borghesia si è appropriata grazie ad una serie di trasformazioni socio economiche ed alla
rivoluzione industriale.
La privacy è il risultato di una rottura all’interno del tessuto sociale, frutto di una lenta
e complessa operazione che si conclude con l’assunzione di una propria identità da parte
della classe borghese.
3
La possibilità di godere appieno della propria intimità è un
elemento che distingue la borghesia dalle altre classi (ad esempio i ceti meno abbienti le
cui condizioni di vita non permettevano di avere una propria intimità perché “lasciarli
soli” significava abbandonarli a violenze sociali).
4
La privacy è usata dall’individuo come
strumento di isolamento, come mezzo per conquistare un proprio spazio, ricorrendo a
tecniche di tutela analoghe a quelle del diritto di proprietà. All’interno della classe
borghese essa assumeva una duplice funzione garantista: tutelava i cittadini più in vista da
scandali e pettegolezzi (posizione conservatrice), garantiva le minoranze artistiche ed
intellettuali da indiscrezioni giornalistiche in grado di accrescerne l’impopolarità
(posizione liberal progressista).
5
3
RODOTA’, “Tra individuo e collettività,” in Politica del Diritto, 1974, pag. 548. «Il primo
mutamento radicale … destinato ad infrangere la forma della casa di abitazione medievale fu lo
sviluppo del senso di intimità. Questo, infatti, significava la possibilità di appartarsi a volontà dalla
vita e dalle occupazioni in comune coi propri associati. Intimità durante il sonno, intimità durante i
pasti, intimità nel rituale religioso e sociale; finalmente, intimità nel pensiero”. E così finiscono “le
reciproche relazioni sociali fra i ranghi superiori e quelli inferiori del regime feudale: relazioni che
avevano mitigato la sua oppressione. Il desiderio di intimità segnò l’inizio di quel nuovo schieramento
di classi che era destinato a finire nella lotta di classe senza quartiere e nelle rivendicazioni
individualistiche di un periodo posteriore»: così LEWIS MUMFORD, La cultura delle città, tr. It. Di
E. e M. LABO’, 1953, pag. 29
4
«Poverty and privacy are simply contrddictoires»: BENDICH, Privacy, Poverty and the constitution,
Report for the Conference on the law of the Poor, University of California at Berkeley, 1966, pp 4 e
7; «il diritto ad essere lasciato solo può assumere un significato pesantemente negativo, quando ciò
implica disinteresse per le condizioni dei meno abbienti, abbandono dei più deboli alla violenza
sociale»: RODOTA’, op cit , pag 549.
5
RODOTA’,op cit, pag 550; WESTIN, Privacy and Freedom, 1970, pag. 348.
1.2 – DA DIRITTO DI “CLASSE” A INTERESSE DELLA COLLETTIVITA’
A seconda dell’uso che se ne fa, la privacy assume una diversa accezione.
6
Qualora la difesa della privacy è invocata al solo scopo di ostacolare un intervento
assistenziale da parte dei pubblici poteri, mirato ad attenuare le disuguaglianze tra le classi
più abbienti e quelle meno agiate, la privacy si presenta quale strumento di
consolidamento dei privilegi di un gruppo (classe borghese).
Se invece la privacy è usata dai cittadini quale mezzo per resistere all’autoritarismo e
alle discriminazioni politiche, religiose, razziali, ecco che diventa uno strumento per
promuovere la parità di trattamento tra cittadini, per costruire l’uguaglianza e rimediare
all’equazione privilegio – classe borghese.
In entrambi i casi si tratta di reagire alle interferenze dei poteri pubblici, ma diversa è
la motivazione che accompagna la reazione: individuale e classista nel primo caso,
collettiva nel secondo.
7
Emerge dunque la dimensione sociale del fenomeno: non più
diritto di classe, ma interesse della collettività. Il nostro ordinamento riconosce
all’individuo uno spazio riservato, inclusivo dei dati relativi alla sua persona e alla sua
individualità fisica e spirituale. Tale riconoscimento non è espressivo di un privilegio
esclusivo della classe borghese, ma postula la tutela di valori che chiunque deve rispettare
e garantire affinché l’individuo goda di un minimo di libertà che gli consenta di agire ed
6
RODOTA’, “Tra individuo e collettività”, cit., pag. 548: l’autore osserva come la crescita
dell’assunzione di informazioni personali da parte delle istituzioni pubbliche o private risponde a due
obiettivi: garantire «la preparazione e la gestione di programmi di intervento sociale da parte dei
pubblici poteri e lo sviluppo di strategie imprenditoriali private»; controllare «la conformità dei
cittadini all’indirizzo politico dominante ed ai comportamenti prevalenti»
7
RODOTA’, op cit., pag. 550 ss
operare senza condizionamenti esterni ed il timore di un giudizio comparativo degli altri.
