2
La formulazione essenziale è stata poi completata, una decina di
anni dopo, dalle formalizzazioni della funzione di produzione
del capitale umano, da parte di Yoram Ben-Porath, e della
funzione dei guadagni, da parte di Jacob Mincer.
Il capitolo 2 è articolato in tre sezioni: la prima riguarda
un’applicazione della teoria all’analisi del ruolo del capitale
umano nella crescita economica. L’esposizione di questo
argomento segue le diverse impostazioni metodologiche che,
dagli anni ‘60 fino ad oggi, i vari autori hanno dato al
problema: l’ideale percorso parte dalle stime di Schultz e
Denison e giunge fino ai complessi modelli di crescita
endogena, passando attraverso l’uso delle funzioni di
produzione proposto, fra gli altri, da Nelson e Phelps per
spiegare il contributo del capitale umano alla crescita.
La seconda sezione è dedicata alle evoluzioni, ossia agli
ambiti di indagine che hanno radici comuni con la teoria del
capitale umano ma che si sono poi sviluppati autonomamente,
perdendo progressivamente ogni legame: si tratta, in
particolare, della job search theory e dell’economia sanitaria.
La loro origine si può far risalire, come per la teoria del
capitale umano, al supplemento del Journal of Political
Economy dell’ottobre 1962 dedicato all’”Investimento in esseri
umani”. In esso, infatti, sono
contenuti gli articoli di George Stigler e Selma Mushkin,
da cui altri autori hanno preso spunto per elaborare e sviluppare
le nuove teorie.
3
La terza sezione del capitolo 2 prende in esame le principali
critiche portate alla teoria del capitale umano, soprattutto
durante gli anni ‘70: si tratta delle varie versioni della
screening hypothesis, della teoria dei salari di efficienza, della
teoria dei mercati interni del lavoro e di una critica di stampo
marxiano da parte di due autori della cosiddetta “scuola
radicale”. Brevi cenni riguardano poi alcune critiche minori.
Nell’ambito della screening hypothesis, la teoria dei segnali e
la teoria credenzialista negano l’esistenza di una relazione
positiva fra istruzione e produttività dei lavoratori; la teoria dei
salari di efficienza critica, invece, la relazione fra produttività e
guadagni. La teoria dei mercati interni del lavoro contesta la
relazione fra età e guadagni, mentre la critica marxiana propone
una spiegazione alternativa del legame fra produttività e
istruzione.
La seconda parte della tesi, dedicata al ruolo pubblico
nell’offerta dei servizi di istruzione, è divisa in due capitoli,
riguardanti uno i fondamenti teorici dell’intervento pubblico in
materia scolastica e l’altro i problemi e le prospettive legati al
finanziamento dell’istruzione.
In base all’analisi svolta nel capitolo 3, la presenza
pubblica è giustificata dall’esistenza di rendimenti sociali
provenienti dall’investimento in servizi scolastici e dalle
particolarità dell’istruzione come bene quasi-collettivo, o
misto, e il cui consumo produce esternalità. La trattazione è
condotta facendo costante riferimento alle opere di Paul
Samuelson e James Buchanan, Premi Nobel per le Scienze
4
Economiche e autori fondamentali nell’ambito dell’economia
pubblica.
Il capitolo 4 prende invece spunto dalla pubblicazione, nel
1992, di un rapporto dell’OCSE sul finanziamento pubblico
dell’istruzione in molti dei Paesi suoi membri. Le
problematiche, le possibili evoluzioni e le prospettive
praticabili emerse dall’analisi dei dati dell’OCSE sono poi
riferite al sistema scolastico italiano e al suo travagliato iter di
riforma, tuttora in corso.
5
Capitolo 1
LA FORMULAZIONE
DELLA TEORIA DEL CAPITALE UMANO
1.1. Cenni storici
La teoria del capitale umano è sorta e si è sviluppata nel
tentativo di fornire spiegazioni valide per le differenze salariali
riscontrate sul mercato del lavoro e per gli squilibri registrati
negli Stati Uniti, dopo la Seconda guerra mondiale, fra la scarsa
crescita dell’ammontare totale dei fattori produttivi e la
notevole crescita del prodotto nazionale. Tali spiegazioni si
fondano sul fatto che l’istruzione, la formazione sul lavoro, il
miglioramento della salute, l’acquisizione di informazioni sul
mercato del lavoro e la migrazione sono attività configurabili
come forme di investimento che gli individui effettuano in se
stessi al fine di accrescere le proprie conoscenze, le proprie
capacità lavorative e, quindi, la propria produttività.
