosse, se spiegando in modo ineccepibile le ragioni per cui l’Essere è preferibile al Nulla si dimostrasse la Verità assoluta di questa scelta, al contempo si istituirebbe a priori il Senso, il perché della vita, ciò che renderebbe in parte superfluo l’esercizio di costruzione del senso proprio. Quando anche non ci sia nulla a giustificare l’esistenza, anzi, proprio laddove tutto sembri negarne il valore e la bontà, è allora che l’essere umano si sceglie; è nell’abisso della disperazione che decide di sperare; è a partire da un’esperienza di non-senso che avverte la necessità di significare qualcosa. Questo lavoro continuo di affermazione/giustificazione di sé inizia con un sì all’Essere che è slancio d’Amore: il burrone non si salta con lunga riflessione, ma con un gesto di ragionevole follia, che spinge ad andare avanti, a proseguire nel viaggio, il quale diventa, pertanto, (in)finito cammino di redenzione dell’Essere. Infatti, è attraverso il senso che ogni uomo si sforza di attribuire all’esistenza che quest’ultima acquista dignità e si monda dall’onta della sua infondatezza logica. E’ in questa originale causa comune che l’umanità si impegna a con-validare se stessa.
L’uomo non sceglie di esistere: l’inizio dell’Essere, che si afferma sul Nulla, è qualcosa a cui egli non prende parte come soggetto attivo. L’Essere non è opera sua, ma è piuttosto un’opera che egli impersona ed interpreta, di cui può diventare protagonista, ma alla cui esauriente comprensione non può pervenire. L’uomo si trova ad essere, ma non ha facoltà di stabilire davvero se questo stato ontologico sia meglio del nulla. Può, però, decidere di credere (fino a sentire profondamente) che lo sia e, in virtù di questa scelta, impegnarsi affinché la propria esistenza assuma senso e sia umanamente valida, cioè riscatti l’essere di tutta l’Umanità da un’origine incognita.
E’ in nome di questa libertà di dire sì all’esistenza credendo in essa, che l’Essere si fa umano e si rende responsabile della creazione del suo mondo, accogliendo la realtà data, pensandola ed ancorandola ad un’immagine unitaria di senso che ne rappresenti ogni tassello, dotandola di significati trascendenti. L’atto di libertà che dà inizio di senso al mondo è necessario perché l’Essere indefinito prenda forma umana.
Anche se non si dà alcun Senso a priori che illumini il cammino, rischiarandolo di luce buona e affrancandolo dal grumo nero del nulla, l’uomo è pur sempre in grado di impegnarsi perché il proprio percorso si faccia nitido allo sguardo. Sebbene non lo abbia liberamente intrapreso, egli tuttavia liberamente può accettare di portarlo a compimento, assumendosi ad ogni passo la responsabilità di interpretarlo in modo originale ma fedele all’Umanità, di cui è parte e della cui integrità risponde. Pertanto, il viaggio dell’individuo ha senso solo se è un viaggio di senso per l’umano.
PERCHE’ IL MALE?
Se si immagina il soggetto come un essere che, da un’origine sconosciuta e insondabile si fa uomo, fondando il significato della propria esistenza sulla base dell’identità comune a tutta l’Umanità, da intendersi come confine universale ed inviolabile entro cui il viaggio particolare diventa viaggio di senso umano, si afferma di conseguenza che non ogni direzione del percorso può considerarsi giusta, nella misura in cui porti ad infrangere quel limite essenziale. Detto con le parole di Jonas: “Soltanto l’idea dell’uomo, dicendoci perché debbano esserci uomini, ci dice il tal modo anche come essi debbano essere5 ”.
La scelta della giusta direzione è, dunque, necessaria per l’essere umano e per il (suo) bene, ma resta appunto una scelta, libera in quanto tale. Pertanto, occorre prendere in considerazione l’eventualità che, in ogni momento, l’uomo possa imboccare la strada sbagliata, quella che conduce al male. Con questa ontologica libertà di decidere, dunque, l’uomo si rivela in tutta la sua costitutiva ambiguità.