Del resto, la collettività non avrebbe alcun interesse a conoscere i fatti della storia intima;
solo quando i fatti individuali, per un qualsiasi motivo, dovessero assumere una
dimensione sociale, allora “l’interesse a non far conoscere” è scavalcato dal diritto sociale
al controllo dei dati personali.
8
8
TOMMASINI, Osservazioni, cit., pag. 291, ss: l’autore osserva come la privacy e la conoscenza
siano interessi in conflitto, tuttavia conciliabili sfruttando le tecniche costituzionali di bilanciamento
degli interessi del singolo con quelli della collettività, fermo restando che non è facile definire la sfera
intima e che l’interesse generale alla conoscenza può invadere la sfera privata, dovendosi arrestare
solo davanti a quella personale, intima, segreta. Pertanto «la garanzia della privacy prospetta un
ulteriore profilo del dosaggio, costante in tutti gli istituti giuridici, tra gli interessi della collettività e
quella dei singoli (o dei gruppi) che ad essa appartengono»: TOMMASINI, op cit., pag. 291;
cfr.CORTE APP. MILANO, 19 genn. 1971, in Giur. It., 1971., I, 2, pag. 1026: «La Corte
Costituzionale ha … affermato che l’art. 21 comma 3, della Costituzione, pur consentendo al
legislatore ordinario di dare prevalenza …] al sequestro in caso di delitti, stabilisce direttamente la
prevalenza dell’interesse alla circolazione della stampa in ogni altra ipotesi»
2) DOTTRINA CIVILISTICA E PRIVACY
La dottrina civilistica si è sforzata di ricercare nel nostro sistema giuridico una norma
che individuasse un generico ed esplicito diritto alla riservatezza. Alcuni autori,
percorrendo la strada dell’analogia legis, ritengono di aver rinvenuto un diritto alla
privacy nelle norme che garantiscono il diritto di immagine, presumendo una affinità
tra la tutela della riservatezza e quella del segreto inteso come “ulteriore aspetto della
riservatezza”. Secondo questa corrente di pensiero il diritto all’immagine è una
manifestazione del diritto alla riservatezza quale diritto “alla non conoscenza altrui
dell’immagine del soggetto”, con esclusione delle parti che non rivelano i tratti
essenziali dell’individuo e la cui riproduzione non consente un collegamento con
quest’ultimo.
9
I fautori di questa teoria asseriscono che il diritto alla riservatezza trovi nel nostro
ordinamento un ulteriore referente normativo oltre al diritto all’immagine, alludendo
al diritto al segreto quale tutela rafforzata della riservatezza di cui si ritiene esistano
9
DE CUPIS , Diritti della personalità, cit., pag. 258 ss; contra PUGLIESE Il preteso diritto alla
riservatezza e le indiscrezioni cinematografiche, in Foro it., 1954, I, pag.118: l’autore esclude che il
diritto all’immagine sia una manifestazione del diritto alla riservatezza ed afferma che l’opinione
contraria è dovuta ad una insufficiente analisi del bene tutelato: Pugliese ritiene che la lesione
dell’immagine, oltre che sulla riservatezza, incide immediatamente sulla personalità dell’individuo;
«chi utilizza a qualsiasi fine l’immagine che della personalità è misteriosa e quasi divina impronta,
utilizza in fondo la persona, moltiplicandone senza il suo volere la presenza morale … il diritto
all’immagine … occupa, nella scala dei valori umani, un posto più alto, ed è più strettamente
connessa alla personalità che non il bene della riservatezza …» . Ma DE CUPIS Il diritto alla
riservatezza esiste, in Foro it., 1954, IV, pag. 90 s, replica che la riservatezza è una qualità, un modo
di essere della persona, un bene ad essa inerente «… insieme agli altri beni inerenti alla persona,
costituisce ciò che la persona è …. L’arbitraria moltiplicazione della presenza morale della persona, di
cui parla Pugliese, offende certamente la persona, ma proprio nel suo bene della riservatezza: si
infrange il riserbo personale e quindi è colpito l’interesse, l’aspirazione, della persona a conservare il
proprio isolamento morale …. La personalità individuale è impressa nell’immagine: può ben
comprendersi l’interesse della persona alla conservazione del riserbo intorno a questa. Il diritto
all’immagine … costituisce proprio una manifestazione del diritto alla riservatezza. Questo bene, e
non altro, è offeso quando l’immagine della persona è data in pasto alla curiosità popolare». Alla tesi
di De Cupis aderisce anche PUGLIATTI, La trascrizione, Vol. I, I, 1957, pag. 12, quando riconosce
quale «specificazione o manifestazione tipica» della tutela della riservatezza «quel diritto per mezzo
del quale la persona può reagire contro l’arbitraria diffusione della sua immagine».
diverse gradazioni e per effetto delle quali si passa da “uno stato negativo della
persona rispetto alla conoscenza altrui (riserbo), ad un modo di essere assolutamente
negativo della persona, chiusa nel proprio segreto che vuole congruamente
difendere”.
