2
analizzate pur brevemente le principali norme di tale statuto
concernenti la guerra. Il Capitolo si chiudera' con una valutazione
circa il valore dell' art. 11 Cost. come disposizione di principio e con
una disamina di alcuni episodi occorsi negli ultimi anni e che hanno
visto l' Italia coinvolta in operazioni militari, si' che taluno ha
sostenuto che queste abbiano violato il principio pacifista.
Nel Capitolo 2 ci si occupera' invece della deliberazione dello "stato
di guerra" da parte delle Camere e del conferimento dei "poteri
necessari" al Governo, ex art. 78 Cost.. Dopo avere riferito dei lavori
preparatori del disposto, si passera' ad esaminare le questioni
inerenti alla forma di tale delibera (per stabilire se sia necessaria la
veste di legge formale o sia sufficiente un atto bicamerale non
legislativo), ai suoi effetti nell' ordinamento (anche in rapporto alla
successiva dichiarazione del Presidente della Repubblica) ed al
significato dei "poteri necessari" attribuiti al Governo, per
comprendere se questi siano da intendersi come "pieni poteri" o se
trovino invece delimitazioni precise riconducibili allo schema della
delegazione legislativa ex art. 76 Cost.. Verranno infine studiate l'
utilizzabilita' di alcuni strumenti particolari ai fini della deliberazione e
la applicabilita' dell' art. 78 Cost. ai casi di guerra interna, anche con
riferimento a quanto era sancito nel precedente ordinamento circa
tali emergenze.
Il Capitolo 3, infine, sara' dedicato ai poteri che la Costituzione
repubblicana assegna al Presidente della Repubblica a proposito di
guerra. Tali poteri consistono, ai sensi dell' art. 87, IX c., Cost. nel
comando delle Forze Armate, nella presidenza del Consiglio
3
supremo di difesa e nella dichiarazione dello stato di guerra
previamente deliberato dalle Camere. Anche a questo riguardo
verranno illustrate le principali questioni interpretative, con particolare
attenzione per la dichiarazione che completa il meccanismo
costituzionale di deliberazione della guerra.
E' doveroso precisare che il fondamentale limite metodologico di
questo lavoro consiste nella prospettiva quasi esclusivamente
costituzionalistica adottata nell' affrontare il tema della guerra. Le
norme del diritto internazionale saranno infatti considerate solo nelle
loro linee piu' essenziali ed unicamente al fine di integrare il disposto
costituzionale dello art. 11, contenente il principio pacifista, giusta il
primo comma dell' art. 10 Cost..
4
Capitolo 1: il ripudio della
guerra ex art. 11 della
Costituzione Italiana
§ 1.1 L'art. 11 della Costituzione ed i lavori preparatori
L'art. 11 della Costituzione recita quanto segue:
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la
pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."
La prima parte dell'articolo in esame introduce nel nostro
ordinamento il cosiddetto principio pacifista. Per poterne
comprendere compiutamente il significato, e' opportuno innanzitutto
prendere in esame i lavori preparatori del disposto stesso. Come e'
ben noto, e come d'altronde e' generalmente riconosciuto dai
costituzionalisti
1
, la nostra Carta e' il prodotto della contrapposizione
tra ideologie e concezioni differenti e spesso contrastanti sicche', in
1
Si veda, per esempio, P. Calamandrei, Introduzione storica sulla Costituente, in:
Commentario sistematico alla Costituzione Italiana, Firenze, 1950, pag. CXXIX.
5
numerose disposizioni, e' possibile riconoscere il risultato di una
sorta di transazione tra le fazioni politiche volta a non scontentare
eccessivamente alcuna di esse. Ebbene, per quanto concerne il
principio pacifista e' al contrario stato rilevato
2
come tale disposizione
sia il frutto della adesione concorde e sincera di praticamente tutti i
settori della Assemblea Costituente. Era infatti intento comune quello
di sancire il rigetto della guerra: il principale motivo di cio' consisteva
naturalmente nel fatto che l'Italia era appena uscita dalla rovinosa
esperienza del fascismo e del conflitto che tale regime aveva attuato.
Si desideravano affermare i princìpi generali di liberta' di tutti i popoli,
condannando di conseguenza le guerre che potessero violare tale
liberta' e che erano invece coessenziali allo stato fascista.
