APPROFONDIMENTI
Bolivia: 2 anni dopo
Il mandato presidenziale di Evo Morales compie due anni di vita proprio in questi giorni. Un mandato fortemente messo in discussione dall’opposizione bianco-creola, che ha perso il potere politico per la prima volta dall’inizio della fase della ‘democrazia pattata’. Era dal 1983 infatti, anno che sanciva la fine di tre lustri di dittature militari seguite dal settennio di governo del generale-dittatore Hugo Banzer (1971-1978) e da una serie di governi provvisori, che l’oligarchia locale controllava i ministeri statali e sceglieva i presidenti secondo i propri interessi. La fase della ‘democrazia pattata’, cosí denominata dalla critica in quanto i governi si formavano attraverso patti tra diversi partiti, non fu altro che una ripartizione delle cariche statali tra i tre maggiori partiti dell’epoca; di conseguenza, la vita parlamentaria della neonata democrazia boliviana fu caratterizzata da un tripartidismo mascherato da pluralismo politico. Il confronto ideologico tra le differenti forze politiche fu praticamente azzerato, così come la funzione del Parlamento che, anzichè essere foro di discussione e dibattito, divenne luogo dove si ratificavano accordi precedentemente presi tra i diversi partiti. Il Paese si aprì così agli investimenti stranieri, seguendo fedelmente le direttrici tracciate dal ‘Washington Consensus’: privatizzazione delle grandi imprese statali, controllo dell’inflazione e liberalizzazione dei settori economici piú remunerativi furono alcune delle misure adottate nel corso dei vent’anni di democrazia neoliberale. Proprio dietro al concetto di democrazia i governi di allora nascondevano la svendita del Paese ai monopoli stranieri, favoriti nel loro assalto alle ricchezze boliviane dalla collusione con l’oligarchia locale.
L’ascesa al potere di Morales sembra aver messo fine all’epoca dei privilegi, delle cariche ministeriali ripartite tra i soliti noti, della supremazia di una minoranza che controlla le principali leve dell’economia. Uguaglianza sociale, parziale recupero delle imprese statali privatizzate dai governi neoliberali, riconoscimento e tutela dei diritti indigeni, 'sdollarizzazione' dell’economia, non ingerenza degli Stati Uniti negli affari interni sono alcuni dei punti chiave della politica del nuovo mandatario. Allo stesso tempo Morales non è esente dall’aver commesso errori, quali il mettere a capo di alcuni Ministeri persone non capaci di ricoprire il proprio ruolo, la pressochè nulla operatività dell’Assemblea Costituente, la dipendenza diplomatica da Caracas oltre che ad altre misure discutibili (si veda l’introduzione, nel novembre 2007, di una tassa dell’1% da applicare a tutte le transazioni finanziarie con destinazione la Bolivia, comprese quinde le rimesse degli emigranti e i finanziamenti destinati alle ONG).
Anche l’Italia, che pur non avendo un elevatissimo interscambio commerciale con il Paese andino dalla Bolivia compra cuoio, fibre tessili, legno, minerali e prodotti agricoli, è stata toccata dalle misure dell’esecutivo Morales. Ci si riferisce al contenzioso in atto tra Entel, operatore telefonico leader sul mercato boliviano e controllato Telecom Italia, e lo Stato boliviano. Dal maggio 2007 Entel è entrata nelle mire dello Stato boliviano che, nell’ambito delle politiche di ristatalizzazione decise dall’amministrazione Morales, è intenzionato a recuperarne il controllo (ad oggi il 53% di Entel è direttamente controllato da Telecom). Successivamente, nell’ottobre 2007, Entel ha presentato domanda di arbitraggio contro lo Stato boliviano di fronte all’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes), organo della Banca Mondiale. La decisione di Entel ha scatenato la reazione di membri del Governo boliviano, che accusano la compagnia telefonica amministrata dall’Ing. Franco Bertone di aver rotto il clima di dialogo tra le parti. La disputa non si è ancora risolta e, qualora la Bolivia continui a non riconoscere la giurisdizione dell’ICSID, si ricorrerà all’autorità di un tribunale esterno (maggiori dettagli sul caso Telecom-Entel alla fine di questo articolo).