10
Altra parte della dottrina è ricorsa al criterio dell’analogia Juiris e dunque ai principi
generali dell’ordinamento giuridico. Questi autori affermano che le norme sul diritto
all’immagine o al segreto tutelano solo aspetti particolari della riservatezza, ma hanno
tutti una ratio comune: garantire la vita privata dell’individuo dalle indiscrezioni altrui.
La ratio comune, cui si ispirano le norme citate, si atteggia a principio generale
dell’ordinamento vigente, del quale le norme sono applicazioni particolari. Il principio
generale, a giudizio dei suoi sostenitori, può e deve trovare applicazione anche nei casi
non esplicitamente previsti dalla legge e deve riconoscersi nell’attuale ordinamento “
un diritto generale alla riservatezza dello svolgimento della vita privata”, quale
ulteriore aspetto della libertà individuale, “concettualmente intesa come negazione
dell’imposizione di vincoli o limitazioni all’estrinsecazione della personalità e
negazione dell’invasione altrui, privata o pubblica, nei modi di manifestazione della
personalità”, garantito dall’ordinamento costituzionale e limitato al solo scopo di
consentirne la pacifica coesistenza con le altre manifestazioni della libertà individuale e
la soddisfazione di preminenti interessi pubblici”.
11
10
DE CUPIS ,“I diritti della personalità”, cit., pag. 258 ss. Anche PUGLIATTI, La trascrizione, cit.,
pag. 8, rileva l’esistenza di «una gamma piuttosto ricca di gradazioni, nella quale, dal segreto in senso
stretto e rigoroso, si perviene, attraverso passaggi insensibili, al semplice riserbo»
11
SCHERMI ,“Diritto alla riservatezza e opera biografica,” in Giust., civ., 1957, I, pag. 215 e ss;
contra CASS. SEZ. I, 22 dicembre 1956 n. 4487, in Giust. civ., 1957, pag. 214 ss. : La Suprema Corte
nega l’esistenza di un generico diritto alla riservatezza nel nostro ordinamento giuridico garantendo
protezione solo ad alcuni aspetti determinati della vita privata dalle indiscrezioni altrui.
Esiste infine una illustre dottrina, tra l’altro avallata dalla Corte di Cassazione con la
sentenza del 20 aprile 1963 n. 990,
12
che afferma, sulla base dell’art.2 della
Costituzione, l’esistenza di un unico diritto della personalità comprensivo della
riservatezza. La teoria in questione muove innanzi tutto una critica nei riguardi
dell’impostazione dottrinaria che vede il proliferare dei diritti della personalità ed
ammette l’esistenza di distinti ed autonomi diritti soggettivi per ogni esigenza della
persona (ad es.: il diritto al nome, il diritto all’onore, il diritto al segreto, il diritto
all’immagine e così via.). L’obiezione mossa a tale orientamento è dovuta alla sua
astratta permissività in merito all’esistenza di figure piuttosto bizzarre di diritti della
12
CASS. PEN., SEZ.I, 20 aprile 1963 n. 990, in Giust. civ, 1963, I, 2, pag. 1280: il Supremo Collegio,
pur negando l’esistenza di un autonomo diritto alla riservatezza, ne garantisce comunque la tutela in
«caso di violazione del diritto assoluto della personalità» quale «diritto alla libertà di
autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomo come singolo». La Corte afferma
che «… la personalità è il presupposto dei diritti ma anche che essa, oltre alla capacità, nel senso di
attitudine astratta di avvalersene e di acquistarli, a seconda del loro oggetto, postula un diritto di
concretizzazione, cioè un diritto di libertà di autodeterminazione nei limiti consentiti
dall’ordinamento, il quale come diritto assoluto, astratto si distingue dal potere di autonomia inerente
ai singoli concreti diritti e alle concrete manifestazioni. Con tale costruzione, sostenuta da autorevole
dottrina, si rilevano inconsistenti oltre l’obiezione ora considerata di una identificazione della capacità
giuridica con il diritto assoluto di personalità, anche le altre: quella dell’insussistenza dell’oggetto,
perché l’oggetto del diritto consiste nella possibilità di manifestazioni nei limiti consentiti; quella
della inconciliabilità che il soggetto sia anche l’oggetto, perché, delimitato l’oggetto nel senso
indicato, non sussiste ostacolo a distinguere la persona, in quanto esiste dalla persona, in quanto ha e
in quanto può agire; e quella della indeterminatezza del vincolo, perché determinato l’oggetto nella
possibilità di manifestazioni concrete si ha corrispondentemente, in relazione ad esse, un divieto
generale di non ingerenza. Il fondamento in diritto positivo di un diritto assoluto nel senso indicato
può ravvisarsi nell’art. 2 Cost., il quale, …, ammette con ciò un diritto di libera autodeterminazione
nello svolgimento della personalità nei limiti di solidarietà considerati. Tale diritto si distingue da