La nascita ufficiale della teoria del capitale umano è
solitamente collocata tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli
anni ‘60. Anche in precedenza alcuni economisti avevano
sottolineato l’importanza del capitale umano per gli individui e
per la collettività. Già nel 1776 Adam Smith considerava le
capacità acquisite e possedute dagli abitanti come una parte del
capitale di una nazione e attribuiva l’esistenza di differenziali
salariali anche alla necessità di compensare i costi per
l’acquisizione di una certa qualifica professionale.
6
Nel 1906 Irving Fisher propose un concetto di capitale che
considerava sia la componente fisica sia la componente umana.
A prevalere fu, però, l’impostazione di Alfred Marshall (1890),
secondo il quale una definizione di capitale che ricomprendesse
anche gli esseri umani, sebbene ammissibile da un punto di
vista astratto, non lo sarebbe stata dal punto di vista dell’analisi
formale, in quanto priva di aderenza con il mercato.
Un passo fondamentale compiuto dagli autori dei primi
anni ‘60 fu pertanto quello di recuperare e applicare un
concetto di capitale che includesse anche il capitale umano (per
esempio la definizione elaborata da Kuznets, 1961);
successivamente, essi cercarono di fornire valutazioni
dell’investimento in capitale umano e, a questo proposito, è
stato necessario abbandonare l’ottica consolidata di considerare
l’istruzione, la formazione professionale, ecc. come beni di
consumo e non come forme di investimento.
L’istruzione è stata, almeno inizialmente, analizzata come
la forma principale di investimento in capitale umano. Theodore
W.Schultz è stato un pioniere in questo campo, con una serie di
contributi che hanno posto, per così dire, le basi filosofiche
della teoria. Nel suo “The Economic Value of Education” del
1963, che riprende e completa alcuni articoli apparsi negli anni
immediatamente precedenti, Schultz sottolinea la necessità di
considerare l’istruzione come una forma di investimento e di
individuare il ruolo di tale investimento nella crescita
economica.
7
La precisazione non è banale, in quanto fino ad allora il
valore economico dell’istruzione era stato trascurato o
addirittura negato, e ad essa veniva attribuito solo un valore
culturale. Schultz, peraltro, riconosce l’esistenza e l’importanza
dell’aspetto culturale, ma si concentra sui risvolti economici
dell’istruzione, nell’intento di individuarne i costi e i benefici.
Per quanto concerne i costi dell’istruzione, Schultz è stato
il primo a porre in evidenza la necessità di comprendere, oltre
alle spese per tasse scolastiche, libri, trasporti e alloggio
sostenute dalle famiglie degli studenti, anche il costo-
opportunità rappresentato dai guadagni perduti (earnings
foregone), che un individuo avrebbe potuto ottenere se fosse
entrato nel mercato del lavoro anziché proseguire nella
frequenza scolastica. Anche Gary Becker (1964), nell’ambito
della formalizzazione teorica dell’investimento in capitale
umano, ha compreso i guadagni perduti fra i costi indiretti
dell’istruzione. Non mancano opinioni divergenti (per esempio
Vaizey, 1958), ma tutte le principali stime dei rendimenti
dell’istruzione sono state ottenute considerando fra i costi
anche gli earnings foregone.
Dal punto di vista dei benefici, Schultz ha identificato tre
categorie di contributi forniti dall’istruzione:
1) consumi presenti
2) guadagni futuri (investimento)
3) capacità produttiva futura (investimento).
8
E’ importante individuare l’ordine di grandezza delle tre
componenti, perché le implicazioni possono cambiare
notevolmente: secondo Schultz la componente di investimento
è prevalente e il contributo dell’istruzione alla crescita
economica è rilevante; d’altro canto l’istruzione diventa una
fonte di crescita economica solo se fa aumentare la produttività
e i guadagni futuri, cioè se è configurabile come investimento.