Tornando all’attualità politica, si sottolineava che con l’elezione di Morales l’oligarchia ha perso il potere politico per la prima volta in vent’anni di democrazia. Nonostante ciò i gruppi di potere che integrano le file dell’opposizione detengono ancora il controllo dell’economia nazionale, pilotando buona parte dei mezzi d’informazione, gestendo i proventi delle installazioni gas-petrolifere, amministrando gli immensi latifondi delle province orientali e la catena di produzione agro-pecuaria. Tale strapotere economico permette all’opposizione di attaccare il Presidente su più fronti. Le pressioni sull’esecutivo si sono fatte via via sempre più pesanti, sino a sfociare negli scontri di Sucre del novembre 2007 (4 morti e 300 feriti) e nella proclamazione dello Statuto Autonomo della regione di Santa Cruz de la Sierra il 15 dicembre scorso. Si precisa che, il giorno in cui Santa Cruz –il più ricco e potente dipartimento del Paese– proclamava lo Statuto Autonomo, il Presidente Morales annuciava l’entrata in vigore della nuova Costituzione Boliviana di fronte alle decine di migliaia di persone radunate in Plaza Murillo a La Paz.
Agli occhi dell’osservatore s’impone una riflessione: com’è possibile che, mentre nella capitale si proclama l’entrata in vigore della Costituzione nazionale, un dipartimento del Paese affermi la propria autonomia dal governo centrale? Terra di contraddizioni e di forte mobilitazione politica, la Bolivia si trova quindi in un momento politico-sociale di difficile lettura e interpretazione.
Tra novembre e dicembre 2007 il caos si appropria del Paese: Oriente contro altopiano la Bolivia si spacca in due e rischia una guerra civile; le legazioni straniere si preparano al peggio; Santa Cruz, per dare forza alle proprie rivendicazioni di autonomia e irrobustire la piattaforma anti-Morales, appoggia Chiquisaca nella sua protesta per la capitalità di Sucre; “ponchos rojos” fedeli al presidente minacciano i dirigenti politici di Santa Cruz; dei nove prefetti che governano gli altrettanti dipartimenti in cui è divisa la Bolivia, Morales ne ha tre a favore e sei contro; manifestanti pacifisti vengono attaccati da MASisiti in Plaza Avaroa, pieno centro di La Paz; un ordigno esplode nella capitale la vigilia di Natale. Questa situazione di estrema confusione sembra essersi calmata con l’entrata del nuovo anno, ma è difficle fare previsioni sugli sviluppi futuri.
Una serie di dualità racchiudono i gravi problemi che il governo Morales affronta: dicotomia indios/non-indios che dà luogo al conflitto etnico interno; lotta per la sede della capitale tra Sucre e La Paz; accesa rivalità tra i ricchi dipartimenti orientali e quelli dell’altopiano per il controllo politico del Paese; scontro tra partito governativo (MAS) e opposizione sul nodo dell’Assemblea Costituente.
Tali rivalità marcano il corso della fase politica boliviana, rallentando il cammino verso il raggiungimento di una maggiore uguaglianza sociale proprio quando la congiuntura economica è favorevole. Prendendo in esame l’anno appena trascorso, dal punto di vista strettamente politico si registrano le difficoltà dell’esecutivo nel rendere operativa l’Assemblea Costituente, organo preposto alla revisione della Costituzione in modo da produrre una Carta capace di includere le diverse forze sociali e politiche del Paese. L’Assemblea, a causa delle continue dispute relative al quorum necessario per la validità delle votazioni, non ha potuto rispettare il termine previsto per la redazione della nuova Costituzione (agosto 2007); questo ha beneficiato l’opposizione, che non ha risparmiato critiche a Morales per la scarsa operatività dell’Assemblea e le spese sostenute dall’erario per i lavori della stessa. La proposta di revisione della Costituzione ha perso così l’iniziale spinta di progetto di trasformazione politico-sociale, convertendosi in un problema per l’attuale governo.