quelli specifici ed inerisce in conseguenza del menzionato riconoscimento della personalità … un
diritto alla riservatezza … non può, in mancanza di esplicita previsione, affermarsi né lo si può
ritenere per analogia juris sulla base di singoli diritti di personalità, dato che singoli concreti aspetti
non consentono di precisare un principio che giustifichi il riconoscimento e la efficacia propria di un
autonomo diritto soggettivo ad una non precisata riservatezza. Ma deve ammettersi la tutela nel caso
di violazione del diritto assoluto di personalità quale diritto erga omnes alla libertà di
autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomo come singolo. Tale diritto è violato
se si divulgano notizie della vita privata le quali, per tale loro natura, debbono ritenersi riservate, a
meno che non sussista un consenso anche implicito della persona, desunta dall’attività in concreto
svolta o, data la natura dell’attività medesima e del fatto divulgato, non sussiste un prevalente
interesse pubblico di conoscenza, che va considerato con riguardo ai menzionati doveri di solidarietà
inerenti alla posizione assunta dal soggetto …». Successivamente la Suprema Corte muta
orientamento e in una delle sue massime afferma: «deve ritenersi esistente nel nostro ordinamento un
generale diritto della persona alla riservatezza, inteso alla tutela di quelle informazioni e vicende
strettamente personali e familiari nei quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non
hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con
mezzi leciti, la reputazione e il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti»:
CASS., 27 maggio 1975, in Giur it, 1976, I ,1, pag. 970.
personalità come il diritto al numero di telefono o al numero di matricola. In realtà la
persona umana ha un valore unitario e i suoi interessi collettivi, sebbene
concettualmente isolabili, conservano un riferimento oggettivo e sono sostanzialmente
solidali tra loro. Non esistono tanti diritti della personalità, ma un unico diritto che
garantisce l’essere della persona, ossia tutti quei beni personali che servono allo
sviluppo della personalità e di cui la coscienza sociale, che trova espressione nell’opera
del legislatore e del giudice, ritiene necessaria la tutela. La coscienza sociale si pone
come limite interno alla categoria dei diritti della personalità, nel senso che l’interesse
dell’individuo al rispetto di sè e della persona deve fare i conti e bilanciarsi con
l’interesse generale al libero svolgimento della vita di relazione. Questo limite interno,
anche se non è stabilito dal legislatore, si desume dal costume e determina che la
categoria dei diritti della personalità non è illimitata, mentre indefinito e vario, sia
pure nei limiti anzidetti, è il suo contenuto.
13
13
GIANPICCOLO, La tutela giuridica della persona umana e il c.d diritto alla riservatezza, in Riv.
trim. dir. proc . civ., 1958, 458 ss; SGROI, Il diritto alla riservatezza di nuovo in Cassazione, in
Giust. civ., 1963, I, 2, pag 1282 ss., critica l’idea di Gianpiccolo per cui l’unico diritto della
personalità garantisce ogni interesse umano che il costume sociale ritiene meritevole di protezione,
essendo necessario che la valutazione da parte della coscienza sociale sia recepita dall’ordinamento;
occorre pertanto trovare un fondamento normativo al diritto alla riservatezza e ciò è possibile,
secondo l’autore, mediante il ricorso all’analogia che autorizza il riconoscimento soggettivo della
riservatezza e la determinazione dei relativi limiti.
3) IL RICONOSCIMENTO COSTITUZIONALE DELLA PRIVACY
Nonostante la Costituzione non preveda espressamente il diritto alla riservatezza,
l’opinione prevalente non discute sul suo fondamento costituzionale. La questione
non è di poco conto, perché il riconoscimento della privacy inevitabilmente determina
la limitazione di diritti costituzionalmente garantiti.
Alla tesi secondo la quale il legislatore costituzionale garantisce la riservatezza
attraverso la combinazione di una serie di disposizioni costituzionali (art. 13; 14; 15;
21; 27 comma 2; 29 comma 1) che complessivamente ne riferiscono i tratti essenziali,
si accompagna e si contrappone chi ravvisa il fondamento costituzionale della privacy
in un’unica norma (art.2 Cost.) ritenuta in grado di accogliere ogni nuovo interesse che
si affaccia sulla scena giuridica e da cui emerge l’esigenza di tutela dell’inviolabilità
della persona.
14
I sostenitori della prima tesi riconoscono che le norme costituzionali citate tutelano
direttamente diritti autonomi e distinti rispetto alla riservatezza, tuttavia non
escludono un riferimento a quest’ ultimo interesse.
