2
Per quanto riguarda l’inflazione, uno studio molto interessante è stato compiuto da
Mio,il quale ha scisso la variabile in componenti di domanda (AD) e di offerta (AS),
raggiungendo interessanti conclusioni. Per le due crisi petrolifere del 1974 e del 1979,
si può dire che la prima fu preceduta da inflazione domestica alimentata dal piano
governativo per la ricostruzione dell’Arcipelago giapponese, mentre la seconda fu
brillantemente contrastata; i periodi di bolla (che secondo lo studio si colloca tra il
1986 e il 1991), sono caratterizzati da uno spostamento delle curve di domanda e
offerta verso direzioni espansive: l’effetto combinato è quindi un aumento dell’output
senza inflazione; nel periodo successivo la bolla, la componente di AD è rimasta
negativa se non per qualche rara eccezione, mentre la AS ha seguito un
comportamento anticiclico, con spostamento in alto durante i periodi recessivi: ciò
significa che mentre la domanda è stata generalmente debole nel periodo considerato,
gli shock negativi alla AS hanno stabilizzato il livello dei prezzi, mentre l’effetto
congiunto sull’output è stato deleterio.
Prima di passare oltre, è opportuno spendere due parole sulla deregolamentazione,
processo imboccato con colpevole ritardo. Cargill, Hutchinson e Ito (2000) hanno
identificato sei periodi grazie ai quali è possibile discriminare tra vecchi e nuova
regolamentazione:
1. perdono e tolleranza (1991-1994): l’esistenza dei problemi viene negata;
2. riconoscimento dei problemi finanziari, ma risposte minimali (1995-1996):
crescono i prestiti cosiddetti non-performing e iniziano a fallire le prime
banche cooperative e per il piccolo credito;
3. convinzione di essere venuti a capo dei problemi finanziari, cambi istituzionali,
annuncio del piano Big Bang (Novembre 1996-Ottobre 1997);
4. crisi finanziaria su vasta scala e recessione (Novembre 1997-Marzo 1998): si
fa largo l’idea di un’iniezione di capitale per proteggere i depositanti;
5. riconoscimento dell’importanza del dissesto finanziario e nuove politiche
attuate (Aprile 1998-Febbraio 1999): si riconosce l’inutilità delle precedenti
manovre e si opta per l’iniezione di fondi;
3
6. iniezione di capitale e nuove politiche (Marzo 1999-fine 1999): il Governo ha
un approccio più aggressivo e l’approvazione per usufruire del denaro pubblico
è sottoposta a standard più alti.
MODELLI TEORICI
MONEY VIEW
Se assumiamo che il canale monetario abbia giocato il ruolo più importante,
dobbiamo fare riferimento alla cosiddetta trappola di liquidità. In questo caso,
essendo la domanda di moneta infinitamente elastica, il tasso di interesse non
risponde più a dinamiche collegate alla quantità di moneta. Per far ripartire gli
investimenti e l’economia in generale si può stimolare la domanda attraverso
l’aspettativa di maggiore inflazione futura. Ciò farebbe in modo che il tasso di
interesse reale fosse negativo; diverse cause possono spiegare la necessità di un tasso
di interesse reale negativo:
- Una prima ragione la si può trovare nel premio per il rischio per cui, anche a una
remunerazione elevata del capitale, se il premio richiesto è alto, si può spingere
l’economia in trappola di liquidità;
- Un’altra ragione può essere che il ritorno sugli investimenti dipenda non solo dal
rapporto tra prodotto marginale del capitale e prezzo, bensì anche dalla variazione
attesa di quest’ultimo: un’economia nella quale ci si attende un trend decrescente per
la q di Tobin potrebbe offrire un tasso di interesse reale negativo, nonostante il
prodotto marginale del capitale sia positivo.
Un aspetto molto dibattuto è la tendenziale ostilità con cui si pensa all’inflazione: in
simili casi, tuttavia, sarebbe necessaria per i seguenti motivi:
-la trappola di liquidità è caratterizzata dalla necessità di avere tassi di interesse reali
negativi e, data i = r + π, è evidente che questa condizione può essere raggiunta se e
solo se π>0, sub i=0;
-si cerca di eliminare una distorsione;
4
-una caduta nel tasso di interesse reale raggiunto attraverso un’inflazione attesa è
identico nei suoi effetti a quello prodotto attraverso una caduta dei tassi di interesse
nominali, quando ciò è possibile. In linea di principio non c’è alcuna ragione per cui
un aumento della spesa generata attraverso inflazione debba essere differente da
quella generata con una convenzionale manovra espansionistica della BCN quando i
tassi lo permettano.
