VI
<<pensiero debole>>, abbandona le visioni stereotipate e strutturate dalla
mediazione di classe, dell’agire razionale e della strenue fiducia nel
Progresso, proiettando l’individuo in una “società dell’incertezza”. Al fine
di contestualizzare il lavoro svolto, si è in primo luogo analizzato il
fenomeno della globalizzazione, recuperando il pensiero dei principali
autori che hanno affrontato questa tematica, quali Beck, Giddens,
Robertson, fino a spaziare tra le teorie più radicali di Ritzer e Ariés. In tale
contesto si è tentato di analizzare le ripercussioni che il passaggio da una
società dominata dalla produzione a una società incentrata sui consumi, ha
avuto sull’identità individuale, prendendo in considerazione il pensiero di
autori come Simmel, Marcuse, Riesman, Lasch, Lipovetsky, Maffesoli e
Bauman.
3
Ciò che è emerso attraverso lo studio di questi autori è un
individuo puzzle, formato di tanti pezzi che accosta per tentativi successivi,
con un’identità aperta e mutevole, in grado di cambiare aspetto più volte.
Sulla base delle assunzioni sinteticamente citate, volte a contestualizzare
l’oggetto dell’analisi, si è cercato di approfondire ulteriormente il tema del
consumo e la sua evoluzione, incentrando il discorso sulle nuove tendenze
dei consumatori, ormai non più orientati da un facilmente classificabile
“gusto medio”, ma proiettati verso esigenze sempre più variegate.
Si ipotizza che non sia il bisogno a guidare le scelte di consumo, ma il
desiderio che, in epoca globale, si connota sempre più come capriccio.
4
Al fine di capire quali siano gli effetti di una siffatta nuova concezione del
consumo e del consumatore, si sono analizzati i luoghi di consumo, a
partire dai passages, fino ad arrivare a descrivere i centri commerciali, i
luoghi turistici ed, infine, i parchi a tema. L’analisi si è quindi spostata
seguendo le trame di diverse linee di pensiero, dando, però, maggiore
rilevanza ad autori come Codeluppi, Bauman e Augè che, più di tutti, hanno
cercato di delineare le caratteristiche e le conseguenze della
3
Cfr. P. Parmiggiani, Consumatori alla ricerca di sé, Franco Angeli Milano, 2001; ID, Consumo e
identità nella società contemporanea, Franco Angeli, Milano, 1997
4
Cfr. Z. Bauman, vedi nota 2
VII
spettacolarizzazione della società, dei luoghi e delle merci. A tale proposito
l’aspetto su cui è sembrato più interessante soffermarsi, è un tendenziale
spostamento verso l’individualizzazione e la personalizzazione dei luoghi di
consumo, con l’intento di vendere oltre che un prodotto, un’esperienza.
L’idea è che i luoghi si trasformino in <<luoghi d’experience>>, cioè volti
a creare e a far provare delle esperienze indimenticabili, in grado di
interagire con gli utenti attraverso il ricordo innestato.
Lo scopo precipuo di questo lavoro è stato quello di cercare di confermare
queste ipotesi, perciò è sembrato necessario restringere il campo d’analisi
ad uno dei fenomeni che ha maggiormente sentito queste radicali
trasformazioni: il turismo. Dopo aver analizzato il fenomeno turistico
attraverso un rapido excursus storico, si sono approfondite nello specifico le
differenze tra il turismo di massa e il turismo globale, riprendendo le
tematiche precedentemente esposte nel capitolo inerente ai luoghi ai
consumo. L’aspetto su cui si è puntualizzata l’analisi è la domanda turistica
e come sia divenuta sempre più eterogenea, come effetto della frammentata
identità dell’individuo “puzzle”. Il turista, parafrasando Bauman, non è
altro che un “cercatore di sensazioni”, che richiede un servizio adeguato
alle sue molteplici esigenze. In base a questi presupposti si è provato a
descrivere l’offerta turistica, evidenziando la dovuta necessità di una sua
sempre più accurata diversificazione.