9
1.2. Formazione sul lavoro
1.2.1. La formulazione di Mincer
Schultz ha segnalato l’esistenza di altri tipi di
investimento in capitale umano, ma non li ha trattati e non ha
fornito alcuna formalizzazione neppure dell’investimento in
istruzione. Tali lacune sono state in gran parte colmate da Gary
Becker nell’opera “Human Capital” del 1964, unanimemente
considerata come il principale testo di riferimento per lo studio
della teoria del capitale umano; in effetti, Becker ha raccolto
spunti provenienti da vari autori e ha formulato ed esposto una
teoria completa; ha proposto una formalizzazione
dell’investimento in istruzione, ricavandola dallo schema
generale riferito alla formazione sul lavoro, cui ha dedicato lo
spazio maggiore.
A testimoniare l’importanza di questa seconda forma di
investimento in capitale umano è anche un articolo di Jacob
Mincer apparso, assieme alla prima stesura dell’opera di
Becker, sul supplemento del Journal of Political Economy
dell’ottobre 1962 dedicato all’”Investimento in esseri umani”.
In tale articolo, Mincer ha proposto lo schema classico del
processo di formazione dei lavoratori, così articolato:
I FASE: Istruzione scolastica
II FASE: Formazione sul lavoro, costituita da:
-programmi formali di formazione
-programmi informali
-apprendimento dall’esperienza
10
Per il calcolo dei costi di formazione si applicano gli stessi
principi suggeriti da Schultz e Becker per quanto concerne i
guadagni perduti: questi incidono, in misura maggiore di quanto
non avvenga per gli studenti, sul costo totale sostenuto dai
lavoratori che affrontano un periodo di formazione. Infatti i
guadagni perduti, per questi lavoratori, sono costituiti da:
- costi di formazione caricati dalle imprese in forma di
minori
salari;
- minori salari dovuti a minore produttività, visto che tempo
ed
energie sono impiegati nei programmi di formazione e non
nella
produzione.
Mincer ipotizza che il tasso di rendimento sia uguale in
ogni anno, sia che si investa in istruzione scolastica sia che si
investa in formazione sul lavoro, e propone la seguente
espressione dei costi di formazione nell’anno t:
j-1
C
t
= X
t
+ r ƒa
i
C
i
- Y
t
(1)
i=1
dove X
t
= guadagno dei diplomati nel periodo t;
Y
t
= guadagno dei laureati nel periodo t;
r= tasso di rendimento, ottenuto uguagliando a zero la
somma dei differenziali di guadagno scontati, al
netto
delle spese dirette per istruzione;
11
a
i
= --------------------------------- = f a t t o r e d i c o r r e z i o n e p e r l a
limitatez-
1- [ 1 / ( 1 + r ) ]
n-i
za della vita lavorativa, con n= lunghezza della vita la-
vorativa;
r ƒ
i
a
i
C
i
= rendimenti perduti sulle somme investite in
formazio-
ne nei diversi periodi prima di t.
Il calcolo del tasso di rendimento è effettuato nel seguente
modo. Supponiamo che:
w
a
= salario ricevuto durante la formazione;
w
m
= salario ricevuto dopo la formazione;
w
o
= salario ricevuto in un’occupazione che non richiede
formazione.
Tralasciando una trascurabile correzione per la limitatezza della
vita lavorativa, si ottiene il tasso di rendimento r
dall’espressione
(1+r)
n
= 1+k/d, calcolata a sua volta dall’uguaglianza
n + φ
d ƒ(1+r)
-i
= k ƒ (1+r)
-i
i=1 j=n+1
dove n= durata del periodo di formazione.
Il costo di formazione è misurato, quindi, dalla differenza fra Y
t
e X
t
aumentata del rendimento perduto sulle somme investite
negli anni precedenti. Nel periodo t = 1 in cui inizia la
formazione, ad esempio, il costo è dato dal semplice
differenziale di guadagno:
C
1
= X
1
- Y
1
.