LENDING VIEW
Oltre al canale monetario, anche i prestiti erogati possono essere di fondamentale
importanza: se infatti, per qualsiasi ragione, la quota di denaro che le banche
riservano ai prestiti diminuisse, le prime imprese ad essere espulse dal mercato del
credito sarebbero quelle con minore capitale proprio. Se genericamente il capitale
proprio richiesto alle aziende perché godano di un prestito aumentasse, le imprese
meno ricche sarebbero le prime a perdere finanziamenti. Similmente, quindi, le
imprese che in condizioni normali avrebbero potuto fare ricorso direttamente al
mercato, ora devono rivolgersi alle istituzioni finanziarie per avvalersi di un prestito
evidentemente più oneroso. In ultima analisi, il vero pericolo di questo canale di
trasmissione sta nel fatto che un certo numero di aziende che finanziano gli
investimenti con prestiti possano trovarsi senza i fondi necessari per poterli sfruttare.
L’idea che regge tutto il ragionamento è che per analizzare gli effetti di una
restrizione dei canali del credito occorre tenere presente che la capitalizzazione della
banca influenza il prestito e che, agendo essa come una normale azienda, in un simile
caso assistiamo al fenomeno di flight to quality.
POLITICA FISCALE
La politica fiscale si è dimostrata di dubbia efficacia per la risoluzione dei problemi
che si presentavano. Alcuni strumenti sono stati utilizzati sulla base di interessi
politici anziché su una seria analisi rischi-benefici. Partendo dall’ipotesi di
Modigliani che il debito pubblico è un onere fintantoché spiazza il capitale, mentre
5
se, viceversa, fosse utilizzato per finanziare capitale pubblico, quest’ultimo avrebbe
una sua redditività che compenserebbe lo spiazzamento subìto dal capitale privato,
ecco che i gravi errori della politica fiscale si manifestano in tutta la loro
drammaticità.
Tanto più che, in situazione di trappola di liquidità, la politica fiscale raggiunge il suo
massimo vigore.
A parziale giustificazione del Governo occorre tenere conto di due fattori: innanzi
tutto che si era solennemente impegnato a ridurre il debito e, si riteneva che
un’inversione di rotta avrebbe causato la perdita di credibilità; inoltre gli elettori non
erano favorevoli al cambiamento delle proporzioni di spesa tra le diverse voci.
CAUSE STRUTTURALI
Per concludere la carrellata di ipotesi, non possiamo esimerci dal parlare delle
cosiddette cause strutturali: valutare quanto abbiano effettivamente inciso
sull’andamento economico è esperimento difficile, benché certamente abbiano avuto
un peso non trascurabile. La politica industriale per es. ha fatto largo uso del FILP
(fiscal investment and loan program) attraverso cui vengono rastrellati fondi pubblici
allo scopo di investimenti privati o pubblici: in quest’ultimo settore il metodo
migliore per un politico di dare visibilità al proprio operato è la costruzione di opere
pubbliche che non sono talvolta né necessarie, né (ed è ciò che stupisce) volute.
Anche nel privato vi sono relazioni intricate come nel caso dei kairetsu, che possono
essere su piano paritario o gerarchico. Tra settore privato e pubblico vi è invece una
vera e propria sudditanza del primo nei confronti del secondo. Per concludere questo
aspetto, cito gli interessi radicati di tante categorie che purtroppo sono in grado di
condizionare scelte importanti, sostanzialmente sotto la velata minaccia del voto.
6
UN MODELLO ECONOMETRICO
Dopo essermi chiarito le idee su quali fossero le variabili più importanti per spiegare
l’andamento economico del Giappone, ho provato a rivestire un modello
econometrico in forma ridotta.
Le variabili indipendenti che ho inserito per spiegare quella dipendente GDP (da ora
anche Y) sono state: government expenditure (G) come indicatore della politica
fiscale, quantità di moneta (M) per la politica monetaria, esportazioni (EX) per la
domanda estera. I dati coprono un orizzonte temporale di 30 anni circa su base
trimestrale (prima osservazione 70:1, ultima 02:2).