La scelta fondamentale che la Costituente opero' fu pero' quella di
optare per una pacifismo "moderato" e non "integrale". Non si scelse,
in altri termini, di affermare la condanna della guerra tout court , in
quanto tale e per i suoi effetti devastanti, bensi' di essa se impiegata
"come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo
di risoluzione delle controversie internazionali", cioe' come strumento
di politica estera. In tale senso, risultano estremamente chiare le
parole pronunciate dal deputato Assennato nell'ambito della
Assemblea Costituente:
" La rinunzia alla guerra ... non va intesa in senso pacifista assoluto, cioe' nel senso di
rinunzia al diritto ed al dovere di difesa del territorio, dell'indipendenza, della liberta', della
2
Tra gli altri, da M. Bon Valsassina in: Il ripudio della guerra nella Costituzione
Italiana, Padova, 1955, pag.1.
6
Costituzione, ma come ripudio delle guerre di aggressione, di predominio, di compressione
delle liberta' altrui."
3
Era cioe' considerato ovvio dalla maggioranza dei componenti della
Costituente che una rinuncia totale alla guerra sarebbe stata
puramente formale e, in concreto, irrealizzabile a fronte del
persistere di tale realta' nel contesto internazionale.
Non manco', invero, chi sostenne la tesi del pacifismo integrale,
come ad esempio l'Onorevole Calosso il quale affermo':
" Se legassimo questo nostro popolo alla bandiera del pacifismo assoluto, della neutralita'
perfetta, e se ancorassimo il bilancio militare alle spese scolastiche, senza dubbio saremmo
una guida per l'Europa."
4
Tuttavia, la Costituente convenne a larga maggioranza verso il
pacifismo moderato, dunque verso una rilevante restrizione dell'uso
della guerra che lasciasse pero' la possibilita' di difendersi
legittimamente contro un attacco portato dall'esterno.
Allorche' si discusse del testo dell'articolo, si decise innanzitutto di
non usare l'espressione "guerre di conquista". Era si' vero che si
desiderava abbandonare la concezione della guerra come strumento
di politica espansionistica, tipica del fascismo, tuttavia le condizioni
disastrose in cui versava l'Italia (paese militarmente vinto ed
occupato) rendevano inutile ed addirittura grottesca l'idea di
impiegare simile terminologia: appariva del tutto superfluo rinunciare
3
Citato in: V. Carullo, La Costituzione della Repubblica Italiana illustrata con i
lavori preparatori, Bologna, 1950, pag. 47, nota 2.
4
Citato in F. Pinto, Forze Armate e Costituzione, Venezia, 1979, pag. 24.
7
a qualcosa che mai si sarebbe potuto anche solo pensare, almeno a
quel tempo, di mettere in pratica. Fu proposto allora di fare
riferimento alla formula contenuta nell' art. 1 del Patto Briand-
Kellogg
5
ma l'espressione della guerra quale "strumento di politica
nazionale", in tale articolo usata, fu considerata poco chiara e non
sufficientemente determinata. Alla fine, si affermo' come detto il
ripudio della guerra come "strumento di offesa alla liberta' degli altri
popoli" (locuzione che si adattava a comprendere molte possibili
ipotesi quali la lesione dell'indipendenza politica o dell'integrita'
territoriale di un altro Stato, l'imposizione di un regime o di una
struttura di governo non desiderate e cosi' via e che, tra l'altro,
comprendeva implicitamente anche le guerre di conquista delle quali
non si era voluta fare esplicita menzione) e come "mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali", nell'ottica delle
tendenze internazionalistiche della Costituzione (di cui si dira' piu'
avanti).
6
Il testo dell'articolo richiamava cosi' quello corrispondente
5
Questo patto fu concluso nel 1928 tra Francia e Stati Uniti ed esteso, dopo un
negoziato bilaterale, a Germania, Giappone, Gran Bretagna ed Italia. L'art. 1 di tale
trattato recita: "Le parti contraenti, in nome dei loro rispettivi popoli, dichiarano
solennemente di condannare il ricorso alla guerra per la soluzione delle
controversie internazionali, e rinunciano ad essa quale strumento di politica
nazionale nei loro rispettivi rapporti.".