Per cercare di avere un riscontro a quanto detto, si è proceduto nell’analisi
di uno dei maggiori tour operator italiani, iGrandiViaggi, con lo scopo di
confermare le ipotesi tracciate nei precedenti capitoli teorici. Attraverso la
tecnica dello studio di caso, si è provato a costruire un “profilo”
dell’azienda in questione, partendo dall’analisi della sua storia e della sua
organizzazione interna. Per carpire in maniera più puntuale la realtà di
questa complessa società, si è studiato il materiale direttamente fornito,
integrato da interviste rivolte a testimoni significativi, in grado di spiegare oltre che l’evoluzione
del turismo, le trasformazioni intercorrenti nella domanda e nell’offerta turistica stessa,
ancorandosi alla realtà di stretto riferimento. Aiutata dalla testimonianza di soggetti coinvolti
direttamente nella gestione, progettazione e organizzazione di villaggi turistici, ho posto l’accento
su questa tipologia di vacanza, arrivando a conclusioni interessanti in linea con la riflessione
VIII
sociologica sul tema dell’experience e della spettacolarizzazione del sociale che nega la tendenza
all’omogeneità conseguente ai processi di globalizzazione. Pur non avendo pretese di esaustività,
nè di verifica empirica, la ricerca qualitativa ha evidenziato l'emergere del prodotto turistico su
misura che, intrecciando la logica più intrinsecamente commerciale con il fattore umano, prescinde
dall’omogeneità di un’improbabile mcdonaldizzazione del mondo.
1
Parte Prima
CAP 1.
LA SOCIETA’ GLOBALE
Premessa
Per riuscire a descrivere il fenomeno della globalizzazione, è necessario
contestualizzare il periodo della sua evoluzione, cercando di definire alla
fine di un lungo percorso l’epoca contemporanea che, al di là dell’
“orizzonte di senso” da cui si decide di partire, si caratterizza per nuove e
controverse peculiarità. Per descrivere la contemporaneità non si può, però,
prescindere dal fare un passo indietro e analizzare il concetto di Modernità.
Con il termine Modernità non si allude generalmente a ciò che è
<<hodiernus>>, usando un’accezione puramente cronologica, ma
generalmente si intende l’epoca di rottura con il <<tradizionale>> e tutto
ciò che ne consegue. E’ difficile delineare in poche righe che cosa abbia
rappresentato la Modernità, ma, per intenderci, si può iniziare dicendo che è
stata l’epoca susseguente il Medioevo, al cui centro si ravvisa
l’antropocentrismo del Rinascimento, la Riforma Protestante, il
soggettivismo, le rivoluzioni scientifiche di Galilei e Cartesio, quelle
politiche del Seicento e del Settecento, quella industriale, senza dimenticare
l’ardore verso il mito del Progresso e la fede positivistica nella Scienza e,
ultime non per importanza, le <<grandi narrazioni>> di Hegel, Marx e
Comte. In questo contesto le rappresentazioni <<moderne>> della società si
potevano raggruppare secondo tre paradigmi:
1
1
Cfr. P.Donati, Lezioni di Sociologia, Cedam, Padova, 1998
2
• organicistico che si rifà a Emile Durkheim
• individualista che si rifà a Max Weber
• critico che rinvia alla Scuola di Francoforte
Il paradigma organicistico, ha come caratteristica peculiare di considerare
il <<tutto>> rispetto alle <<parti>> e proprio per questa ragione, possono
essere considerati fautori di questo particolare punto di vista, Durkheim
2
,
Marx e Comte. Tutti e tre, infatti, chi con un’ottica funzionalista, chi
partendo da una concezione materialistica della storia e chi attraverso la
legge dei tre stadi, consideravano possibile una conoscenza scientifica
partendo da un presupposto olistico.