Si osserva che gli art. 13 e 14 cost., “prima facie” custodi dell’inviolabilità della
persona e del domicilio, impongono richiami anche alla riservatezza, visto che non
tollerano illecite intrusioni da parte di estranei nella sfera individuale della persona e
nello svolgimento della sua vita domiciliare.
15
14
Per tutti:VITARELLI, Vita privata nel diritto penale, in Digesto discipline penalistiche, 1999, pag.
305
15
MANTOVANI, Mezzi di diffusione e tutela dei diritti umani, in Arch. Giur., 1968, pag. 388, nota
43: «se è incontestabile che gli art. 13 e14 – col sancire, l’uno, la inviolabilità della libertà personale
ed il divieto, tra l’altro, di ispezioni e perquisizioni personali, e l’altro, l’inviolabilità del domicilio ed
il divieto nell’ambito del medesimo di ispezioni e perquisizioni reali e di sequestro – si riferiscono in
via primaria a diritti distinti da quello della riservatezza, non si può parimenti negare la non estraneità
ad essi di quest’ ultimo interesse. L’esclusività spaziale, in cui si sostanzia il diritto all’inviolabilità
Mentre l’art. 15 cost., che garantisce la libertà e la segretezza della corrispondenza e di
ogni altra forma di comunicazione, non può certo non fare riferimento anche alle
comunicazioni tipicamente riservate.
16
In merito all’art. 21cost. si afferma che la libertà di manifestazione del pensiero va
tutelata sotto un duplice aspetto, positivo e negativo: la libertà in questione si
identifica non solo col diritto di dire ciò che si pensa, ma anche nella facoltà di
mantenere segreto il proprio pensiero o di rivelarlo ad alcuni anziché ad altri.
17
Il richiamo all’art. 27 comma 2, si giustifica in quanto la presunzione di non
colpevolezza deve fare da garante alla riservatezza dell’imputato; a sua volta la
del domicilio, se è innanzitutto esclusività di presenza umana, è anche mediatamente esclusività di
conoscenza di ciò che ivi avviene, poiché l’esclusione di estranei dall’ambito in cui la personalità si
estrinseca nella sua dimensione individuale trova la sua piena ragione giustificatrice anche in funzione
della esclusione della possibilità dei medesimi di conoscere e di divulgare. Il che risulta in modo
ancor più evidente in rapporto alle ispezioni e perquisizioni domiciliari; come d’altro canto vale in
certa misura anche per le ispezioni e le perquisizioni personali».
16
MANTOVANI,ult op cit., pag. 388, nota 42: «Coll’ affermare come inviolabile sia la «libertà» sia
la «segretezza» non solo della «corrispondenza», ma genericamente di «ogni altra forma di
comunicazione» e senza alcuna specificazione di contenuti, l’art. 15 Cost. estende la propria garanzia
anche e innanzitutto alle comunicazioni relative a notizie tipicamente private ed intime. In secondo
luogo: qualunque sia la loro forma, non solo epistolare, telegrafica o telefonica, ma anche quella più
solita e normale della comunicazione diretta, orale. In terzo luogo: contro tutte le azioni impeditive
della «libertà» e cioè della possibilità di comunicare, e tali sono, in rapporto alle forme di
comunicazione diretta, orale, e con contenuto esclusivamente privato, gli atti di interferenza mediate,
ad es. mezzi meccanici (microfoni, registratore, magnetofono, teleobiettivi), come pure gli atti di
divulgazione di ciò che si è appreso, poiché non è certo libero di comunicare chi sa o teme di essere
ascoltato da chi non desidera o di vedere divulgato ciò che comunica. In quarto luogo: contro tutte le
violazioni della «segretezza» delle comunicazioni, intendendosi così proteggere il «contenuto» delle
comunicazioni stesse (qualunque forma rivesta: anche orale) contro la presa abusiva di conoscenza da
parte di chiunque non legittimato a conoscere, qualunque sia il mezzo da questi usato (violazione
della corrispondenza, intercettazione telefonica o telegrafica, ricorso ai mezzi meccanici sopra
menzionati, ascolto diretto); nonché contro la divulgazione di tale contenuto da parte dei soggetti non
legittimati a rivelarlo. La segretezza, nella esclusività di conoscenza che la connota, è violata sia
abusivamente conoscendo sia abusivamente rivelando».