La prima operazione necessaria è stata l’analisi dei dati: tutti contengono una radice
unitaria, che ho dovuto eliminare differenziando le variabili. La stima è quindi
costruita sulla base di differenze logaritmiche delle variabili, che approssimano le
variazioni percentuali.
Avendo dati omogenei posso concentrarmi sul tipo di modello che ritengo più idoneo.
Le alternative che ho vagliato riguardano un modello uniequazionale, di tipo però
non-lineare, esperimento già applicato allo studio della politica monetaria ma non
congiuntamente a quello della politica fiscale. Un simile modello specifica due stati
del mondo tra i quali il sistema economico alterna, secondo una funzione di densità
detta funzione di transizione, che determina l’importanza dei regressori ad essa legati,
e dipende dal valore assunto dalla variabile soglia.
In particolare ho preso in considerazione modelli ESTAR ed LSTAR, la cui
differenza sta solo nella specificazione della funzione di transizione da uno stato del
mondo all’altro:
ESTAR
F(•) = (1-exp[-γ (y
t-d
- c)
2
])
LSTAR
F(•) = (1+exp[-γ (y
t-d
- c)])
-1
7
Brevemente, possiamo dire che nel primo caso la risposta a uno scostamento dal
valore soglia c è simmetrico, sia esso positivo, sia esso negativo, mentre nella
nell’altro vi è una risposta asimmetrica.
Altri modelli non lineari che potrebbero essere presi in considerazione in questo
contesto sono i modelli (G)ARCH, le cui intuizioni principali riguardano la volatilità
del processo che nei periodi in cui è maggiore implica, pari passu, una maggiore
incertezza sull’osservazione successiva che non nei periodi di bassa volatilità ed
inoltre tende a restare ai livelli precedenti (fenomeno di volatility clustering). Questo
genere di modelli è molto utile per le serie finanziarie, ma volendo io studiare
l’andamento del GDP, ho ritenuto più opportuno concentrarmi sulle diverse politiche
economiche piuttosto che sulla volatilità della variabile.
Il secondo modello che ho tenuto in considerazione è un sistema di due o più
equazioni,che prende appunto il nome di Vector AutoRegression (VAR): si tratta di
un modello dinamico in forma ridotta il cui vantaggio principale è la possibilità di
valutare quanto uno shock incida su una variabile e, attraverso questa, anche sulle
altre.
Dopo aver applicato opportuni test, ho preferito il primo modello tra quelli esposti.
In particolare, pur avendo idee abbastanza precise su quali variabili soglia
considerare, ho stimato senza porre restrizioni e scegliendo poi le migliori stime, tra
quelle robuste, sulla base di alcuni indicatori (residui al quadrato, R
2
aggiustato per il
numero di regressori, AIC, SIC, etc.).
Le stime scelte sono quelle con variabile soglia Y
t-2
e quella con doppia variabile M
t-2
e G
t-1
. Per completezza le ho confrontate con la stima lineare.
8
Tabella 1: Confronto tra Stime
LINEARE Y M,G
VARIABILE COEFFICIENTI
Y(-3) 0.39* 0.45* 0.07
M(-8) 0.44* 0.19* 0.28*
G(-1) -0.07* 0.000621 0.05
EX(-1) 0.047* 0.06* 0.06*
EX(-3) -0.06* -0.03 0.07
γ
y t-2
243.52
C
y t-2
1.67*
Y(-3) -0.09
M(-8) 0.43*
G(-1) -0.17*
EX(-1)
EX(-3) -0.04
γ
Mt-2
74.32
C
Mt-2
2.27*
costante 1.04*
Y(-3)
M(-8) 0.06
G(-1) -0.31*
EX(-1) -0.06
EX(-3) -0.1*
γ
Gt-1
46.58
C
Gt-1
0.75*
costante -0.15
Y(-3) 0.55*
M(-8) -0.14
G(-1) -0.04
EX(-1)
EX(-3)
-0.11*
R-squared 0.57 0.67 0.75
AIC 2.89 2.66 2.66
SIC 3 2.92 3.1
Sum Residui
2
116.07 80.94 70.64
JB
0.03
0.46* 0.000649 RITARDI
LM serial-corr. 0.14* 0.34* 0.51* 2
0.19* 0.48* 0.33* 4
0.31* 0.75* 0.5* 8
ARCH 0.96* 0.95* 0.09* 1
0.013 0.85* 0.66* 4
0.029 0.82* 0.93* 8
Nota: x*=95%, o più, di confidenza.