In questo senso l’approvazione, contestatissima, della nuova Costituzione ha dato un pò di ossigeno al Presidente, anche se in quest’occasione Morales si è mosso ai limiti della legalità. L’Assemblea, a causa delle continue manifestazioni che ne impedivano i lavori, è stata in più occasioni spostata di sede; Morales ha quindi deciso di servirsi dell’Esercito per far sì che l’Assemblea potesse regolarmente svolgere le proprie sedute. Il 14 dicembre scorso, nella città di Oruro, feudo dei minatori, gli assembleisti del partito governativo e dei partiti fedeli al Presidente hanno finalmente approvato la nuova Carta, mentre l’opposizione non si è presentata alla votazione sostenendo l’illegalità dell’azione di Morales. Illegalità dovuta al fatto che non era ancora stato sciolto il nodo relativo al quorum necessario per le votazioni, laddove il MAS sostiene che basta il 51% dei voti mentre i partiti dell’opposizione (Podemos, Condepa, ADN) chiedono i 2/3 dei voti. Morales ha però deciso di approvare la nuova Costituzione con la maggioranza semplice dei voti e questo ha dato luogo a molte critiche in Bolivia e, da parte nostra, a questionare la legalità di tale decisione.
Dal punto di vista sociale invece, Morales si vede costretto a recuperare l’appoggio della classe media che, spaventata dall’instabilità politica e dalla progressiva ‘indianizzazione’ dello Stato, sembra averlo abbandonato. Si ricorda che proprio la classe media fu l’ago della bilancia nelle elezioni che videro il trionfo dell’attuale presidente, allorchè il MAS, braccio politico di Morales, seppe costruire un discorso ideologico capace di allargare la sua storica base sociale (contadini, cocaleros e minatori) sino ad attrarre la classe media urbana. Rimane calda poi la situazione dei minatori, esplosa nei violenti scontri di Huanuni con le forze dell’ordine. La rifondazione dell’impresa nazionale è uno dei punti critici per l’amministrazione attuale, incapace fino ad oggi di mediare il conflicto tra minatori statali e quelli delle cooperative.
Altra questione pendente per il Governo è il rapporto tra l’altipiano Occidentale, guidato da La Paz, e l’Oriente del Paese, feudo dell’opposizione e dei grandi proprietari terrieri. I quattro dipartimenti della ‘Media Luna’ (Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija), che da soli generano il 43% del PIL nazionale, ribadiscono la volontà di arrivare a forme concrete di autonomia regionale e federalismo. Si è così creata quella dualità socio-politico-economica di cui sopra, dualità che divide pericolosamente il Paese e istiga al conflicto etnico. Da una parte l’Oriente ricco di risorse naturali, dal clima tropicale e fisonomia bianco-creola; dall’altra l’Occidente povero, caratterizzato dal rigido clima dell’altipiano e da una fortissima presenza indigena. Alla dualità Oriente/Occidente si è aggiunta, dal maggio 2007, la rivendicazione della città di Sucre, attuale capitale costituzionale, che vuole assumere il rango di capitale a tutti gli effetti. In questo modo la Bolivia presenta un ulteriore conflitto interno, quello tra La Paz e Chiquisaca, il dipartimento di Sucre.
Sul fronte internazionale l’atteggiamento accomodante nei confronti dei produttori di coca e gli stretti rapporti che Morales ha stabilito con Castro e Chávez hanno reso più tese le relazioni con gli Stati Uniti, impegnati in Bolivia con il programma ‘coca cero’ che prevede l’erradicazione delle coltivazioni di coca. Morales, dal canto suo, anche di fronte all’Assemblea dell’ONU ha ribadito di essere d’accordo con l’idea di ‘cocaina zero’, ma non con quella di ‘coca zero’. Resta aperta infine la annosa questione marittima con il Cile, con il Governo boliviano che pretende un trattamento preferenziale per operare su uno dei porti cileni (Arica o Iquique), in modo da avere un canale diretto per le proprie esportazioni.