A tal proposito Jonas sostiene:“ […] Ci si deve rassegnare […] al fatto che non esiste una ‘natura’ dell’uomo priva di ambiguità, dato che ad esempio egli non è di per sé né buono né cattivo. Egli possiede la facoltà di essere buono o cattivo, anzi, di essere l’uno e l’altro, poiché questa capacità fa parte della sua essenza. In realtà, benché a proposito dei casi di malvagità estrema si parli di ‘mostri’, soltanto gli uomini possono essere ‘disumani’: la disumanità rivela la natura dell’uomo non meno che la santità. […] L’ambiguità è una prerogativa dell’uomo.[...] Volerla eliminare significa voler eliminare l’uomo e la sua incommensurabile libertà. Grazie a quest’ultima e all’unicità di ciascuna delle sue situazioni, egli sarà sempre nuovo e diverso da quello che era, in nessun caso però […] sarà mai al riparo dalla costante minaccia alla sua umanità, che fa appunto parte della sua ‘autenticità’. […] 6”.
Si può, quindi, definire l’uomo come quell’essere attraversato da una duplicità sostanziale, che ne segna irriducibilmente il divenire: per un verso egli è legato alla contingente dimensione naturale, che regola e limita il suo processo di crescita e di trasformazione; per l’altro, però, egli è costantemente chiamato a dare senso al proprio agire, facendosi uomo, cioè incarnando l’idea di Umanità, e con ciò allacciandosi alla dimensione trascendente dei valori, delle idee, del bene e del male, che costituisce il vincolo, mai normativo, entro cui orientare e alla luce del quale interpretare le proprie azioni.
L’uomo deve necessariamente progettare la propria esistenza tenendo in conto questa dimensione etica e trascendente dell’agire, che comporta il dovere e la responsabilità di costruire un percorso di senso per sé in quanto essere umano, dunque nel rispetto di ogni altro individuo, che con questa Umanità è compromesso.
L’ambiguità del soggetto si manifesta in tutta la sua lacerante problematicità proprio nello spazio che dall’Essere si apre al “dover essere”. L’uomo può attraversare quella strettoia, dirigersi nella giusta direzione, oppure non farlo. Il presupposto che anima questo ragionamento nega legittimità ontologica al bene e al male: essi esistono perchè esiste l’uomo, che su di loro si interroga. Se esiste l’essere umano, però, esiste un’umanità da condividere, il cui senso e la cui dignità da affermare costituiscono il criterio mediante cui misurare e valutare ogni scelta ed azione.
La prima conseguenza di questa argomentazione è che non ci sono uomini malvagi: ci sono uomini che scelgono (il) male. Ad ogni passo del loro cammino di senso, tuttavia, essi possono decidere di ritornare in quello spazio di libertà che porta l’Essere a compier-si nel bene e nel rispetto dell’umano, modificando e cambiando non certo l’azione compiuta, che non si può cancellare e a cui spesso non si può neppure porre rimedio, bensì se stessi e la propria capacità di scegliere, mai definita in una modalità statica e determinata una volta per tutte.
La seconda implicazione di questo discorso è che il percorso non è segnato a priori: il viaggio è cammino in divenire di ricerca e di scoperta del senso più fedele all’umano, rappresentato da una molteplicità di sfaccettature, che non possono mai esaurire le possibilità dell’Essere, né contenerne in una sola figura l’umanità. Ecco perché, in questo procedere, c’è il rischio costante di perdersi: nulla stabilisce quale scelta sia quella giusta, e tuttavia non ogni scelta è giusta.
A questo punto ci si potrebbe chiedere, però, per quale motivo si dia Male anche in assenza di scelte o decisioni liberamente prese, o di azioni a cui hanno dato origine altri individui. Perché, a volte, ci si ritrova impantanati nelle sabbie mobili di una condizione esistenziale contrassegnata dal dolore7 , la cui causa non è un agire umano che non abbia tenuto in conto lo sfondo etico trascendente?
Poiché si è postulato che bene e male non sono entità che sovrastano l’uomo, bensì dimensioni valoriali che lo abitano e al contempo lo superano, sulle quali egli si interroga, non si può, per non incorrere in una contraddizione, affermare ora che esista, oltre l’essere umano, qualcosa che possa costituirsi Bene o Male in-sé e per-sé.
In altre parole: è possibile spiegare (e poi credere e sentire profondamente) che tutto il male o il bene del mondo siano contenuti nella capacità o meno dell’Essere di pensarsi e scegliersi, coniugandosi nell’umano? Si può dichiarare che il viaggio dell’uomo abbia senso anche quando conduca al male, alla sofferenza, al dolore, sebbene non sia stato possibile deciderne liberamente la direzione, o nonostante la scelta per la giusta direzione?