6
Veniva dunque ad essere accantonata l'antica teoria del bellum iustum o "guerra
giusta", secondo cui la legittimazione della guerra era costituita dal suo essere
mezzo per un fine altamente desiderabile quale, tipicamente, il ripristino del diritto
violato. In pratica, secondo questa teoria la guerra era ammissibile come
procedura giudiziaria e come sanzione per punire un colpevole. N. Bobbio ha
sottolineato come la presunta analogia tra guerra e sanzione sia peraltro
estremamente superficiale, sia perche' il giudizio sulla natura della guerra viene
dato dalle parti in causa e percio' essa e' sempre vista come giusta da entrambe le
medesime, sia perche' la guerra, piu' spesso che fare vincere chi ha ragione come
e' nella logica del diritto, finisce col dare ragione a chi vince. (Cfr. N. Bobbio, Il
problema della guerra e le vie della pace, Bologna, 1984, pagg. 57 e segg.). La
8
inserito nella costituzione francese del 1947.
7
La discussione fu
peraltro incentrata non solo sulla concezione della guerra ma, prima
ancora, sul verbo che occorreva impiegare nel testo per sancirne il
rifiuto. Diverse furono le proposte avanzate nella Commissione dei
75. La prima fu quella di usare il verbo "condanna" ma esso fu
scartato poiche' si ritenne che avesse un valore prevalentemente
etico piuttosto che politico-giuridico. La seconda fu quella di utilizzare
"rinuncia"; tuttavia, fu affermato che esso sembrava presupporre la
rinuncia ad un bene, ad un diritto, in questo caso al diritto alla guerra
che si voleva invece, esattamente al contrario, negare. Percio', alla
fine, si opto' per il verbo "ripudia" che pareva riuscire a sintetizzare
tanto la condanna della guerra quanto la rinuncia ad essa;
naturalmente, non in assoluto bensi' -come detto- quando essa
fosse messa in atto per violare la liberta' degli altri popoli.
8
Un altro aspetto terminologico che occorre sottolineare si riferisce
all'uso del termine "popoli". Si e' discusso, infatti, se esso possa
essere considerato equivalente a "Stati" o se sia stato impiegato in
teoria in esame era peraltro gia' stata messa in crisi all'inizio del nostro secolo
dall'avvento del positivismo giuridico il quale, guardando al solo diritto positivo,
comportava di prescindere da qualunque valutazione di tipo etico per limitarsi
all'esame del solo diritto vigente.
7
Il testo e', sinteticamente, il seguente: "La République Française ...
n'entreprendra jamais aucune guerre dans des vues de conquête et n'emploiera
jamais ses forces contre la liberté d'aucun peuple.".
8
Un'analisi delle scelte terminologiche della Costituente e' contenuta in: A.
Cassese, Art.11 in Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1975; per gli
atti della Commissione Costituente sulla questione si puo' vedere V. Carullo, op.
cit., pag. 46, nota 1.
9
un'accezione in qualche modo differente. Un importante autore
9
ha
posto l'accento sul fatto che nell'art. 11 si parla di "Italia" per la
seconda ed ultima volta nella Costituzione (dopo l'art. 1, comma I)
per sottolineare appunto la prevalenza, in questo principio, del
popolo, cioe' di un concetto di Stato-comunita' piuttosto che di Stato-
governo; questo sarebbe confermato dal successivo riferimento agli
"altri popoli" nel senso che e' il popolo italiano che ripudia la guerra,
contro qualsiasi altro popolo sia mossa, a prescindere dal fatto che
esso sia organizzato in Stato o meno. Questa opinione afferma
dunque la sostanziale disomogeneita' tra i due termini posti a
raffronto e la concreta significativita' della scelta del costituente. Essa
non e' pero' condivisa da tutta la dottrina. E' stato infatti affermato da
altri
10
che il vocabolo "popoli" in realta' equivarrebbe affatto a "Stati"
per un motivo ben preciso e di tipo pratico: soltanto uno Stato, e non
un popolo straniero, puo' essere oggetto di una dichiarazione di
guerra quale e' quella prevista dal meccanismo costituzionale
formato dal combinato disposto degli artt. 11, 78 e 87, IX c..
§ 1.2 Le tendenze internazionalistiche del costituente e la seconda
parte dell'art. 11 Cost.
9
Cfr. G. Ferrari, in: voce "Stato di guerra (diritto costituzionale)", Enciclopedia del
Diritto, Milano, 1970, vol. XIX, pagg. 816-849.
10
Cfr. M. Bon Valsassina, op. cit., pag. 65.