17
MANTOVANI, op cit., pag. 390, nota 44: «… Posto che la libertà di manifestazione del pensiero è
anche, nel suo aspetto negativo, libertà di non manifestazione del pensiero, libertà di manifestare il
proprio pensiero ad alcuni e non ad altri, che senso avrebbe sotto questo profilo il riconoscimento se si
potessero poi carpire le manifestazioni che il soggetto desidera non superino un certo ambito
familiare, privato, confidenziale? D’altronde, che senso avrebbe garantire la inviolabilità del
domicilio se fosse poi consentito prendere conoscenza di ciò che ivi avviene attraverso mezzi
meccanici che operano a distanza? Incongruente sarebbe pure garantire la inviolabilità delle
comunicazioni dirette, quando si lasciasse poi aperta la possibilità che il loro contenuto venga
conosciuto attraverso la presa di conoscenza degli atti, degli incartamenti, in cui tale contenuto sia
stato materializzato. E su questa via si potrebbe continuare».
riservatezza deve proteggere il presunto innocente dalle indiscrezioni abusive della
pubblica autorità.
18
Il riferimento all’art. 29 comma 2 dimostra che anche l’interesse all’intimità è una delle
componenti essenziali della famiglia, che fa dell’ “esclusività” una delle sue
caratteristiche principali.
19
L’art. 3 comma 2 della Cost. rappresenta un «pilastro» del diritto alla riservatezza: la
norma, infatti, impegna il legislatore a rimuovere quegli ostacoli di natura economico
sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona come «civis» e prima ancora
come «singolo», ai sensi dell’art. 2 Cost.. Poiché la riservatezza è «una esigenza
connaturata alla persona umana nella sua proiezione individuale» e gli «attacchi» ad
essa rappresentano un ostacolo economico sociale al pieno sviluppo della «persona
umana» nella sua dimensione individuale, lo Stato deve rimuovere questi ostacoli ed
offrire adeguate tutele alla riservatezza.
20
La tesi opposta, che mette l’accento sul
18
MANTOVANI, op cit., pag. 388, nota 43: «Per quanto riguarda l’art. 27 consacrante il principio
della presunzione di non colpevolezza, si discute soprattutto se esso tuteli primariamente lo status
processuale dell’imputato o invece l’interesse extraprocessuale della reputazione e della riservatezza
del medesimo, fermo restando che questi beni vengono pur sempre in considerazione da parte di detta
disposizione. Pur dovendosi muovere dalla prima opinione, l’interesse oltre che della reputazione
anche della riservatezza acquista rilievo non solo per la comune considerazione che detta presunzione
non può non tradursi in una garanzia dei suddetti beni extraprocessuali nei confronti dei consociati.
Ma altresì per il fatto che la riservatezza viene in considerazione ancor prima in rapporto alla
presunzione di non colpevolezza come garanzia in ordine al processo, essendo verosimile che questa
si estende alla protezione dello stato di presunto innocente pure nei confronti di quegli atti della
pubblica utilità, offensivi del bene della riservatezza personale e concretatisi, ad es., nell’ascoltare
attraverso mezzi meccanici le conversazioni tra imputato e difensore».
19
MANTOVANI, op cit, pag. 388, nota 43: «Quanto poi all’art. 29, il fatto che esso non faccia alcuna
espressa menzione all’interesse della intimità, della riservatezza familiare, non può costituire un
argomento sufficiente per negare che attraverso l’esplicito riconoscimento dei diritti della famiglia
come «società naturale» la Costituzione faccia riferimento anche al suddetto interesse, costituendo la
«esclusività» la caratteristica preminente della famiglia come istituzione originale».
20
MANTOVANI ,op cit., pag. 389, nota 43: «Per quanto concerne, infine, l’art. 3, la sua asserita
proiezione sociale, che impedirebbe di ricollegarvi il diritto alla riservatezza, è esatta se riferita ai
«mezzi» che lo Stato deve usare e agli «ostacoli» che deve rimuovere per assicurare il «pieno
sviluppo» della persona umana. Intesa viceversa come considerazione della «persona umana» soltanto
e prevalentemente nella sua dimensione sociale, sarebbe esatta solo se rapportata ad un ordinamento
totalitario oppure parzialmente orientato nel senso della prevalenza del «sociale» sul «individuale»;
mentre si presenta unilaterale ed eccessiva una volta rapportata al nostro ordinamento che concepisce
la persona umana in tutta la sua interezza, nella sua dimensione individuale e nella sua dimensione
carattere unitario della riservatezza esaltandone la natura costituzionale alla luce di
quanto disposto dall’art. 2 della Costituzione, asserisce che questa ultima disposizione
va interpretata secondo le disposizioni contenute nell’art. 12 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo e nell’art. 8 della Convenzione Europea sulla
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Sulla base delle norme
citate (che garantiscono la vita privata e familiare da interferenze esterne), il rispetto
della vita privata va dunque inteso quale diritto inviolabile.
