3
lo stesso comma, sotto altro verso, sancisce testualmente il fondamentale
principio della parità retributiva a parità di lavoro.
Ulteriore importante innovazione contenuta nell’articolo 37 della
Carta Costituzionale è sicuramente la riserva di legge di cui al secondo
comma, per il quale, testualmente: “la legge stabilisce il limite minimo di
età per il lavoro salariato”. Questa riserva costituisce un perno essenziale
nella tutela dei minori, perché collega, come si vedrà, la capacità giuridica
del lavoratore di essere titolare delle posizioni soggettive inerenti ad un
rapporto di lavoro con la capacità al lavoro, che si acquista appunto al
compimento dell’età minima normativamente prevista. Affidare il compito
di determinare tale età, e quindi il sorgere di tutti i conseguenti riflessi
giuridici, alla legge ha significato rimettere al più ampio dibattito
democratico possibile nel nostro ordinamento le decisioni che coinvolgono
i minori.
L’importanza del fenomeno del lavoro minorile e della relativa
tutela, che ne giustifica le richiamate affermazione direttamente in seno alla
stessa Carta fondamentale, deriva dalla sua costante attualità.
L’impiego sconsiderato di soggetti deboli, infatti, è una conseguenza
naturale delle relazioni di potere economico tra chi impiega forza lavoro,
tendente alla massima contrazione del relativo costo, e chi offre forza
4
lavoro, non di rado costretto ad accettare livelli di remunerazione inferiori
alla reale qualità e quantità del lavoro prestato.
Lo sfruttamento dei minori, quindi, risulta essere una realtà più
odierna di quanto si possa pensare.
Esso è normalmente spiegato dallo stato di bisogno, identificabile nelle
condizioni di vita insoddisfacenti del nucleo familiare, determinate in
genere dalla disoccupazione o sottoccupazione dei genitori. Ma ad una
approfondita analisi emerge comunque una serie di altri aspetti strutturali
collegati alle iniziative produttive e alle strutture sociali, ugualmente degni
di attenzione, quali la diffusione del lavoro sommerso o irregolare, le
difficoltà scolastiche e la mancanza di assistenza familiare. Anche se il
fenomeno è abbastanza diffuso nelle aree industrializzate, le indagini
effettuate a livello internazionale e nazionale evidenziano che il lavoro
minorile è largamente riscontrabile soprattutto lì dove c’è una limitata
scolarizzazione dei fanciulli; dove le ristrettezze economiche sono tali da
indurre in qualsiasi modo alla ricerca di integrazioni del reddito familiare;
dove la tutela, legislativa e contrattuale, dei lavoratori sia alquanto arretrata
e inefficace.
3
3
BAGLIVO, Il mercato dei bambini, Milano, 1980.
5
Ciò indurrebbe a ritenere che principio fondamentale della tutela
riguardante i minori debba essere certamente quello di una rigorosa azione
legislativa di protezione, limitativa delle possibili forme di sfruttamento
che i datori di lavoro possono porre in essere.
Questa ricostruzione è però parziale.
Se non è possibile prescindere da rigorosi divieti di impiego dei
minori, che ne tutelino l’integrità fisica, non bisogna però dimenticare che,
anche alla luce anche di altre disposizioni costituzionali (quali gli articoli
31, 32, 34 e 35), parallelamente all’eliminazione delle situazioni di
sfruttamento è indispensabile incentivare opportunità di istruzione e
qualificazione professionale che tendano a promuovere il loro più completo
sviluppo professionale e sociale.
4
Salvaguardando e valorizzando le attitudini personali del minore, si
consentirebbe infatti un migliore inserimento nel mondo produttivo, in
quanto il processo tecnologico accentua oggi non solo l’opportunità, da un
lato, della protezione effettiva di un organismo non completamente
sviluppato contro specifiche tecnopatie, quanto, dall’altro, il possesso di
una adeguata preparazione tecnica.
5
4
TREU, Commento ai commi 2° e 3° dell’art. 37 Cost., in Comm. della Cost. Branca, Bologna, 1979.
Problema peculiare per il minore è, per l’autore, proprio il “raccordo dell’attività lavorativa con le
esigenze di sviluppo fisico e di una formazione scolastica e professionale volta al pieno inserimento nel
mercato del lavoro”.
5
SPAGNUOLO VIGORITA, La tutela giuridica del lavoro minorile, in Riv. inf., 1971, I, 648.