Il paradigma individualista, che richiama immediatamente alla mente Max
Weber
3
, è, invece, caratterizzato da un costante riferimento all’individuo,
considerato colui che attribuisce il senso all’azione. Conseguentemente il
compito dello scienziato sociale è comprendere questo agire dotato di
senso, cercando una spiegazione causale solo in secondo momento.
Come si raggiunge l’oggettività? Weber risolve questo quesito sostenendo
l’ avalutatività, che permette allo scienziato sociale di procedere verso una
conoscenza scientifica all’interno del particolare punto di vista prescelto,
prescindendo da emettere qualsiasi giudizio di valore rispetto ai fenomeni
studiati.
Il terzo ed ultimo paradigma è quello critico, che rinvia direttamente alla
Scuola di Francoforte, di cui fanno parte studiosi come Horkheimer,
Adorno
4
, Fromm, Marcuse e Habermas. Il fulcro del pensiero critico si rifà
alla necessità di mettere in rilievo le contraddizioni della società
capitalistica cercando le soluzioni per un suo superamento. Lo scienziato
sociale ha, quindi, come compito quello di combattere l’ideologia della
2
Cfr. E.Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Milano, Comunità, 1969
3
Cfr. M.Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi, 1958
4
Cfr. M.Horkheimer e T.W.Adorno, Dialettica dell’illuminismo,Torino, Einaudi, 1966
3
classe dominante, in grado di emanare quella <<falsa>> coscienza che
maschera ogni contraddizione.
Questi tre paradigmi, osservati alla luce dell’epoca odierna, paiono oramai
superati, la domanda che attualmente ci si pone è: << dove siamo
arrivati?>>.
1.1 Moderno vs Postmoderno
Il dibattito degli intellettuali contemporanei verte prima di tutto nel dare una
definizione a questa nuova epoca, dai più denominata <<postmoderna>>.
Il postmoderno si può intendere in tre diverse accezioni:
5
• Come fase storica che viene dopo il moderno
• Come concetto ideal-tipico
• Come particolare forma della modernità
Partendo da queste diverse definizioni, gli autori si sono “schierati” in due
diverse correnti di pensiero, una che considera la postmodernità come una
vera e propria dissoluzione del moderno, l’altra, di carattere positivo, che la
considera come un’epoca <<nuova>>.
6
Nel gruppo dei “dissolutori” vi sono coloro che considerano la fine delle
<< grandi narrazioni>>, primo fra tutti Lyotard che spaesato, senza più
punti di riferimento dopo il superamento del comunismo e del marxismo, ci
dice: << il progetto moderno non è stato abbandonato e dimenticato, ma
distrutto, liquidato>>
7
. In quest’ottica il postmoderno si presenta come la
dimora del << pensiero debole>>, dove non si ha più la forza di credere a
nessuna verità, rimanendo consapevoli della fragilità di ogni pensiero.
Per usare le parole di Vattimo, la soggettività è “ dimagrita” , “sfondata”
“spaesata ” e << in Nietzsche, come si sa, Dio muore proprio in quanto il
5
Cfr. P.Donati, Teoria relazionale della società, Franco Angeli, Milano, 1998
6
Cfr. P.Donati, Lezioni di Sociologia, Cedam, 1998
7
Cfr. F. Lyotard, Il postmodernismo spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano, 1987, p. 28
4
sapere non ha più bisogno di arrivare alle cause ultime, l’uomo non ha più
bisogno di credersi un’ anima immortale>>
8
. In poche parole si tratta del
weberiano <<disincantamento del mondo>> che preannunciava la
progressiva perdita di riferimenti forti, in grado di garantire agli individui
una chiara identità, adesso ormai di difficile reperimento.
Maffesoli è illuminante nel sottolineare questo smarrimento, e ci rende
partecipi del ritorno del confusionario Dionisio che permette di
abbandonare la fredda razionalità, in favore di un’ <<orgia simpatetica>>
nell’ambito di un’istantanea fruizione del presente.