Questo, a grandi linee, il panorama odierno. Da cosa scaturisce quindi la confusione che regna nel Paese? Difficile rispondere a questa domanda. La situazione attuale è frutto delle vicende vissute dalla Bolivia sin dai tempi dell’Indipendenza, situazione che è letteralmente esplosa a partire dal 2000, anno dei sanguinosi scontri di Cochabamba, meglio conosciuti come ‘guerra dell’acqua’. Ad essi seguirono le insurrezioni dei minatori, nucleo lavorativo storicamente molto potente e influente in Bolivia, e la ‘guerra del gas’ del 2003, che costrinse il filo-americano Sánchez de Lozada a dimettersi dalla carica di presidente. Il “gringo vende-patria”, com’è chiamato Sánchez de Lozada in Bolivia, negli anni ’90 aveva sottoscritto una serie incredibile di accordi economici con imprese straniere, consegnando il Paese ai trusts mondiali del petrolio. La Bolivia, terzo paese latinoamericano per riserve gas-petrolifere, si è trovata così nelle rapaci mani degli investitori stranieri, capaci di controllare le attività più remunerative grazie al benestare della petro-oligarchia orientale. Colui che aprì la strada all’invasione del capitale straniero, Sánchez de Lozada (due volte al potere tra 1993 e 2003), si trova oggi negli Stati Uniti, Paese che non risponde alle richieste di estradizione formulate dallo Stato boliviano.
Tutte le proteste, le marce e le manifestazioni di dissenso popolare hanno origine nella disequilibratissima distribuzione delle ricchezze. La Bolivia, al pari di altre nazioni latinoamericane, è controllata da pochi grandi clan familiari che possiedono e gestiscono le attività più importanti e redditizie. Da qui che la maggioranza della popolazione sopravvive in uno stato di povertà o semi-povertà; l’esasperazione nel vedere che le condizioni di vita non migliorano ha spesso portato la popolazione a insorgere, proprio come successe nei primi anni di questo secolo.
L’elezione di Morales risponde in parte alla richiesta di una più equa distribuzione del reddito nazionale e in parte alla diffusa volontà nazionale di recuperare i benefici derivanti dalla vendita delle ricchezze del Paese. La tanto discussa nazionalizzazione del comparto gas-petrolifero è stata la manovra che ha suscitato più scalpore su scala internazionale. Si ricorda che, in seguito al decreto di nazionalizzazione degli idrocarburi (Decreto Supremo 28.701, maggio 2006), alcune imprese straniere operanti in Bolivia minacciarono di uscire dal Paese, salvo poi ritrattare e sottoscrivere i nuovi contratti di estrazione e somministrazione nel novembre 2006. Le imprese sostenevano che fosse in atto un’espropriazione delle proprie infrastrutture e degli investimenti fatti; dal canto suo il governo rispondeva che, o le imprese stavano alle nuove regole o se ne potevano andare dalla Bolivia. La vicenda Telecom-Governo boliviano per il controllo di Entel presenta diversi punti in comune con quella delle imprese petrolifere di cui sopra, se non altro per il problema della certificazione e del riconoscimento degli investimenti sostenuti.
Era la prima e importante vittoria politica per Morales che, in questo modo, rispettava uno dei punti centrali della sua campagna elettorale. Si sottolinea l’abilità del nuovo presidente nel servirsi della nazionalizzazione per aumentare il proprio consenso interno. Abile Morales poichè la manovra, in termini economici, non è una vera e propria nazionalizzazione bensì una ricapitalizzazione con partecipazione statale. Le relazioni tra Stato boliviano e imprese straniere vengono infatti ridefinite, stabilendo che nelle casse statali finisce l’81% dei proventi derivanti dall’estrazione, raffinazione e commercializzazione di gas e petrolio, mentre alle imprese il restante 19%. Dopo l’effettiva entrata in vigore del decreto il Governo ha potuto assicurarsi un notevole dividendo politico, mettendo a tecere le negative previsioni dell’opposizione e di alcuni osservatori. Inoltre, il vantaggio economico per la Bolivia è immenso se si pensa che i contratti firmati da Sánchez de Lozada dieci anni prima assegnavano il 19% allo Stato e l’81% alle imprese straniere.