L’eventualità di attribuire significato e senso al male è tutta racchiusa nella capacità di interpretazione, che sempre pone l’individuo nella condizione di confrontare la singola azione con l’idea dell’uomo (e dell’umano) che vorrebbe rappresentare, in un dialogo costante e circolare tra immagine particolare di sé e forma umana universale, tra singola identità e identità comune, tra percorso di senso individuale e viaggio di senso condiviso.
L’interpretazione permette di giudicare un’azione buona o cattiva, ma permette altresì di dotare di significato quelle esperienze dolorose che diversamente non avrebbero alcun senso e rischierebbero di minare il cammino dell’uomo. Non si vuole certamente ipotizzare che la sofferenza possa interpretarsi come qualcosa di positivo, come fosse bene; si tenta piuttosto di fondare la possibilità che, nella landa desolata del mal-essere, si dia ancora modo per l'uomo di continuare il proprio viaggio, sentendosene il protagonista, sia nel caso in cui debba assumersi la responsabilità di aver sbagliato a scegliere, diventando egli stesso causa di tale mal-essere, sia nel caso in cui si ritrovi in quella landa infelice senza poter risalire ad un diretto responsabile.
L’interpretazione è, dunque, la possibilità-di-tutte-le-possibilità, giacché senza di essa il soggetto non potrebbe neppure dare un senso al suo esistere, né definir-si come “umano”: l’Umanità è l’interpretazione stessa di un Essere che si vede impigliato nella ragnatela del tempo, gettata in controluce sulla sponda dell’Infinito. Forse, allora, il Male assoluto è per l’uomo l’incapacità di ravvisare in quella possibilità di significazione la radicale libertà di scegliere se stesso, al di là di ogni dolore e di ogni male, ossia loro malgrado.
La domanda sul perché del Male, in fondo, non si distingue poi tanto nettamente da quella sul perché dell’Essere: le risposte arbitrarie create per conferire sensatezza ad entrambi sono interpretazioni, mai definitive e mai esaustive, più o meno valide, che prendono parte al processo di costruzione di un cammino di senso che, nel bene e nel male, è sempre dell’uomo (cui tratto peculiare è la capacità di interrogarsi e di scegliere tra le due opzioni), ma che solo in direzione del bene (comune) si realizza in quanto viaggio di senso umano, avendo cura, cioè, di salvaguardare il senso dell’Umanità intera.
“CHIUSO FRA COSE MORTALI […] PERCHE’ BRAMO DIO? 8 ”
Il viaggio di senso umano è cammino in divenire, è itinerario che, nel completarsi, passo dopo passo, attraversa il Tempo. L’Essere si fa umano misurandosi con il limite temporale, che esperisce come sfondo, quando guarda al passato e alle scelte compiute, con cui può decidere se essere coerente o meno, in un processo di continua e progressiva trasformazione, nel vincolo di fedeltà all’Umanità; come possibilità di progettarsi, pensandosi nel futuro, anticipandosi in un’immagine di sé tutta da creare, che lo indirizza in una direzione o nell’altra e gli fa intravedere una meta da perseguire; come contingenza presente da interpretare, affinché la somma insignificante di fatti e gesti senza spessore, di singoli momenti slegati tra loro, si costituisca in un quadro ordinato di senso.
Il nucleo incandescente e irrisolto dell’uomo accoglie al suo interno la contraddizione di una coscienza immersa nel tempo, che si apre però all’Idea dell’Eternità. Nel cammino di senso, dunque, l’essere umano si confronta anche con l’Infinito, a cui si affaccia -al di là dell’orizzonte- per brevi istanti, cristallizzati nell’estasi immobile che coglie, oltre la finitudine dell’umano, l’Essere nella sua totalità. All’uomo, tuttavia, non è dato di pervenire ad un’esaustiva e razionale comprensione della Totalità, di cui può soltanto interpretarne e ri-comporne i frammenti, scoprendoli disseminati in sé e nel mondo attraverso la facoltà del sentire: questa muove verso le cose, le penetra e ne scorge la struttura profonda, in un lavoro di intuizione e di empatia che pone l’individuo all’ascolto dell’Universo, lo proietta nella dimensione ulteriore dell’a-temporalità. Il febbrile desiderio di superare la propria finitudine, la ricerca continua di un senso che si costruisce nel qui e nell’ora guardando oltre e impegnandosi per sempre, convivono nell’essere che, in ogni gesto, si fa umano, incarnando in un’esistenza particolare l’idea universale di Umanità, in quanto valore non relativistico da interpretare.