10
La Costituzione della Repubblica Italiana ha segnato un netto
cambiamento, rispetto allo Statuto Albertino, delle concezioni
riguardanti lo Stato visto nel contesto della comunita' internazionale e
conseguentemente rispetto alla realta' della guerra. In reazione alla
rigida chiusura del nazionalismo fascista, infatti, la nostra Carta
fondamentale e' il prodotto della acquisita consapevolezza del fatto
che l'Italia e' pienamente calata nella realta' internazionale e che cio'
influenza in maniera decisiva anche la vita interna. E' stato osservato
al riguardo
11
come, in seno alla Costituente, vi fu una sostanziale
convergenza su alcuni punti fondamentali: la massima apertura dello
Stato rispetto alla comunita' internazionale, l' applicazione dei valori
di liberta' e di democrazia nei rapporti con gli altri Stati, il solidarismo
internazionale, l'istanza garantista e -come detto in precedenza- il
pacifismo. I motivi che spinsero i costituenti in queste direzioni furono
di vario genere: politici, innanzitutto, ma anche economici (l'Italia era
un paese che doveva riprendersi dalla rovina in cui versava e
necessitava a tale scopo della collaborazione degli altri Stati) ed etici.
Ciascuna fazione politica aveva poi delle ragioni particolari: in linea
molto generale, i democristiani erano mossi da motivazioni
ideologiche e filosofiche di ispirazione cristiana nonche' di tipo etico,
caratterizzanti la dottrina di Don Sturzo; i comunisti erano invece
spinti dal naturale carattere di internazionalismo della dottrina
11
Cfr. A. Cassese, Lo Stato e la comunita' internazionale, in: Commentario della
Costituzione, Bologna-Roma, 1975, pagg. 461-484.
11
marxista
12
mentre i repubblicani ed il Partito d'Azione erano animati
da ideali di tipo federalista. Questi complessivi orientamenti di tipo
internazionalistico ebbero i loro riflessi, ovviamente, anche in
riferimento alla guerra. Con l'avvento della repubblica democratica,
tramonto' infatti la concezione -tipica dello Stato assoluto, di quello
liberale e di quello fascista- della politica estera come oggetto di
massima discrezionalita' del sovrano, anche per quanto concerneva
l'uso della forza al fine di praticare una politica di potenza.
13
Posta questa premessa, e' possibile comprendere in maniera
corretta la portata dell'art. 11 Cost., il quale "si pone, in tutti i sensi,
come parametro supremo di ogni attivita' che incida sulla pace e
sulla guerra, come pure (con riferimento particolare alla seconda e
alla terza proposizione) su ogni e qualunque attivita' di politica
internazionale".
14
In pratica, con l'adozione dell'articolo in parola,
12
E' stato osservato come i deputati comunisti abbiano inizialmente proposto,
circa il concetto di guerra, un criterio basato sulla gia' criticata distinzione tra
guerre giuste ed ingiuste, le prime essendo non solo quelle di difesa ma anche
quelle di liberazione nazionale, volte cioe' a liberare i popoli da regimi oppressivi
(in particolare, dal giogo coloniale). Questa posizione fu pero' abbandonata di
fronte al prevalere dell'istanza maggioritaria, poi tradotta nel testo costituzionale
(cfr. A. Cassese, op. ult. cit., pag. 465).
13
Cfr. U. Allegretti, Profilo di storia costituzionale italiana, Bologna, 1989, pagg.
115-130. Di interesse al riguardo e' anche cio' che scrive L. Chieffi: "L' art. 11 Cost.
rappresenta, altresi', l'abbandono della nozione di lotta armata ... come attivita'
attraverso cui esprimere l' 'ideale eroico' di un popolo o favorire il progresso della
societa'. Quest'ultima interpretazione rifletteva un orientamento largamente diffuso
tra gli studiosi delle relazioni internazionali di inizio secolo, secondo cui lo
svolgimento della guerra avrebbe potuto agevolare la circolazione tra le genti di
nuove idee e modelli istituzionali che, nonostante immessi con l'uso della forza,
potevano in seguito diventare 'elementi di pace e germi fecondi di svolgimenti
ulteriori'. " (cfr. L. Chieffi, Il valore costituzionale della pace, Napoli, 1990, pag.
119).
14
Cfr. U. Allegretti, Guerra del Golfo e Costituzione, in: Foro It., V, 1991, pag.384.