9
Tra coloro che abbracciano una visione negativa della postmodernità, non si
può non citare Lhumann
10
che, con il suo paradigma sistemico, ha fatto
tremare tutti gli audaci sostenitori dell’<<umano>>. Per Lhumann
l’individuo è “ambiente” per il sistema sociale, il quale consta di
sottosistemi differenziati funzionalmente in grado di <<autopoiesi>>, cioè
di auto-riproduzione. Questa differenziazione funzionale implica
intrinsecamente la necessità di un processo di selezione fra infiniti possibili
e ciò significa essere immersi in un mondo sempre più contingente. In un
tale contesto la differenziazione funzionale, come lo sviluppo dei media
della comunicazione , ha raggiunto un livello di sviluppo enorme, da cui è
ormai impossibile tornare indietro. L’epoca postmoderna è un processo
irreversibile, notevolmente problematico in quanto l’identità degli individui
non si costruisce più riferendosi al passato ma avviene per <<de-
identificazione>> . In una società sempre più attinente alla sfera del
rischio
11
il futuro è incerto, tutto dipende dalle nostre decisioni ed è perciò
sempre più difficile pensare a qualcosa di stabile e duraturo.
In contrapposizione alla visione anti-umana di Lhumann, Donati adotta una
prospettiva relazionale in cui umano e sociale si ritrovano distinti ma al
8
Cfr. G. Vattimo, La fine della modernità, Garzanti, Milano, 1985, p. 32
9
Cfr. M. Maffesoli, L’ombra di Dioniso, Garzanti, Milano, 1990 citato in G.Morra , Il quarto
uomo Postmodernità o crisi della Modernità? Armando, Roma, 1992
10
Cfr. N. Lhumann, Osservazioni sul moderno, Armando, Roma, 1995
11
Cfr. P.Donati, Teoria relazionale della società, op. cit
5
tempo stesso <<interpenetrati>>: il soggetto umano può essere considerato
ambiente rispetto al sistema sociale ma anche interno ad esso.
12
Dalla parte di coloro che ravvisano uno spiraglio di luce nell’epoca
<<nuova>> , troviamo Habermas che parla in termini di una totale
emancipazione che si terrà proprio in questa fantomatica epoca
postmoderna. Nel famoso discorso “ La Modernità. Un progetto
incompiuto”, Habermas sottolinea come il primo progetto di emancipazione
della modernità sia stato l’Illuminismo, che, parafrasando Kant, significa
pensare con la propria ragione. Proprio questa ragione illuministica
sconfinò fino ad essere percepita unicamente come ragione strumentale,
fonte di quelle contraddizioni che i Francofortesi tanto biasimavano, come
l’industria culturale. Habermas, sostiene la necessità di uscire da questo
paradosso generato dalla ragione illuministica e afferma la possibilità di una
totale emancipazione proprio nell’epoca postmoderna. Con questo non
significa che si trovi completamente in sintonia con le tesi di Horkheimer e
Adorno sulla Dialettica dell’Illuminismo. Afferma, infatti, che non tutto
l’Illuminismo è da rigettare: << Come hanno potuto quei due, che sono pur
sempre Illuministi, sottovalutare il contenuto razionale della modernità
culturale, fino al punto da percepire in tutto solamente una lega di ragione e
dominio, potere e validità? >>
13
Quello che Habermas auspica, nella sua
utopia comunicativa, è, quindi, non di eliminare completamente la ragione
strumentale, ma di affiancare ad essa una ragione comunicativa, in grado di
creare una comunicazione dialogica intersoggettiva.
A proposito della ragione strumentale, E. Di Nallo
14
analizza come essa sia
il fulcro dell’epoca moderna ormai avulsa dai diversi piani di ragione che
dominavano il Medioevo.