6
Altro aspetto fondamentale, infine, è quello della considerazione che
deve essere rivolta alla problematica dell’occupazione giovanile,
sottolineando comunque che in questo caso, trattandosi di lavoratori che
entrano per la prima volta sul mondo del lavoro, più che di strumenti contro
la disoccupazione la spinta del legislatore deve essere quella di creare
strumenti che agevolino il loro accesso al lavoro.
6
6
SCOGNAMIGLIO, La tutela giuridica del lavoro giovanile, in Dir. lav., 1979, I, 111.
7
1.1. Tutela speciale del minore.
Si è detto che l’articolo 37 della Costituzione introduce una tutela
“differenziata” dei lavoratori minori rispetto agli adulti. La necessità di
garantire questa tutela è espressamente sancita, come si è visto, dal
combinato disposto di cui alla prima parte del terzo comma, che
testualmente dispone: “la Repubblica tutela il lavoro dei minori con
speciali norme” e dal secondo comma, per il quale “la legge stabilisce il
limite minimo di età per il lavoro salariato”.
Dalla commistione di queste due affermazioni di principio si
desumono le caratteristiche fondamentali che deve possedere la normativa
di attuazione e che si sostanziano da un lato “nell’obiettivo della parità
rispetto al lavoro maschile” e, dall’altro, nella “esigenza di tener conto
della specificità della situazione minorile”.
7
L’esigenza sottesa a questi punti cardine della garanzia è sicuramente
quella di assicurare la massima salvaguardia allo sviluppo psico-fisico e
culturale dei minori, attraverso lo strumento, individuato dalla stessa
Costituzione, della definizione dell’età minima di ammissione al lavoro, cui
deve far seguito la previsione di adeguati strumenti di protezione.
7
TREU, Commento ai commi 2° e 3° dell’art. 37 Cost., cit.
8
Tale esigenza, ad oggi ormai più che sentita e ormai pacifica, si
scontrava all’epoca della costituente con una realtà normativa e un sistema
sociale assolutamente inadeguato ad eliminare i fattori di rischio cui sono
soggetti i minori. Proprio per questo è stato previsto il ricorso alla fonte
primaria dell’ordinamento, e quindi la previsione della riserva di legge, per
la determinazione in concreto dell’età minima, che doveva costituire
proprio l’elemento “giustificativo” di una disciplina protettiva che
derogasse al principio assoluto di eguaglianza di cui all’articolo 3, comma
1, della stessa Costituzione”.
8
Una lettura troppo rigida del dettato costituzionale porterebbe però,
paradossalmente, ad una discriminazione negativa dei minori rispetto ai
normali lavoratori. Occorre, in altre parole, cautela nell’adozione di una
disciplina attuata con la sola tecnica delle prescrizioni e dei divieti generali
di legge, che impedendo tout court l’accesso al lavoro, renderebbe di fatto
difficile “il necessario adattamento degli standards alle evoluzioni
tecnologiche ed organizzative”, precludendo quindi “qualsiasi margine di
adattabilità della norma in relazione alle fattispecie concrete” con la
conseguenza di irrigidire oltre il dovuto le limitazioni, ostacolando
8
TREU, Commento ai commi 2° e 3° dell’art. 37 Cost., cit.
9
indebitamente l’impiego dei minori e/o di aprire la via a deroghe comunque
giustificabili.
9
Ciò vuol dire che al di là di un necessario divieto di ammissione al lavoro
retribuito se non quando sia stata raggiunta una certa età, il cui fondamento
è rinvenibile nella contemporanea violazione di norme poste a protezione
di beni primari (salute, sviluppo psico-fisico ed educazione), la legge non
può non disciplinare anche il delicato rapporto che viene ad instaurarsi tra
lavoro e formazione, e quindi tra età lavorativa e, principalmente, obbligo
scolastico.
L’impiego dei minori, infatti (in tal senso dispone proprio l’articolo 4
della legge n. 977 del 1967)
10
, non deve in nessun caso pregiudicare, tra
l’altro, la frequenza scolastica. Questa necessità potrebbe essere
interpretata o nel senso di adeguare l’orario di lavoro al tempo libero dalla
scuola, e quindi consentendo a chi studia anche di lavorare, oppure
introducendo un tassativo divieto di lavoro durante il periodo di
assolvimento dell’obbligo scolastico. In questo secondo caso, ovviamente,
non si tiene in alcun modo conto della volontà dei minori di potersi inserire
quanto prima nel mondo del lavoro. A seconda dell’interpretazione che si
da alla norma costituzionale, allora, la libertà di una affermazione nella
9
TREU, Commento ai commi 2° e 3° dell’art. 37 Cost., cit.