21
Il riferimento alle
formazioni sociali da parte dell’art. 2 Cost., da cui emerge la dimensione sociale della
privacy, impone un collegamento con l’art. 3 Cost., a dimostrazione del legame
esistente tra il principio personalistico e quello solidaristico ed in forza del quale la
sociale. Univoca è la distinzione operata dall’art. 2 nei confronti dell’uomo come «singolo» e come
elemento inserito nelle «formazioni sociali ove si svolge la sua personalità», in funzione della quale
riconosce i diritti inviolabili del medesimo come «individuo» e come «civis». E la persona umana in
questa duplice dimensione riemerge nell’art. 3: se con l’impegnare lo Stato ad attivarsi per assicurare
«l’effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»
esso fa riferimento al momento sociale, con l’impegnare il medesimo ad attivarsi per rimuovere gli
ostacoli di ordine economico – sociale che impediscono il «pieno sviluppo della persona umana» non
può non fare riferimento alla persona umana integralmente intesa, come «civis» e ancora prima come
«singolo», in quella pienezza imposta dall’art. 2. Di conseguenza: poiché la riservatezza costituisce
una esigenza connaturata alla persona umana nella sua proiezione individuale; poiché l’attacco ad
essa da parte, soprattutto, dei grandi mezzi di diffusione costituisce, per la sproporzione di forze tra
singolo e le organizzazioni economico–sociali sottostanti ai medesimi, un ostacolo economico–sociale
che impedisce il «pieno sviluppo della persona umana» nel suo momento individuale, lo Stato
pertanto deve rimuovere tali ostacoli, proteggendo adeguatamente la riservatezza. L’eccepito carattere
programmatico dell’art. 3 per quanto riguarda l’impegno del legislatore attiene soltanto al momento
della predisposizione degli adeguati mezzi di protezione, ma non investe l’attualità del riconoscimento
dell’interesse alla riservatezza. D’altro canto, anche ammesso che ad opera dei grandi mezzi di
divulgazione non si creino dei «limiti, di fatto, alla eguaglianza», trovandosi cittadini parimenti
esposti al pericolo di offese alla loro sfera privata, si vengono pur sempre a porre in essere dei «limiti,
di fatto, alla libertà» individuale, che comincia ad estrinsecarsi proprio nella esclusività della sfera
privata. L’incontestabile fatto che l’art. 3 faccia riferimento in via primaria a tutt’altri ostacoli
economico–sociali, non esclude, infine, che esso possa riferirsi in via secondaria anche agli ostacoli
del presente tipo, analogamente a quanto è constatabile per il diritto all’onore, ciononostante
concordemente ammesso come costituzionalmente riconosciuto»
21
PATRONO, Privacy, cit., pag. 576; VASSALLI, Libertà di stampa e tutela penale dell’onore, in
Arch. Pen., 1967, pag. 24 ss. ritiene che le disposizioni dell’art. 12 della Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo e dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avendo sicuro
contenuto interpretativo dei principi costituzionali, specifichino la formula «diritti inviolabili» di cui
all’art. 2 Cost. Tali norme sono, quindi, «la base per il riconoscimento, già de iure condito, di un
diritto all’intimità della vita privata e per la eventuale creazione di speciali norme penali volte ad
impedire arbitrarie ingerenze nella intimità stessa».
sfera privata va garantita sia in funzione esclusiva del singolo, sia in funzione di un
migliore inserimento sociale dell’individuo.
22
Esiste infine una parte della dottrina secondo la quale la costituzionalizzazione del
bene riservatezza è opera della Convenzione europea dei diritti umani, che grazie
all’art. 10 Cost. ha assunto valore costituzionale.
23
In base a questa impostazione la
Convenzione europea, e i diritti di cui si sostanzia (tra cui il diritto alla riservatezza),
assumono rilevanza costituzionale perché garantiscono la tutela internazionalistica
dell’individuo, inclusiva della condizione giuridica dello straniero (art. 10 comma 2
Cost.) accanto alla tutela della condizione giuridica del cittadino.
24
Peraltro, alcuni escludono la dimensione costituzionale della riservatezza. Più
precisamente questa autorevole dottrina nega la tutela della privacy attraverso il
riconoscimento costituzionale dei suoi aspetti specifici, osservando che il legislatore
costituzionale fa esclusivo riferimento solo ad aspetti particolari della vita privata, che,
fra l’altro, non permettono la costruzione di un vero e proprio diritto. Ogni
riferimento alla riservatezza, inoltre, è escluso.
25
Criticata è poi la tesi che rinviene un
diritto della personalità negli art. 2 e 3 della Costituzione. Troppo generico è ritenuto
il richiamo agli articoli citati per avallare l’esistenza della privacy quale diritto
22
PATRONO, op. cit., pag. 576: «la vita privata viene tutelata sia per riconoscere al singolo una sfera
privilegiata di solitudine di assenza di informazioni su se stesso da parte degli altri, sia per consentire
al singolo un più proficuo inserimento nella vita sociale».
