Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
4
La vocazione universale dell’autodeterminazione veniva
decisamente riconosciuta nelle proclamazioni della rivoluzione
francese. Gli ideali rivoluzionari non furono relegati nell’ambito
dei confini francesi: essi ispirarono le lotte dei popoli, condotte
sulla base del principio delle nazionalità, per la liberazione
dall’oppressione straniera.
L'apparizione ufficiale sulla scena politica internazionale del
diritto di autodeterminazione avviene nel corso della Prima
Guerra Mondiale, essa è dovuta da una parte a Lenin, con le sue
"Tesi sulla Rivoluzione Socialista e sul diritto delle Nazioni
all'autodeterminazione", dall'altra al Presidente statunitense
Woodrow Wilson che, per primo, usò il termine pubblicamente
nel 1918, nei suoi "14 punti", su cui si sarebbe dovuta basare la
pace. È da evidenziare, però, che l’autodeterminazione si
concepisce ancora nei confronti di tutti i popoli, non solo di
quelli coloniali, e che emerge solo come principio politico e non
di diritto internazionale positivo, per il quale dovremo attendere
la Carta delle Nazioni Unite.
Il diritto di autodeterminazione non trovò posto nel testo finale
della statuto della Società delle Nazioni, benché fosse stato
presente nei primi due progetti di redazione dello stesso, per il
timore che sulla base di esso si potessero legittimare alcune
pretese secessionistiche.
Nel 1921 una Commissione internazionale, nella decisione sul
caso delle isole Aaland, rigettò decisamente un’interpretazione
“secessionista” del principio: pur riconoscendo che la
maggioranza della popolazione delle isole avrebbe voluto unirsi
alla Svezia separandosi dalla Finlandia, la Commissione gli negò
Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
5
qualunque diritto a secedere.
Accenni al diritto di autodeterminazione ricorrono in documenti
internazionali stilati nel corso della Seconda Guerra Mondiale, a
partire dalla Carta Atlantica dell'agosto 1941.
La Carta della Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26
giugno 1945, negli artt. 1 e 55 consacra la regola secondo la
quale i rapporti tra gli Stati devono essere basati sul principio
dell’uguaglianza dei diritti dei popoli e del loro diritto ad
autodeterminarsi. L’affermazione di questo principio è
universalmente riconosciuta come di fondamentale importanza
per lo sviluppo del diritto internazionale, sebbene la Carta, che
rappresenta un compromesso tra le grandi Potenze, è
estremamente prudente a tale riguardo. Essa, in effetti, non
prevede un diritto dei popoli ad autodeterminarsi, ma un’obbligo
degli Stati a conformarsi a questo principio nei loro rapporti
reciproci. La portata potenziale del principio in questione, d’altra
parte, è largamente ridotta dal fatto che nella Carta delle Nazioni
Unite sono comprese delle disposizioni che vanno in un’altra
direzione. Se ci si domanda quali siano le specifiche situazioni
alle quali si applica il principio di autodeterminazione, ci si
persuade che la risposta data dalla Carta va ben aldilà di quanto è
previsto negli articoli 1 e 55.
È soltanto nel quadro del regime internazionale di tutela, previsto
negli artt. 75 e seguenti, che i popoli non autonomi si vedono
riconoscere il diritto di accedere gradualmente all’autogoverno o
all’indipendenza; di contro, i popoli sottomessi ad un potere
coloniale trovano nella Carta una ragolamentazione differente,
poiché l’art.73 prevede, per gli Stati che amministrano questi
Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
6
territori, l’obbligo più limitato di sviluppare le loro capacità ad
amministrarsi da soli. Per questi popoli, dunque, dopo la
redazione della Carta, non si pone il problema di un diritto ad
ottenere l’indipendenza.
In altre parole, nel sistema delle Nazioni Unite, così come risulta
dal Trattato di San Francisco nel suo insieme, il diritto di
autodeterminazione dei popoli acquista significati differenti in
situazioni differenti: nel contesto di un’amministrazione
fiduciaria (e dunque riguardo ai territori che vi sono sottoposti)
implica il diritto ad accedere all’indipendenza; per i popoli dei
territori coloniali non implica affatto lo stesso diritto.