12
Ibidem
13
Cfr. j. Habermas, Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Bari, 1997
14
Cfr. E. Di Nallo, Razionalità, simulazione, consumo, articolo contenuto in Sociologia della
Comunicazione, n°6, Angeli, Milano,1984
6
Durante il Medioevo, infatti, erano presenti molteplici piani di ragione,
alcuni approvati, altri condannati, ma l’aspetto importante è che nessuno di
essi veniva negato o nascosto. In quest’ottica avevano ragione d’esistere sia
l’”essere” che il “non essere” , il dritto e il rovescio: ciò significava abolire
la categoria dell’ <<inesistenza>>.Con lo sviluppo delle attività mercantili e
produttive e lo sviluppo crescente di quello spirito del capitalismo di cui
parla M. Weber
15
, si ebbe un capovolgimento di fronte che implicò il
pressochè totale privilegiamento di un unico piano di ragione. La ragione
strumentale diviene la ragione socialmente dominante in grado di
“oscurare” le altre ragioni. In questo modo, quindi, la ragione strumentale
appare come ragione simulatoria, nel senso che si trova a nascondere ciò
che da lei differisce, eliminandone qualsiasi legittimità. E’ una sorta di
ideologia dominante, per usare un linguaggio marxiano, sotto le spoglie
della razionalità. Facendo propria l’interpretazione di E. Di Nallo, si può
evincere che lo scopo precipuo di questa simulazione è ridurre la
complessità che attanaglia la società capitalista. Dominati come siamo da
una logica antropocentrica e da un esasperato sviluppo tecnologico non
possiamo fare altro che ordinare ciò che in principio era disordine,
omologando il mondo ad un’unica ragione legittima. La società moderna
doveva essere in grado di gestire e inquadrare il caos, non poteva, perciò,
lasciare le cose a sé stesse ma doveva raggiungere il telos prefissato. Si
aveva una <<sete insaziabile di legiferare, di definire norme, di introdurre
standard; di bellezza, bontà, verità, decoro, utilità e felicità>>
16
.
Già Durkheim tacciava come anomico ciò che sviava dalla solidarietà
organica
17
, identificata come ragione della società, come del resto Parsons
identificava il ruolo come contenitore di un insieme di modelli di
comportamento in grado di garantire il mantenimento del sistema sociale.
15
Cfr. M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1965
16
Cfr. Z. Bauman, K. Tester, Società,etica, politica.Conversazioni con Z. Bauman, Raffaello
Cortina Editore, Milano, 2002
17
Cfr. E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1962, ed.or.
1893
7
Chi trasgrediva le aspettative di ruolo era da considerare deviante rispetto al
sistema culturale dominante
18
. Lo stesso Marx riduce la complessità sociale
sintetizzando un mondo composto da due unici interlocutori: borghesia e
proletariato.
Alla luce di quanto detto sinora, quello che emerge con particolare
rilevanza è la tendenza a cristallizzarsi, qualsiasi epoca si prenda in
considerazione, di un agire sociale condizionato da valori dominanti che
garantiscono, in un dato momento, il vero senso della società. Considerando
l’epoca moderna, ciò che dava senso all’azione era la razionalità
strumentale in grado di esprimere la struttura dominante della società,
costituita da caratteristiche peculiari:
• La divisione del lavoro orientata all’efficienza produttiva
• Le azioni orientate allo scopo (principio di funzionalità)
• La diffusione del principio di non contraddizione
I modelli conoscitivi, come il marxismo o lo struttural funzionalismo, che si
basavano su questo concetto di razionalità strumentale si trovano
attualmente ad essere dismessi come abiti ormai fuori moda, considerando i
profondi cambiamenti con cui la società si trova a fare i conti. In primo
luogo le ambizioni di regolare e controllare tutto vengono meno
riabilitando, così, quel disordine tanto osteggiato. In secondo luogo quel
progetto di “società perfetta” che pervadeva lo spirito moderno viene per lo
più accantonato lasciandoci, per usare le parole di Z. Bauman, alla
“modernità meno le sue illusioni”.