L’uomo ruba al Tempo attimi di Eternità, quando assume il proprio limite (la finitudine) come autentica possibilità di essere se stesso; il limite, allora, non si configura più come invalicabile confine da superare per essere pienamente, ma diventa unico luogo di senso in cui l’umano dialoga con l’Infinito. Lo sbocciare di questo dialogo è simbolizzato nei prodotti e nelle creazioni dell’uomo, quali le opere d’arte, che riassumono la tensione di un’individualità, quella dell’autore, a trascendere se stessa, sintetizzando il desiderio di Eternità dell’Umanità intera, che si dice nei termini di un incontro e di una relazione con l’Altro.
Jonas descrive quanto qui sostenuto in modo assai incisivo: “Quando, del tutto inaspettatamente, mi trovai dinanzi al trittico delle Madonne di Giovanni Bellini nella sagrestia di San Zaccaria a Venezia, fui sopraffatto dalla sensazione che vi fosse racchiuso un istante di perfezione che mi era concesso vedere: l’istante in cui, nell’effimero ‘equilibrio di forze immani’, l’universo sembra arrestarsi per consentire la suprema conciliazione delle sue contraddizioni in un’opera umana. […] Istanti dell’eternità disseminati nel fluire nel tempo […] costituiscono un dono raro […]. Ma l’opera d’arte, come parte del mondo, non appena esiste (e a questo fine viene di norma prodotta), esiste soltanto per e in virtù degli uomini e soltanto finché loro esistono. La più grande opera d’arte diventa un pezzo di materia muto in un mondo privo di uomini. D’altro canto, senza di essa e senza prodotti del genere il mondo abitato dagli uomini è meno umano e la vita dei suoi abitanti umanamente più povera. In tal modo la produzione dell’opera d’arte fa parte dell’agire umano costitutivo del mondo come la sua presenza del durevole patrimonio del mondo artificiale, nel quale soltanto può trovare la sua dimora la vita umana9. ”
L’essere umano accoglie l’Infinito nel limite della propria esistenza contingente e temporale, laddove costruisce un mondo di significati condivisi, a partire da un’interpretazione fondata sulla costitutiva relazione fra sé e l’Umanità di cui è parte.
Il desiderio di Eternità, la brama di ricomporre la frammentarietà delle singole esistenze nella pienezza di un Essere Infinito che annulli ogni confine e ogni distinzione, l’anelito a superar-si, spingono insistentemente l’uomo a guardare (all’)Oltre, che ha le sembianze dell’Altro da sé. E’ solo nell’incontro con gli altri uomini e nella partecipazione ad un orizzonte comune di significati che il viaggio del singolo si connota di senso umano e può condurre a scoprire, in ogni luogo e ad ogni svolta, la totalità dell’Essere, nella sua eterna ed immutabile presenza.
EDUCAZIONE, ETICA E POESIA
Anche l’educazione, al pari di ogni altra manifestazione connaturata all’agire umano, si carica di significati molteplici, traducendosi in modelli paradigmatici e in prassi educative differenti a seconda delle interpretazioni con cui le si attribuisce un senso per l’uomo, nonché in base all’immagine di essere umano in cui si crede e che si vuole attualizzare.
Vi è una sostanziale coincidenza tra l’educazione, in quanto esercizio continuo di significazione del mondo, e l’educabilità del soggetto, inscritta nell’essenza del suo divenire, del suo farsi umano costruendo il senso della propria esistenza, progressivamente e mai in modo definitivo.