23
Fra i tanti: VITARELLI, op. cit., pag. 305
24
CHIAVARIO, La convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle normative in materia
penale, 1969, pag. 51 ss
25
BRICOLA, Prospettive e limiti della tutela penale della riservatezza, in AA. VV., Il diritto alla
riservatezza e la sua tutela penale, 1970, pag. 81 ss.: «… posto che la normativa costituzionale
richiamata attiene o a materie diverse ovvero a diritti che costituiscono aspetti eventuali del diritto al
rispetto della vita privata, non può l’interprete, se non in forza di un procedimento analogico,
inammissibile nel caso di specie trattandosi di enucleare un limite ad altri diritti costituzionalmente
sanciti …, ricavare l’affermazione del generale diritto al rispetto della vita privata. A fortiori il
discorso vale per il diritto alla riservatezza, in senso stretto, che non trova nelle norme citate nessun
aggancio nemmeno parziale».
inviolabile dell’individuo, da tutelare anche in vista di un migliore inserimento sociale
del singolo.
26
Infine, è esclusa la rilevanza costituzionale della Convenzione europea e
della Dichiarazione universale (in caso contrario bisognerebbe dichiarare
incostituzionali le norme in contrasto con i diritti che danno corpo alla convenzione
ed alla dichiarazione, e poi bisognerebbe apportare alcune modifiche a tali diritti);
anche a voler riconoscerne la natura costituzionale, la riservatezza non sarebbe
prevista nell’alveo della tutela internazionalistica. Nell’art. 8 della Convenzione e
nell’art. 12 della Dichiarazione si parla di “ingerenze”, di “interferenze arbitrarie” che
nulla hanno a che vedere con la riservatezza, la quale prescinde da qualsiasi ingerenza
e presuppone l’acquisizione legittima di notizie relative alla vita privata.
27
26
BRICOLA, op cit., pag. 85: «non è provata la correlazione tra violazione della sfera privata e
impedimento al pieno sviluppo della persona umana soprattutto se si assume quest’ultimo concetto
nella proiezione sociale che connota l’art. 3 comma 2 Cost. Si potrebbe, al limite, anzi rivelare che
una migliore conoscenza della vita privata può giovare ad un migliore inserimento sociale
dell’individuo».
27
BRICOLA, op. cit,,pag. 90, ritiene che i termini “ingerenze” ed “interferenze arbitrarie” si riferiscono
solo alle intromissioni esterne nella vita privata, per indagare in essa; il diritto comunitario, dunque,
richiede un’attività d’indagine, da parte di terzi, nell’altrui vita privata. Tale presupposto esclude ogni
riferimento al diritto alla riservatezza la cui lesione consiste nella divulgazione di notizie legittimamente
acquisite, con o senza attività d’ indagine.
I fautori di questa tesi ritengono che ad esser costituzionalizzato sia solo il diritto alla
vita privata; per la riservatezza non è possibile avanzare pretese di costituzionalità
poiché tale interesse non trova riconoscimento né nella Costituzione né in altre fonti.
28
28
BRICOLA, op cit., pag. 76 ss: l’autore distingue il diritto alla riservatezza dal diritto al rispetto
della vita privata, ritenendo il primo successivo al secondo. Il diritto alla riservatezza, inteso come
«interesse della persona a mantenere nell’ambito della propria sfera privata quegli atti o quelle
vicende che la persona stessa desideri restino tali, impedendo l’attività di terzi che vogliono divulgarle
rendendole di pubblico dominio…, difende la sfera privata dalla divulgazione di notizie
legittimamente acquisite dal soggetto»; mentre il diritto al rispetto della vita privata, quale «interesse
ad impedire l’altrui attività rivolta a venire a conoscere, scoprire, le vicende dell’altrui vita privata …,
difende il soggetto da interferenze esterne in questa sfera»; contra MANTOVANI Diritto alla
riservatezza e libertà di manifestazione del pensiero con riguardo alla pubblicità di fatti criminosi, in
Il diritto alla riservatezza e la sua tutela penale, cit., pag. 405 ss: l’autore sostiene che il diritto alla
riservatezza vada inteso quale interesse alla conoscenza esclusiva della sfera privata e che «col
circoscrivere il diritto alla riservatezza alla sola pretesa alla non divulgazione, alla non pubblicazione
delle cose private, tra l’altro apprese legittimamente … si spezza l’unità di interesse alla esclusività
della conoscenza, che caratterizza il diritto alla riservatezza, in funzione di due semplici modalità di
offesa del medesimo»; PATRONO, op cit., pag. 567, ritiene che ad essere tutelato in via principale
dal legislatore sia il bene giuridico vita privata e che la riservatezza «tutt’ al più, può considerarsi,
come particolare forma di vincolo alla conoscenza, una modalità di tutela del bene vita privata».