10
Prima delle modifiche avvenute con il d. lgs. 4 agosto 1999 n. 345 e con il d. lgs. 18 agosto 2000 n.
262, la legge citata prevedeva lo stesso principio all’articolo 3, comma 2, ove era previsto che il lavoro
dei fanciulli era permesso qualora ciò non comportasse “trasgressione dell’obbligo scolastico”.
10
società da parte del minore (dall’indiscusso valore costituzionale,
considerato che per l’articolo 2 della Costituzione “la repubblica è fondata
sul lavoro”) può essere più o meno compressa.
Emerge dunque l’ulteriore significato della previsione della riserva di
cui al secondo comma dell’articolo 37 della Costituzione, la quale è
finalizzata all’attribuzione, in via esclusiva alla legge, del compito di
dirimere e comporre gli elementi di dissidio tra, da una parte, “gli interessi
generali alla salvaguardia dell’integrità psico-fisica e alla formazione
culturale dei giovani” e, dall’altra, “le loro aspirazioni individuali, pure
meritevoli di considerazione”.
11
In conclusione, quindi, appare chiaro come l’intervento legislativo,
per essere realmente efficace, debba essere diretto a “creare le condizioni,
agendo sui due termini del rapporto corrente fra scuola e mercato del
lavoro, perché il giovane possa acquisire progressivamente diritti e
possibilità pari a quelle di tutti i lavoratori” attuando, cioè, “una politica
promozionale del lavoro giovanile”.
12
11
OLIVELLI, Il lavoro dei giovani, Milano, 1981.
12
Una politica promozionale è stata intrapresa, insufficientemente, con la legge n. 285 del 1977 e con la
legge n. 479 del 1978. Per TREU, Commento ai commi 2° e 3° dell’art. 37 Cost., cit., si dovrebbero
introdurre incentivi alle imprese per l’assunzione di giovani, stanziamenti per attivare programmi di
formazione professionale e creare “nuovi contratti a termine che presentino uno stretto legame, all’interno
del rapporto, fra formazione e lavoro”; queste intuizioni hanno trovato conferma nell’introduzione dei
contratti di formazione e lavoro e nelle recenti modifiche normative per la valorizzazione
dell’apprendistato.
11
1.2. Diritto alla parità retributiva.
Gli strumenti di tutela del lavoro minorile riguardano anche un
aspetto diverso da quello proprio dell’integrità fisica o dello sviluppo
professionale, ma non per questo meno importante, costituito dal
trattamento retributivo.
Statuisce l’articolo 37 della Costituzione, terzo comma, seconda parte, che
la Repubblica “garantisce ad essi [minori], a parità di lavoro, il diritto alla
parità di retribuzione”.
La parità retributiva, quale diritto costituzionale riconosciuto ai
minori, pur costituendo il precetto più “innovatore rispetto alla tradizionale
normativa sul lavoro giovanile”, è certamente tra quelli più disattesi.
13
L’analisi della norma deve essere condotta in parallelo a quanto
previsto dal comma 1 dello stesso articolo 37, che in materia di lavoro
femminile impronta la relativa tutela allo stesso principio, anche se con una
diversità lessicale che potrebbe portare a interpretazioni diverse.
Nel caso delle donne, infatti, ferma restando la sussistenza in capo
alle suddette degli “stessi diritti”, la Costituzione prevede a parità di lavoro
la corresponsione delle “stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. Per
13
TREU, Commento ai commi 2° e 3° dell’art. 37 Cost., cit.
12
i minori, invece, si prevede che alla parità di lavoro consegua il “diritto alla
parità di retribuzione”.
Nel primo caso, quindi, la pretesa del soggetto tutelato potrebbe non
discendere direttamente dalla norma costituzionale, che non prevedendo un
esplicito diritto, esercitabile in quanto tale, e considerata nella sua portata
programmatica (in relazione all’articolo 3, secondo comma, della stessa
Costituzione) necessiterebbe di una attuazione legislativa. Nel secondo,
invece, l’espresso riconoscimento di un diritto alla parità di retribuzione
non consente dubbi sulla sua reale efficacia applicativa. Tale differenza,
invero, è sicuramente ad oggi superata, ma a lungo si è cercato di negare
l’efficacia precettiva dell’articolo 37 della Costituzione, almeno nella parte
concernente le donne, argomentando che il principio espresso richiedeva
sia la “determinazione di elementi generici e indeterminati dalla norma con
indagini di fatto” sia la definizione dei “poteri spettanti al giudice nel
concretare tali elementi”.