Riguardo a questo argomento, Jonas fornisce alcune condivisibili riflessioni: “Non è mai stato messo in dubbio che l’individuo sia capace di migliorare […], avendo a sua disposizione degli aiuti, e inoltre che esista nello stesso soggetto una via e quindi un movimento possibile del progredire […]. Anzi, poiché ogni vita inizia dal nulla e deve acquisire tutto, il ‘progresso’ è la legge evolutiva necessaria già nel divenire della persona, a cui ognuno deve almeno avere preso parte. […] L’etica ha sempre ritenuto che fino alla morte non ci debba essere nessun arresto né nel sapere né nella capacità e neppure nell’acquisizione del carattere morale e che quindi l’educazione debba continuare come autoeducazione attraverso la maturità […].10 ”
L’educazione accompagna l’individuo nel suo cammino di significato, lo richiama alla necessità di connotarsi in quanto uomo; è essa stessa ricerca di senso, capacità di porsi domande e di formulare risposte, riferendosi ad uno spazio etico trascendente, abitato dall’idea di Umanità, che in quella facoltà di problematizzare sé e il mondo si incontra.
Un’interpretazione alternativa a questa, tuttavia, pare essersi affermata nel corso degli ultimi anni, al punto da costituirsi come l’unica valida, negando valore a tutte le altre, che pur contribuiscono a ritrarre la multiforme realtà umana. Essa istituisce una sorta di analogia tra due termini, peraltro semanticamente assai distinti, quali “educazione” ed “istruzione”, arrivando a considerarli sinonimi. L’idea sottesa ad una siffatta interpretazione riduttiva dell’educazione, che pone l’accento solo sul processo di acquisizione di conoscenze ed abilità utili ad inserirsi in un dato contesto storico e sociale, è quella di un essere umano appiattito nella dimensione fattuale, a cui non serve affatto confrontarsi con un universo di significati e valori che superano le esigenze della quotidianità. Si istruisce l’uomo a saper affrontare, nella solitudine del proprio individualismo, le incombenze pratiche che la vita comporta, per un verso illudendolo di potersi muovere liberamente in un mondo orfano di qualunque verità assoluta, dove tutto è relativo, dunque (apparentemente) possibile, e per l’altro vincolandolo al rispetto di regole e norme, sul cui senso profondo non è invitato ad interrogarsi e che finiscono con l’essere percepite come esterne a sé e limitanti per la propria realizzazione.
Una delle conseguenze di una teoria e di una pratica educativa che non chiamano in causa l’individuo nella sua interezza, che non tengono in considerazione ogni aspetto del suo farsi uomo, è il rischio che vada perduta la parte più autentica del soggetto, e con essa l’occasione di poter attribuire sensatezza al suo viaggio esistenziale, il quale sempre attraversa la via dell’umano in direzione dell’Oltre. La possibilità per l’uomo di accogliere nella propria finitudine il pensiero dell’Assoluto corre il rischio di non vedersi più realizzata; lo stesso allarme è lanciato da Jonas: “[…] Esiste un infinito da conservare nel fluire, ma anche un infinito da perdere. 11 ”
L’educazione non può tramutarsi in una scienza esatta, che regola il comportamento umano su istanze sociali relativistiche in quanto dipendenti dai mutevoli contesti situazionali, né può limitarsi solamente ad allenare le capacità intellettive dell’uomo, impegnato oggi più che mai a tener il passo con il progresso tecnologico. L’avvento delle nuove tecnologie, in particolare quelle informatiche, le quali hanno trovato applicazione nei più disparati settori della vita individuale e sociale, ha modificato l’agire dell’uomo e parallelamente ha stimolato la richiesta di prestazioni educative rivolte alla formazione di individui capaci di farne un uso capillare. Sarebbe auspicabile per un’educazione che voglia ancora pensarsi nella sua autentica finalità etica, stimolare lo spirito critico dei soggetti che debbono affrontare la sfida della rivoluzione tecnico-scientifica, collocandola in una prospettiva di senso che ne influenzi e ne indirizzi gli esiti.
Una proposta ulteriore per un’educazione che orienti il viaggio di senso umano, recuperando così la sua originaria carica rivoluzionaria, intesa come possibilità di interpretare la realtà, trasformandola, vira nella direzione di una teoria pedagogica e di una prassi educativa attente a stimolare la facoltà del sentire, ad educare il soggetto a conoscere sé e ciò che lo circonda attraverso il sentimento e non solo mediante una ragione ammaestrata a scomporre ed analizzare minuziosamente meri fatti e fenomeni.