19
In terzo luogo il principio di non
contraddizione, che rappresentava uno degli aspetti portanti della società
moderna, è ormai in via di estinzione visto e considerato lo svilupparsi
sempre più massiccio di comportamenti che non si escludono
reciprocamente. Un altro elemento di difformità riguarda la priorità
18
Cfr. T. Parsons, Il sistema sociale, Comunità, Milano, 1965
19
Z. Bauman, K,. Tester, op. cit.
8
produttiva ormai non più da considerarsi il cardine della società in seguito
all’avvento di un nuovo “credo” consumistico. La soddisfazione di
qualunque tipo di bisogno è ormai sempre mediata dal mercato, perciò la
risposta a qualsiasi esigenza risiede proprio nel consumo. Se prima ci si
riferiva al valore d’uso di una merce collegandosi direttamente alla sua
<<utilitas>>, successivamente si è passati, nelle società borghesi, a
considerare il valore di scambio espressione della valutazione astratta del
bene in relazione ad una generica unità di misura, fino ad arrivare ai giorni
nostri a valutare i beni in base al loro valore di consumo. Con valore di
consumo si intende considerare il bene in base alle sue valenze simboliche
oltrepassando il cosiddetto consumo ostentativo di tipo capitalistico.
L’oggetto di consumo non ha più la funzione di status symbol ma <<…è
diventato modo di esprimere l’affetto, la nostalgia, la cultura, l’amore in
maniera, tra l’altro, sempre meno rapportabile al valore di mercato
dell’oggetto>>
20
in questione.
Qual è l’effetto di tutto questo? La ragione strumentale ha forse fatto il suo
tempo e sta cedendo il passo ad altri piani di ragione? E. Di Nallo ci lascia
in sospeso, ma in effetti chi può smascherare il nuovo “patto sociale”?
Dopo un breve excursus sui principali paradigmi della modernità, del loro
superamento e delle conseguenti definizioni dell’epoca postmoderna, è utile
delineare le caratteristiche di fondo della <<nuova >> società.
Prima di tutto la società odierna è fortemente complessa, in quanto sempre
più contingente e articolata in dimensioni differenziate da cui conseguono i
relativi problemi di relazionamento reciproco.
In secondo luogo non esiste più un’unica società, in quanto si può
differenziare la società politica da quella economica, la società locale da
quella globale etc… In questo contesto quando si parla di società
postmoderna si allude ad una serie di peculiarità che la differenziano dalle
società passate , con particolare riferimento a quella moderna. Le principali
caratteristiche delle due epoche, vengono riassunte nella tabella 1.1
20
E. Di Nallo, Razionalità, simulazione, consumo, op. cit, p.35
9
TABELLA 1.1
SOCIETA’ MODERNA SOCIETA’ POSTMODERNA
Priorità Stato - Nazione → primato
della politica, degli apparati di
controllo e di socializzazione
Priorità Società → primato
dell’economia, della società di
welfare e del sistema delle
comunicazioni
Priorità cittadinanza statalistica →
asse individuo - Stato → riduzione
Gemeinschaft
Valorizzazione Gemeinschaft →
ricerca di formazioni sociali
intermedie tra individuo e istituzioni
politiche ( Terzo settore)
Priorità industria fordista Priorità dei servizi e dei sistemi di
scambio
Società del profitto
Società della cultura
Segmentazione funzionale degli
ambiti
Interpenetrazione degli ambiti
Identità unica, stabile
21
Identità plurale, mutevole
22
Il primo punto elencato in tabella riguardante la priorità dello Stato-Nazione
nella società moderna, è stato preso in considerazione dal grande studioso
della globalizzazione, U. Beck.