Per quanto concerne i territori coloniali, l’autodeterminazione ha
acquistato il significato di principio che impone la concessione
dell’indipendenza, attraverso una prassi che ha travolto l’art.73
della Carta. Questo articolo è sembrato ad alcuni inconciliabile
con i citati artt. 1, par.2 e 55; a ben guardare un problema di
conciliazione non esiste, dato che, all’epoca della formazione
della Carta, l’autodeterminazione aveva un significato diverso e
più ristretto: essa era intesa in senso negativo, ossia
semplicemente come obbligo gravante su tutti gli Stati di non
interferire, con minacce o azioni coercitive o pressioni efficaci,
nelle libere scelte, riguardanti governo, costituzione, leggi, ecc.,
operate nell’ambito di Stati stranieri, così coincidendo con il
principio della non ingerenza negli affari di altri Stati, e non in
senso positivo, cioè come obbligo di un Governo occupante un
territorio non suo di lasciare che il territorio medesimo decidesse
circa il proprio destino.
La storia farà giustizia di questa visione restrittiva, ed il diritto
Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
7
delle Nazioni Unite, sebbene formalmente invariato, non potrà
che assorbire rapidamente i cambiamenti profondi intervenuti
nella realtà sociale.
È così che nella ris.1514 (XV) dell’Assemblea generale delle
Nazioni Unite (Dichiarazione sull’attribuzione dell’indipendenza
ai paesi ed ai popoli coloniali) si stabilisce ormai che tutti i
popoli hanno il diritto di determinarsi liberamente, cioè il diritto
di determinare liberamente il loro statuto politico. Non è più una
questione di un semplice obbligo per gli Stati, ma di un diritto
riconosciuto ai popoli in quanto tali; che tale diritto è garantito a
tutti i popoli sottomessi a dominazione coloniale; che può essere
esercitato attraverso l’acquisizione dell’indipendenza o per altre
vie, ma sempre sulla base di scelte dipendenti dall’espressione
libera ed autentica della volontà dei popoli in questione.
Ciò che parte della dottrina ritiene è che la ris.1514 non si occupi
di ogni popolo, ma solamente di quelli sottoposti a dominazione
coloniale. È una verità storica indiscutibile che le Nazioni Unite
hanno contribuito in modo notevole ed estremamente positivo al
processo di decolonizzazione, altrettanto certo è che a poco
sarebbe servita la loro attività in questo campo se i tempi non
fossero stati maturi per il corrispondente periodo storico.
Constatare ciò serve per capire che le Nazioni Unite,
occupandosi in un certo periodo storico soltanto del problema
dell’autodeterminazione coloniale, intendevano non già
affermare una nozione ristretta dell’autodeterminazione, bensì
applicare il principio generale ad una situazione emergente di
estrema gravità: l’oppressione dei popoli coloniali. Non si vuole
negare che in seno agli organi delle Nazioni Unite e in genere
Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
8
nella Comunità internazionale si sia tentato, e si tenti tuttora, di
limitare l’autodeterminazione a certe situazioni ben individuate;
vedremo tuttavia nell’esame della prassi successiva al processo
di decolonizzazione come questo tentativo non possa dirsi
riuscito.
La dottrina appare divisa anche sugli sviluppi del diritto delle
Nazioni Unite successivo alla ris. 1514, alcuni ritengono che non
implichino nessun cambiamento di indirizzo, opinioni contrarie
optano per una visione evolutiva del principio in parola ed una
lettura dei documenti in tal senso. Uno degli esempi più
importanti è la ris.2625 (XXV) dell’Assemblea generale
(Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale sulle
relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati
conformemente alla Carta delle Nazioni Unite) le cui
disposizioni generali, riguardanti il diritto dei popoli ad
autodeterminarsi, sono esplicitamente connesse allo scopo di
«mettre rapidement fin au colonialisme», ma allo stesso tempo
vengono estese ai regimi razzisti ed ai casi di oppressione a
danno di un popolo per opera del suo stesso governo, posti così
sullo stesso piano dei regimi coloniali classici.