9
In tutte le stime scelte, i coefficienti su Y(-3), M(-8), EX(-1) sono del segno
desiderato: in condizioni normali se la quantità offerta di moneta aumenta, il denaro
“costa meno” e ciò in ultima analisi aiuta la crescita dell’economia, così come se le
esportazioni aumentano, i paesi esteri inducono a una produzione maggiore per
soddisfare tanto la domanda interna quanto quella estera.
Nella stima lineare, il segno legato ai coefficienti di G(-1) ed EX(-3) è negativo,
mentre dalla teoria mi sarei aspettato che fosse positivo: quand’anche si sostenesse
che la politica fiscale del Governo sia stata del tutto inefficiente, in ogni caso quel
coefficiente avrebbe dovuto essere al minimo pari a zero, ma mai negativo: da ciò
deduco che probabilmente esistono (almeno) due regimi di efficacia della spesa
pubblica e che in almeno uno di essi debba essere di segno positivo; per le
esportazioni il problema è meno grave perché abbiamo due coefficienti che vanno in
controtendenza, con quello più vicino nel tempo positivo.
Nella regressione non lineare rispetto a Y
t-2
è interessante dire che il coefficiente
ritardato di Y
t-3
incide negativamente sulla variazione attuale: si può pensare che in
un’economia matura come quella giapponese, l’elevata crescita passata (nello
specifico superiore ad 1.6%) faccia in modo che gli spazi per una crescita ulteriore
attuale siano limitati. La “saturazione” dell’economia è un fenomeno ben noto, che
spingerebbe il coefficiente ad assumere valori più contenuti: è vero che il coefficiente
ottenuto con questa stima è negativo, ma è anche vero che ha un impatto miserrimo e
soprattutto non è molto significativo; giustificare il segno delle esportazioni è
possibile pensando al modello IS-LM in economia aperta come suggerito da
Mundell-Fleming (per una trattazione approfondita vedi tra gli altri Blanchard,2000),
in cui la dinamica di più lungo periodo tende a ridurre le esportazioni (per es. in
seguito a un apprezzamento della moneta locale contro le altre, dovuta proprio al
fatto che cresce la domanda di yen per pagare i beni giapponesi) e perciò, data la
costruzione della curva IS, la crescita economica si deprime. Il coefficiente su G pone
10
più problemi: tendenzialmente sarei portato a dire che quando la crescita economica è
sostenuta, non è necessario che il governo investa ulteriormente, anche perché come
si è detto prima, gli spazi per investimenti “convenienti”, razionali, sono molto
limitati; altra interpretazione plausibile è dovuta al crowding out.
La stima non lineare con doppia variabile grilletto va valutata sotto un duplice
aspetto:
- quando la variabile grilletto è la moneta, se diventa rilevante quella parte non
lineare vuol dire che l’offerta di moneta è cresciuta molto ed allora, se anche la spesa
pubblica cresce molto potrebbe innescare, in condizioni normali, una spirale
inflazionistica. Da tali circostanze, il pubblico considera il pericolo e l’economia non
reagisce come invece fa di solito (parte lineare con coefficiente maggiore di zero);
- quando la variabile grilletto è la politica fiscale, se è rilevante quella parte non
lineare, vuol dire che “il governo ha speso molto in passato”: nel caso Giapponese, si
è già detto, il Governo può essere biasimato per la scarsa propensione ad una seria
valutazione rischio-rendimento e in una parola alloca le risorse in modo inefficiente;
inoltre sappiamo che il debito pubblico del Paese ha raggiunto valori impressionanti,
perciò se valesse l’equivalenza ricardiana, si potrebbe dire che il pubblico, sapendo di
dover ripagare il debito, tende a risparmiare oggi per avere le risorse da cui attingere
in futuro per sdebitarsi: mettendo insieme le due parti del discorso, si ricalca il
pensiero di Modigliani (2001).
La stima migliore tra quelle esposte è quella con doppia variabile soglia.
Economicamente è un risultato interessante che la non linearità si verifichi rispetto
alla politica monetaria e alla politica fiscale. Inoltre si è detto che i segni dei
coefficienti non pongono problemi e perciò è, sotto questo aspetto, una buona stima.
Da un punto di vista econometrico, questa stima ha un R
2
elevato (75%) e AIC e
somma dei residui al quadrato più bassi tra tutte quelle proposte. Inoltre i test di
11
autocorrelazione seriale dei residui e di presenza di effetti ARCH sono brillantemente
superati. Detto altrimenti, la stima è robusta.