14
E’ solo con l’articolo 119 del Trattato CEE e con la Carta Sociale
Europea del 1961 che la reale efficacia della parità di trattamento delle
donne espressa nell’articolo 37, primo comma, della Costituzione è stata
14
TREU, Commento ai commi 2° e 3° dell’art. 37 Cost., cit. V. anche ASSANTI , I principi costituzionali
per la tutela del lavoro femminile e minorile, in Rass. lav., 1968, 365.
13
ritenuta ormai pacifica, eliminando conseguentemente ogni dubbio in
ordine alla portata del diritto concesso a favore dei minori dal terzo comma.
Ciononostante, la giurisprudenza, e soprattutto il legislatore e la
stessa contrattazione collettiva, non hanno affrontato il problema con
decisione, salvo che alla fine degli anni ‘70, allorché, grazie ad una
giurisprudenza di legittimità appena formatasi, anche nei contratti collettivi
è stata in modo deciso esclusa la possibilità di giustificare disparità di
trattamenti retributivi anche collettivi facendo leva sul diverso rendimento
dei minori.
Contemporaneamente, nello stesso periodo, la Corte costituzionale
non mancò di rilevare in modo chiarissimo che il richiamo alle condizioni
personali di cui all’articolo 3, primo comma, della Costituzione,
ricomprende sicuramente “anche l’età come elemento di discriminazione
vietata”.
15
A questo punto sorge, però, un problema interpretativo dagli indubbi
riflessi pratici, consistente nella definizione della “parità di lavoro”.
Questo metro di comparazione, infatti, determina l’estensione del
diritto del minore alla stessa retribuzione del lavoratore adulto, e questo fa
capire quanto importante sia la corretta qualificazione del suo significato.
15
Corte Costituzionale, sentenza 14 lug1io 1971, n. 174, in Riv. dir. lav., 1978, I, p. 162.
14
Si potrebbe infatti condizionare la parità di retribuzione alla parità di
rendimento, permettendo così, in ossequio al principio di uguaglianza
costituzionale che consente trattamenti diversi sulla base di differenze di
fatto presenti in situazioni simili, di retribuire maggiormente un adulto
rispetto ad un minore visto che il primo, in uno stesso periodo di lavoro,
rende certamente di più del secondo.
Oppure si potrebbe ritenere che il minore possa essere sottopagato
perché la “parità di lavoro” deve essere intesa come a parità di costo del
lavoro, e visto che il minore costa di più, a causa proprio della legislazione
protettiva, che non consente di utilizzarlo come e quando si vuole, allora
una stessa retribuzione determinerebbe paradossalmente una
discriminazione dell’adulto.
Nella stessa Assemblea Costituente si levarono, in effetti, opinioni
contrastanti in merito al significato da attribuire al disposto costituzionale,
ma la corrente maggioritaria sostenne che essa dovesse indicare un criterio
meramente oggettivo riconducibile al concetto di “mansione”.
16
Questa interpretazione è sicuramente quella più rispondente al
disegno di tutela che l’articolo 37 della Costituzione intende realizzare.
16
BARILE, Retribuzione eguale per un lavoro di valore eguale - Atti del Convegno del 4-6 ottobre 1957,
p. 369. Così, anche, GALANTINO, Diritto del lavoro, Torino, 2002.
15
Pertanto, una valutazione meramente soggettiva condotta dal datore
sul pari valore della mansione dovrebbe essere esclusa, ed il rendimento, di
conseguenza, dovrebbe essere considerato un elemento estraneo al rapporto
di lavoro, poiché la retribuzione va correlata alla prestazione di energie
lavorative erogata per un certo tempo e non anche al risultato conseguito
con essa. Questo principio, qualora violato, comporterebbe una
differenziazione delle retribuzioni presuntivamente fondata sull’età, e
quindi in contrasto con il principio di uguaglianza espresso dalla
Costituzione.
Viceversa, non si dovrebbe escludere la possibilità di comparare i
singoli lavoratori ricercando ogni elemento che possa influire sul loro
valore e sulla capacità degli stessi di svolgere le mansioni loro affidate,
purché un tale accertamento “sia condotto in modo uguale, cioè con gli
stessi criteri”, come nel caso in cui, ad esempio, si valutino le diverse
qualità tecniche e professionali della prestazione resa.
17
17
OLIVELLI, Sulla parità del trattamento retributivo dei minori e dei maggiorenni, in Giust. Civ., 1981, I,
2712.