12
l'Italia ha munito di una vera e propria garanzia costituzionale,
sancita da un precetto autonomo, determinati obblighi internazionali
volti al mantenimento della pace.
15
E' in questa ottica complessiva che e' allora opportuno leggere la
seconda e la terza proposizione dell'art. 11. L'Italia non si limita a
ripudiare la guerra che offenda la liberta' degli altri popoli o che sia
impiegata come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali, bensi' si spinge oltre: "consente, in condizioni di parita'
con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni " e
"promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo". Il senso di queste affermazioni e' piuttosto evidente: l'Italia
ripudia innanzitutto la guerra ma cio' non e' ritenuto sufficiente per
assicurare la pace e la giustizia internazionali, poiche' un ripudio
unilaterale non servirebbe di per se' a cancellare la guerra dal mondo
e poiche' ben difficilmente l'Italia riuscirebbe a rimanere al di fuori di
ogni conflitto se questi continuassero ad imperversare intorno a lei.
16
Pertanto, viene ammessa la possibilita' di rinunciare addirittura
all'esercizio integrale della propria sovranita', consentendo eventuali
limitazioni della sovranita' stessa che si configurino o, in senso
15
Cfr. M Bon Valsassina, op. cit., pag. 5. Questo autore contraddistingue l'insieme
delle norme in esame con la locuzione "diritto interno della pace"; B. Cialdea
sottolinea al proposito come le fonti ideologiche di tale garanzia siano da ricondursi
al pensiero di Rousseau, il quale individuava nelle norme interne dello Stato (prima
ancora che nelle relazioni internazionali) le basi per l'atteggiamento pacifico o
meno dello stato stesso (cfr. B. Cialdea, Limitazioni costituzionali alla liberta' del
ricorso alla guerra, in: Studi per il XX anniv. Cost., Firenze, 1969, pag. 81).
16
Cfr. U. Allegretti, op. ult. cit., pag. 390.
13
proprio, nella devoluzione ad altri enti di potesta' che si traducano in
disposizioni di immediata esecuzione o, piu' genericamente, nella
assunzione di obblighi giuridici comportanti una limitazione della
liberta' degli Stati contraenti.
17
Irrinunciabile e' pero' la condizione
che l'Italia agisca in condizioni di parita' con gli altri Stati.
18
Come
stadio intermedio per approdare ad un ordinamento che assicuri la
pace e la giustizia tra le nazioni, infine, l'Italia si impegna a
promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo: cio' significa che da un lato essa deve attivarsi per dare vita
ad organismi del genere, dall'altro, una volta che questi siano ad
esistenza, deve agire nel loro àmbito con coerenza ed
intraprendenza per raggiungere gli obiettivi prefissati. Possiamo dire
che queste organizzazioni rappresentano sostanzialmente il veicolo
per attuare il principio pacifista. L'esame dei lavori preparatori porta a
credere che l'intento del costituente, nell'elaborare questa parte
dell'articolo, fosse innanzitutto quello di auspicare e favorire
17
Secondo L. Sico, si puo' parlare di "limitazione di sovranita'" in senso proprio
solo se l'organizzazione internazionale che emana le norme dispone di un potere
di coercizione che rende effettivo l'esercizio degli altri due poteri, ovvero quello
legislativo e quello giudiziario; in caso contrario, si e' in presenza si semplici
obblighi da parte dello Stato che aderisce all'organizzazione stessa e non si puo'
parlare di "limitazione di sovranita'" in senso tecnico (cfr. L. Sico, Considerazioni
sull'interpretazione dell'art. 11 della Costituzione, in: Dir. Int., n.3, 1966, pag. 302).
18
Per fare un esempio riguardo a questa condizione, possiamo rammentare i forti
dubbi sorti durante la discussione circa l'adesione al Trattato di non proliferazione
delle armi nucleari, risalente al 1969. Fu osservato che il Trattato generava delle
disparita' tra i vari paesi poiche' impediva a quelli non provvisti di armi nucleari di
acquisirne mentre non incideva sugli arsenali di quelli gia' attrezzati. Alla fine, con
la l. 131 del 24/4/75 la ratifica del Trattato e' stata autorizzata nonostante il
presunto contrasto con l'art. 11 Cost. (cfr. E. Morelli, Il Trattato contro la
proliferazione delle armi nucleari e l'art. 11 della Costituzione, in: Riv. Dir. Int., n.1,
1976, pagg. 38-60).