12
Nel periodo t = 2: C
2
= X
2
+ ra
1
C
1
- Y
2
e così via, fino al
periodo
j-simo. Con questo metodo, Mincer ottiene stime numeriche dei costi di
formazione, peraltro soggette a numerose distorsioni
difficilmente misurabili, ma non riesce a valutare quale
ammontare di spesa in formazione da parte delle imprese debba
essere aggiunto ai guadagni perduti per ottenere il costo
complessivo.
13
1.2.2. La formulazione di Becker
Becker ha proposto la prima formalizzazione completa
svincolata da obiettivi immediati di applicazione empirica.
L’ipotesi fondamentale è che il mercato del lavoro e dei
prodotti siano perfettamente concorrenziali. In accordo con il
modello neoclassico, si assume che l’impresa massimizzi i
profitti pagando a ciascun lavoratore un salario monetario pari
al valore del prodotto marginale dell’ultimo lavoratore assunto:
MP = w (2)
dove MP = Pmg
L
p
x
= valore del prodotto marginale (ricavo
marginale del lavoro);
Pmg
L
= ωX / ωL = prodotto marginale fisico del lavoro;
X = bene prodotto;
p
x
= prezzo del bene prodotto;
w = salario monetario (costo marginale del lavoro).
Se si ipotizza che l’impresa impieghi personale per un periodo
di tempo specifico e che attui programmi di formazione sul
lavoro, l’equazione (2) non è più verificata in ogni momento e
deve essere sostituita: durante il periodo di formazione, infatti,
il lavoratore ha una produttività molto limitata e il valore del
prodotto marginale è inferiore al salario monetario:
MP < w;
w è tenuto costante dall’impresa per finanziare la formazione
nel primo periodo e per appropriarsi, in seguito, dei rendimenti
dell’investimento in capitale umano effettuato.
14
Successivamente al periodo di formazione, la produttività del
lavoratore aumenta e il valore del prodotto marginale diventa
superiore al salario monetario:
MP > w.
Per l’impresa il costo marginale del lavoro eccede il ricavo
marginale del lavoro nei primi periodi ed è inferiore nei periodi
successivi. La condizione di massimizzazione del profitto è
data, allora, dall’uguaglianza fra il valore attuale della serie dei
ricavi marginali del lavoro e il valore attuale della serie dei
costi marginali del lavoro. L’impresa assume lavoratori fino a
che:
n-1 R
t
n-1 E
t
ƒ--------------------- = ƒ --------------------- ( 3 )
t=0 (1+i)
t+1
t=0 (1+i)
t+1
dove R
t
= ricavi marginali del lavoro al tempo t;
E
t
= costi marginali del lavoro al tempo t;
i = tasso di sconto di mercato;
n = numero dei periodi.
La condizione di massimizzazione dei profitti espressa dalla
relazione (2) viene generalizzata: il valore attuale del flusso dei
salari deve essere uguale al valore attuale del flusso dei valori
del prodotto marginale.
Se si ipotizza che la formazione venga impartita solo nel
periodo iniziale, si ha:
15
n-1 MP
t
n-1 w
t
MP
0
+ ƒ ------------------ = w
0
+ k + ƒ ------------------- ( 4 )
t=1 (1+ i)
t
t=1 (1+ i)
t
dove MP
0
= valore del prodotto marginale del periodo iniziale;
MP
t
ƒ
t
--------------- = v a l o r e a t t u a l e d e l f l u s s o d e i v a l o r i d e l p r odotto
(1+i)
t
marginale dei periodi successivi;
w
0
= salario monetario corrisposto nel periodo iniziale;
k = spese dirette per la formazione;
w
t
ƒ
t
---------------- = v a l o r e a t t u a l e d e l f l u s s o d e i s a l a r i d e i p e r i o d i
(1+i)
t
successivi.
Se si pone
n-1 MP
t
- w
t
G = ƒ------------------------ e s i s o s tituisce, si ha
t=1 (1+i)
t
MP
0
+ G = w
0
+ k (5).
Definendo il costo-opportunità come differenza fra il valore del
prodotto marginale potenziale e il valore del prodotto marginale
effettivo del periodo di formazione si ha:
MP
0
’
- MP
0
= costo-opportunità