Tale manovra, che inizialmente rafforzò la posizione di Morales, in seguito fu usata dall’opposizione per criticarlo, in quanto colpevole di scoraggiare gli investimenti stranieri di cui il Paese ha, effettivamente, un disperato bisogno. L’attacco al primo presidente indigeno del Paese proseguiva però su più fronti, il più acceso, come già evidenziato, quello dell’Assemblea Costituente. L’Assemblea, fiore all’occhiello della campagna elettorale di Morales, è tutt’oggi usata dall’opposizione per lanciare le sue critiche al Presidente.
Un grande aiuto per la credibilità del Presidente viene dal buon andamento dell’economia nazionale, cresciuta del 4,6% nel 2007 (tasso di crescita più elevato dal 1998). A tale crescita hanno contribuito un livello record di esportazioni, un importante aumento di riserve internazionali, insieme alla tendenza alla ‘bolivianizzazione’ dell’economia e alla riduzione del debito pubblico. La nuova legge sugli idrocarburi ha permesso poi al Governo di raccogliere più fondi in un settore altamente remunerativo come quello gas-petrolifero; l'incremento delle entrate statali derivante da questa misura è stimato in US$ 1.500 milioni all’anno, cifra che permette generare un saldo positivo nel settore pubblico, storicamente destinato a chiudere in perdita il proprio bilancio.
La capacità di attrarre e tutelare gli investimenti stranieri giocherà un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle abbondanti risorse naturali della Bolivia, oltre che per il rispetto dei contratti di somministrazione di gas naturale siglati con Brasile e Argentina (20 milioni di m³ al giorno). Una maggiore stabilità socio-politica servirebbe ad attrarre ulteriori capitali stranieri, fondamentali per sostenere la continuità della crescita economica, dal momento che in seguito al decreto di nazionalizzazione degli idrocarburi gli investitori si mostrano più cauti. In questo senso risultano importanti gli accordi che Morales è riuscito a chiudere con due multinazionali, accordi che hanno dato ossigeno alle casse statali e migliorato l’immagine della Bolivia agli occhi degli investitori stranieri. L’indiana Jindal Steel, colosso mondiale dell’acciaio, investirà infatti US$ 2.500 milioni nel complsso siderurgico del Mutún, per lo sviluppo e l’industrializzazione dei suoi giacimenti. L’indotto di questa partnership commerciale, in termini di creazione di posti di lavoro e crescita dell’area, è rilevante: sono previsti la costruzione di 5.000 case per i lavoratori e lo sviluppo di Puerto Busch, città fluviale che permetterà l’esportazione facilitando l’accesso dei prodotti boliviani ai mercati stranieri. L’altra grande collaborazione commerciale è quella siglata tra i russi di Gazprom, che investiranno US$ 2.000 milioni in progetti energetici, e l’impresa nazionale YPFB.
Volendo stilare una sommaria valutazione di questi due anni al governo Evo Morales ne esce promosso, nonostante abbia preso qualche decisione discutibile. Detto della buona situazione economica che attraversa la Bolivia, rimane aperto il tema della legittimità della Costituzione approvata il 14 dicembre 2007 e quello delle autonomie dei dipartimenti orientali. Se Morales riuscirà a passare indenne l’estate australe, contenendo le critiche dell’opposizione e vincendo il referendum da lui indetto -che mette in discussione il proprio mandato presidenziale e quello dei prefetti dipartamentali- si prospetta un futuro più stabile per il suo governo. Al contrario, se l’offensiva dell’opposizione porterà ulteriore scompiglio nel Paese o, ancor peggio, se Morales perderà l’appoggio delle Forze Armate o verrà bocciato dal popolo nel referendum, la situazione si farà ancora più convulsa. In questo caso non è da escludere la possibilità di un colpo di Stato nè quella di una restaurazione oligarchica, eventi che metterebbero la parola fine alla rivoluzione democratica di Morales.