Le conclusioni alle quali giungo sono abbastanza in linea con quelle raggiunte per
altre vie in studi precedenti. E precisamente:
- la politica fiscale si è rivelata inadeguata ad affrontare le problematiche che via via
si presentavano: la sua funzione di transizione non raggiunge mai valori alti durante
le recessioni. Pure gli effetti marginali su tutto il periodo non sempre sono in linea
con le aspettative, indipendentemente dalla stima considerata: in particolare quando
la crescita economica è elevata, la politica fiscale ha una performance scarsa, mentre
quando la crescita è bassa, la politica fiscale si comporta meglio, ma in modo non
ancora soddisfacente.
Figura 1: Funzione di Transizione con variabile soglia “Politica Fiscale”
0.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
1975 1980 1985 1990 1995 2000
_CONG_G
12
Figura 2: Effetto Marginale della Politica Fiscale
-.4
-.3
-.2
-.1
.0
.1
1975 1980 1985 1990 1995 2000
MARGINE_G
L’idea che mi sono fatto è che esistono fattori non colti dalla stima, che
genericamente definisco strutturali e che costituiscono una zavorra per le scelte
politiche. Penso che invocare tali fattori come male dell’economia giapponese sia
necessario come primo passo per il cambiamento di politiche economiche, grazie alle
quali si possa poi stimolare la crescita degli investimenti, della produttività e in
generale di quegli elementi utili alla crescita stessa.
Alla stessa conclusione giungono Ahearne et Al. (2002), seguendo un approccio
differente da quello presentato in questo lavoro.
La politica monetaria è generalmente migliore della politica fiscale nel periodo
considerato. I suoi effetti marginali sono sempre positivi, anche se si ha un’incidenza
molto minore a partire dai primi anni 90; ancora una volta ciò è vero a prescindere
dalla stima considerata.
13
Figura 3: Effetto Marginale della Politica Monetaria
.1 2
.1 6
.2 0
.2 4
.2 8
.3 2
.3 6
1975 1980 1985 1990 1995 2000
MARGINE_M
Anche la funzione di transizione rivela una politica monetaria molto attiva fino
all’inizio degli anni 90, fatta eccezione per la metà egli anni 80, in cui assume valori
più bassi e omogenei e difatti l’effetto marginale sulla crescita economica è più
contenuto.
Figura 4: Funzione di Transizione con variabile soglia “Politica Monetaria”
0.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
1975 1980 1985 1990 1995 2000
_CONG_M
Un commento ulteriore è necessario però per quest’ultimo decennio trascorso:
è vero che la politica monetaria non è risultata efficace, ma la stima completa mi dà
un’informazione che non posso assolutamente ignorare: la reazione alle condizioni
del mercato del credito.
14
A questo scopo la bibliografia esistente è vastissima, tutta interessantissima per le
questioni teoriche che affronta.
Per i miei scopi il modello più appropriato è quello pionieristico di Bernanke
(riproposto in un lavoro di Bagliano e Favero,1995), che considera un modello VAR
con GDP reale, M2+CD, prestiti totali e CPI in differenze logaritmiche. Conscio delle
diverse risposte ad impulsi che possono essere generate da differenti ordini di
specificazione delle variabili, ho provato anche altri ordini giustificabili con la teoria,
ma per fortuna non ho rilevato differenze qualitative degne di nota.
Figura 5: Risposte ad Impulsi
-0.8
-0.4
0.0
0.4
0.8
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of Y to Y
-0.8
-0.4
0.0
0.4
0.8
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of Y to P
-0.8
-0.4
0.0
0.4
0.8
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of Y to M
-0.8
-0.4
0.0
0.4
0.8
1.2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of Y to L
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
.6
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of P to Y
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
.6
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of P to P
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
.6
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of P to M
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
.6
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of P to L
-.4
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of M to Y
-.4
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of M to P
-.4
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of M to M
-.4
-.3
-.2
-.1
.0
.1
.2
.3
.4
.5
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of M to L
-.6
-.4
-.2
.0
.2
.4
.6
.8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of L to Y
-.6
-.4
-.2
.0
.2
.4
.6
.8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of L to P
-.6
-.4
-.2
.0
.2
.4
.6
.8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of L to M
-.6
-.4
-.2
.0
.2
.4
.6
.8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Response of L to L
Response to Cholesky One S.D. Innovations ± 2 S.E.