Lo stesso sostiene che nell’epoca moderna le società erano subordinate allo
Stato-Nazione, in quanto solo quest’ultimo poteva vantare il dominio dello
spazio. In questo senso si usa l’espressione “società come container”
proprio per indicare la loro inclusione all’interno dello spazio statale. In
21
Cfr. P.Parmiggiani, Consumo e identità nella società contemporanea, Franco Angeli, Milano,
1997, pp. 64-66
22
Ibidem
10
questo contesto le società non hanno nessun potere decisionale, è lo Stato
che impone la “sua” lingua, la “sua” storia, la “sua” economia e così via.
In seguito a questa concezione Nazional-Statale, la sociologia del XIX e
dell’inizio del XX secolo, quella di Durkheim, Weber e Marx per
intenderci, è stata fortemente influenzata in questo senso. Questi autori,
infatti, hanno avuto tutti, pur con le differenze del caso, una concezione
territoriale della società moderna. Questo tipo di definizione è stata messa
in crisi dal fenomeno della globalizzazione.
La sociologia della globalizzazione scardina la sociologia dell’ordine
Nazional-Statale e cerca di dare nuove interpretazioni del mondo, alla luce
dei cambiamenti ampissimi intercorsi negli ultimi decenni [vedi par.seg.].
La domanda che ci si pone è se, dato il contesto, ci toviamo di fronte ad una
nuova epoca e alla fine della modernità.
Beck sostiene che <<la globalizzazione economica non fa che portare a
compimento quanto viene annunciato intellettualmente con il postmoderno
e politicamente con l’individualizzazione: il crollo del moderno>>
23
. Detto
questo lo stesso sottolinea la più grande differenza fra “prima “ e “seconda”
modernità nell’ <<irreversibilità della globalità>>, ravvisando almeno otto
ragioni che portano a questa situazione di “non ritorno”.
24
• L’estensione geografica, il commercio internazionale, la connessione
globale dei mercati finanziari, la crescita di potenza dei gruppi
industriali transnazionali
• Lo sviluppo incessante delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione
• L’imposizione universale dei diritti umani
• Lo sviluppo di un’industria culturale globale
23
Cfr. U.Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, 1999, p.21
24
Ibidem
11
• La crescita di attori transnazionali che amministrano, accanto ai
governi, la politica mondiale (ONU, gruppi industriali,
organizzazioni non-governative)
• La nuova dimensione globale della povertà
• Il problema delle distruzioni ambientali globali
• La questione dei conflitti transculturali locali
Alla luce di questi otto punti, niente di ciò che accade può essere risolto
prescindendo da un’ottica globale; le scoperte, come le catastrofi
riguardano il mondo intero. Conseguentemente la seconda modernità deve
necessariamente adottare una politica fondata su nuovi presupposti in
grado, quindi, di affrontare una situazione non più gestita in prima persona
dagli Stati Nazionali. Questa perdita di importanza del paradigma nazional-
statale è la diretta conseguenza di una profonda crisi del concetto di
sovranità dello Stato. La presenza di organismi sovranazionali, come ad
esempio l’Unione Europea, ha assoggettato gli stati nazionali a vincoli
sempre più stringenti. Gli organismi internazionali come ad esempio il
Fondo Monetario o la Banca Mondiale assoggettano i singoli stati nazionali
ai loro indirizzi e compatibilità economiche e monetarie. Espressione di
questa tendenza è la creazione di una moneta unica europea, l’Euro, in
grado di eliminare la corrispondenza tra moneta e sovranità. I governi
nazionali, così, continuano a proclamarsi pienamente sovrani nel
determinare le proprie scelte politiche ma, in realtà, arrivano ad essere
dipendenti prevalentemente dall’economia, e ,in misura sempre minore, dai
principi costituzionali.
La sovranità, come potere di emanare la legge e di annullarla senza bisogno
di ulteriori consensi, teorizzata da Bodin ne “ La Republique”, è, quindi,
ormai considerata qualcosa di anacronistico.
Lo stesso teorico dello stato come espressione estrema dell’ordine, in
contrapposizione ad un fantomatico stato di natura che obbliga alla