La conoscenza sentimentale permette all’uomo di accostarsi alle cose e alle persone ed empaticamente entrare in relazione con loro, esplorando al contempo regioni di sé sconosciute. L’incontro con un altro individuo o con un’opera d’arte (che è sempre anche un incontro con l’autore e con se stessi) apre un varco verso l’Infinito, si fa soglia da cui contemplare ed esperire la sintesi perfetta di un’individualità che, nell’idea universale di sé in quanto partecipe dell’essenza umana, oltrepassa la propria condizione di caducità e separatezza per sfiorare l’Assoluto ed assaporare l’Eternità.
Un’educazione che non desideri snaturarsi in un addestramento vincolato alle richieste utilitaristiche di una società omologante, ma che si voglia piuttosto imporre come voce d’ampio respiro con cui dire delle molteplici possibilità dell’umano, potrebbe declinarsi, ad esempio, in una pratica educativa volta all’esposizione e alla ricerca del Bello, che nelle opere d’arte prende forma. L’esperienza di “relazionarsi” con un prodotto umano, che non ha altra ragion d’essere se non quella di interpretare e di incarnare un’idea trascendente, - la quale, dall’universo condiviso della capacità di significazione umana, si apre alla Totalità dell’Essere-, allude al costante ed analogo lavoro di interpretazione della propria esistenza, di sé e del mondo, intrapreso per attribuire loro un senso, fedele all’Umanità.
In particolare si pensa qui alla Poesia che, con il suo linguaggio intimo e sintetico, attinge alla sorgiva potenza della parola: racchiudere in sé l’evidenza di ciò che si vuol indicare, nel suo darsi a conoscere come condizionato dai limiti, alludendo al mistero insondabile che attraversa l’Essere delle cose e dell’umano. Nell’intensità della sua caratterizzante modalità espressiva, la Poesia forza il confine di significato di ogni vocabolo dilatandolo verso il Segreto di ciò che non si può dire, gettando ponti tra l’uomo e l’Indefinito. I poeti esprimono nelle loro opere il bisogno di elevarsi ad un luogo del pensiero che interpreti l’esistenza senza ridurne o cancellarne gli aspetti incomprensibili con l’uso del solo metodo scientifico e dalla conoscenza razionale. Forse non è azzardato affermare, allora, che la Poesia può definirsi esperienza etica, per chi la crea e per chi la “pratica”, nella misura in cui conduce al centro esatto del liminare territorio di senso (e valore) umano.
Un’interpretazione dell’educazione che ne recuperi la prospettiva di senso più congeniale all’umano, dunque, si potrebbe tradurre in un agire educativo meno segnato dall’ansia di misurarsi con metodologie scientificamente convalidate e meno conforme alle necessità di un presente ripiegato su se stesso e concentrato in questioni pratiche, che paiono rendere superflue domande, dubbi e la ricerca di un orizzonte comune entro cui pro-gettarsi.
L’educazione che si auspica è essa stessa un viaggio di senso umano, una ricerca di significazione che, interrogando l’uomo, lo pone all’ascolto di sé, dell’Umanità e dell’Universo intero; è un’esperienza eticamente finalizzata, ma mai aprioristicamente moralizzante, aperta a ridefinirsi e a mettere in discussione ogni pretesa di veridicità assoluta che non rispetti l’Essere nei suoi limiti e nelle sue possibilità umane.
NOTE
1. Jonas H., Das Prinzip Verantwortung (1979), trad. it. di P. P. Portinaro, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 1990
2. Jonas, cit., pp. 58, 61
3. Ivi, p.101
4. Jonas, cit., p.108
5. Jonas, cit., p. 54
6. Ivi, pp. 280, 278
7. Assioma di questa argomentazione è che il dolore e la sofferenza possano considerarsi Male
8. “Chiuso fra cose mortali/ (Anche il cielo stellato finirà)/ Perché bramo Dio?” (G. Ungaretti)
9. Jonas, cit., pp. 277, 127
10. Jonas, cit., p.208
11. Jonas, cit., p.42
BIBLIOGRAFIA
Chionna Angela, Pedagogia della responsabilità, La Scuola, Brescia, 2001
Jonas Hans, Das Prinzip Verantwortung (1979), trad. it. di P. P. Portinaro, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino, 1990
Nosari Sara, La prova del carattere, La Scuola, Brescia, 2005
Ungaretti Giuseppe, Ragioni d’una poesia, Meridiani Mondatori,Milano, 2005