Per quanto concerne il profilo ideologico della leadership del Presidente, si rimarca che Morales è stato più volte apostrofato quale leader di una rivoluzione socialista; la verità è che sin dai primi giorni del suo mandato ha chiesto l’appoggio della comunità internazionale per uscire dalla crisi che affliggeva il Paese, senza isolarsi nè chiudere le porte a nessuno. Pertanto, non è in atto nessuna rivoluzione socialista nel paese andino, bensì un cambio politico-culturale che aspira a dar voce alla maggioranza india della popolazione, storicamente esclusa dal potere. Questo si traduce nell’obiettivo di una maggiore uguaglianza sociale, il che si scontra con la posizione dell’opposizione, determinata a difendere il proprio ruolo di supremazia economico-politica nel Paese. Nei suoi discorsi e nelle misure finora adottate Morales è molto meno radicale oggi di quando era leader sindacale dei cocaleros. Proprio per questo motivo è stato capace di attrarre la classe media e di ottenere il voto di settori della popolazione che solo pochi anni prima non l’avrebbero mai scelto come Presidente. Allo stesso modo, la minor radicalità di Morales lascia però spazio agli attacchi dell’opposizione e la mancata rivoluzione socialista lascia le porte aperte a una possibile restaurazione oligarchica.
In conclusione, il progetto di Morales è ambizioso, le difficoltà enormi, ma il suo riformismo indigenista non sembra ancora avere le ore contate.
CASO TELECOM vs. ENTEL
Un breve approfondimento circa il contenzioso in atto tra Entel, operatore telefonico leader sul mercato boliviano e controllato da Euro Telecom International NV (ETI) – società di diritto olandese che fa capo a Telecom– e lo Stato boliviano. Come già evidenziato sopra, dal maggio 2007 Entel è entrata nelle mire dello Stato boliviano che, nell’ambito delle politiche di ristatalizzazione decise dall’amministrazione Morales, è intenzionato a recuperarne il controllo (ad oggi il 53% di Entel è direttamente controllato da Telecom). Nell’ottobre 2007 ETI ha quindi presentato domanda di arbitraggio contro lo Stato boliviano di fronte all’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes), organo della Banca Mondiale.
La questione è molto complicata in quanto la Bolivia, in data 2 maggio 2007, ha denunciato l’atto di adesione con cui è stato istituito l’ICSID, sostenendone l’incompatibilità con alcune norme boliviane. Il Paese è quindi in processo di uscita dall’ICSID e pertanto contesta la validità del meccanismo di arbitraggio scelto da ETI. La holding del gruppo Telecom aveva però intrapreso procedura di pre-contenzioso in data 30 aprile 2007, ovvero pochi giorni prima che la Bolivia decidesse di uscire dall’ICSID. Dal momento che la denuncia boliviana è successiva all’avvio del ricorso dell’ETI la Bolivia, secondo l’interpretazione prevalente ma non unanime, dovrebbe essere ancora vincolata all’ICSID; al contrario, le dichiarazioni dell’esecutivo boliviano sostengono che per il caso Entel non ha valore la giurisdizione dell’ICSID.
La tensione tra le parti, che non hanno ancora trovato accordo circa il tribunale incaricato di risolvere la disputa sulla certificazione degli investimenti sostenuti da Telecom in Bolivia, è quindi sfociata nella domanda di arbitraggio formulata da Telecom contro lo Stato boliviano. L’arbitraggio, di difficile risoluzione, potrebbe costare allo Stato boliviano milioni di dollari in spese giudiziarie, oltre che a incrinare le relazioni bilaterali Bolivia-Italia.