Innanzitutto sembra che la quantità di moneta perda molta della sua importanza
quando viene introdotto il canale del credito.
15
Con riferimento ai prestiti, infatti, vi è sempre pieno accordo tra risultati empirici e
aspettative teoriche, tanto nel breve quanto nel lungo periodo: l’output cresce anche
se l’effetto è inferiore nel lungo periodo, e così si comporta anche l’inflazione; questi
due fattori incidono sul temporaneo aumento dei prestiti erogati, che, come le altre
due variabili tende a diminuire su un lungo orizzonte temporale. La quantità di
moneta, dal canto suo, aumenta in seguito all’aumento delle altre variabili, ma la BOJ
contrae l’offerta successivamente per evitare problemi inflazionistici.
La reazione a shock sulla moneta è invece assorbita in modo molto più lento e
incerto.
Questa informazione va associata a quelle che derivano dalla variance decomposition,
da cui si evince che:
- l’errore di previsione di ogni variabile dipende principalmente dalla variabile stessa;
- per spiegare la varianza nella previsione del reddito dobbiamo riferirci anche alla
variazione dei prezzi e dei prestiti erogati, prima che alla quantità di moneta;
- l’errore associato alla quantità di moneta interessa parallelamente le serie del GDP e
della quantità di prestiti, mentre il livello dei prezzi ha uno scarso valore esplicativo;
-la quantità di moneta a sua volta risulta la variabile più importante per spiegare la
varianza previsiva dei prestiti, dopo i prestiti stessi; comunque tanto il GDP quanto il
livello dei prezzi hanno una certa importanza.
Queste considerazioni, insieme con le risposte ad impulsi, mi portano a concludere
che negli ultimi 10 anni l’economia giapponese sia stata fortemente legata al canale
del credito, anche se la quantità di moneta, potendo condizionare fortemente le
condizioni del prestito, ha avuto molta importanza.
In altre parole, la lending view ha rappresentato un canale di trasmissione della
politica monetaria grazie al quale è possibile spiegare in modo più esaustivo il ciclo
economico nipponico.
16
POLITICHE ALTERNATIVE
Accettata la stima ho provato a simulare politiche alternative.
La simulazione di una nuova politica fiscale non ha l’ambizione di essere esaustiva,
ma si prefigge l’unico scopo di dimostrare che probabilmente altre politiche
avrebbero condotto a risultati migliori.
Ho imposto che non potessero esistere restrizioni, e pertanto, dove tra un periodo e
l’altro si osserva una diminuzione della spesa, ho fatto in modo che il livello restasse
invariato (variazione nulla): la politica alternativa ha due vantaggi non trascurabili:
- minori periodi di crescita negativa;
- fluttuazione molto limitata attorno a un valore medio.
Figura 6: Politica Fiscale Alternativa
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002
Y (politica alternativa) Y (a n d a m e n to e ffe ttiv o )
Il fatto che vi siano meno periodi con crescita negativa non è affatto strano, poiché
abbiamo ipotizzato la mancanza di politiche restrittive. Mi sono disinteressato di
problemi di sostenibilità del debito pubblico, per es., ma è un esperimento molto utile
per sostenere la tesi che una politica fiscale non restrittiva avrebbe almeno limitato i
danni.
Per giustificare le fluttuazioni meno violente, ritengo che una politica fiscale meno
variabile avrebbe facilitato anche le aspettative degli agenti economici e così le
deviazioni da un valore medio sarebbero state attenuate.
17
Più approfondita è stata l’analisi della politica monetaria: prendendo spunto da uno
studio di MacCallum (2001), ho potuto formalizzare una regola di politica monetaria
che, secondo la stima, avrebbe garantito una situazione economica molto migliore,
con una media di crescita attorno all’1.1%, senza mai registrare crescita negativa, e
con oscillazioni attorno a questo valore inferiori a quelle effettivamente realizzatesi.
Figura 7: Politica Monetaria Alternativa
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002
Y (politica m onetaria alternativa)
Y (andam ento effettivo)
Ancora una volta ciò non stupisce affatto dal momento che abbiamo formalizzato una
regola certa di politica monetaria, nota e condivisa da tutti gli operatori; è un gioco
dinamico e ripetuto, con informazione perfetta. Inoltre le considerazioni circa gli
errori di politica monetaria commessi in questi 30 anni persistono anche con questo
nuovo approccio.