Altro elemento innovativo è la forza con cui si sottolinea la c.d.
clausola di salvaguardia, già presente nella ris.1514, posta a
tutela dell’integrità territoriale e dell’unità politica di tutti gli
Stati; in questa nuova formulazione si richiede che questi siano
dotati di un governo che, non operando una discriminazione
fondata sulla razza, il credo o il colore, possa considerarsi
rappresentativo del popolo governato.
Nel dibattito intervenuto nel corso dell’elaborazione della
Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
9
Dichiarazione sulle relazioni amichevoli risulta in modo evidente
che, pur tra molti contrasti e opposizioni, è uscita vincente la
linea tendente a interpretare in chiave universale il contenuto del
principio sancito nella Carta e a sottolinearne l’aspetto sia
politico che economico, sociale e culturale, sia esterno che
interno.
Questa valenza interna, che valorizza la distinzione tra governo,
da un lato, e governati, dall’altro, sancisce il dovere di ogni Stato
di godere del consenso della maggioranza dei sudditi e di
garantire al popolo non solo la possibilità di esprimersi
liberamente circa la propria struttura politica, ma anche di
modificarla qualora esso non si riconoscesse più nel regime
vigente.
In definitiva si riconosce una vera e propria presunzione di
conformità della volontà popolare con quella del governo, nel
senso che l’esistenza all’interno di uno Stato di un regime
rappresentativo del popolo, soddisfa l’attuazione del principio di
autodeterminazione. Ciò deve presumersi fino a prova contraria,
fino a quando, cioè, non appaiono dei sintomi che inducano a
ritenere il contrario.
È così che a partire dalla metà degli anni ’60 le risoluzioni delle
Nazioni Unite tendono ad applicare il diritto di
autodeterminazione non più soltanto a situazioni di dominazione
coloniale ma anche razzista e straniera, estendendo tale
applicazione a casi di oppressione a danno di un popolo ad opera
del suo stesso governo.
In conclusione, la Carta delle Nazioni Unite riconosce il
contenuto universale del principio di autodeterminazione nel
Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
10
diritto di ciascun popolo a vivere libero da qualsiasi tipo di
oppressione, tanto interna che esterna, condizione questa
prioritaria per il raggiungimento di relazioni amichevoli tra gli
Stati membri e per un progresso economico e sociale dei popoli,
fondato su un’equa distribuzione delle risorse a livello sia
internazionale che interno. L’autodeterminazione non è tanto un
obiettivo quanto piuttosto uno strumento utilizzabile in
circostanze diverse per raggiungere fini diversi: si vedrà poi
come, nell’attuale contesto storico, questi fini possano essere
individuati anche attraverso la concreta applicazione che è stata e
viene fatta del principio nell’indipendenza dal giogo straniero e
coloniale, nella liberazione della grave oppressione esercitata in
offesa dei più elementari diritti dell’uomo da una classe
dominante totalitaria, nell’esercizio permanente della libera
espressione della volontà popolare in uno Stato retto da un
governo “democratico” (nell’accezione assunta da questo termine
nell’attuale esperienza storica fondata sulla coesistenza pacifica
fra sistemi politici, economici, sociali e culturali diversi).
Con questo lavoro ci si propone di esaminare come la Comunità
internazionale, attraverso l’ordinamento giuridico che si è data,
abbia interpretato nel tempo il principio di autodeterminazione
dei popoli.
Dal punto di vista del diritto internazionale, in particolare dal
punto di vista della Carta delle Nazioni Unite,
l’autodeterminazione pone varie e non facili questioni.
Innanzitutto, un primo problema che si andrà a risolvere è se
l’autodeterminazione sia materia di diritto positivo o soltanto
principio d’ordine morale e politico. Posto che si tratti di materia
Irene Magistro
Autodeterminazione versus Secessione
Introduzione
11
di diritto internazionale positivo, ci si domanda quali siano, a
livello internazionale, i titolari del diritto corrispondente
all’obbligo di assicurare l’autodeterminazione: i popoli e altre
collettività quali beneficiari del principio ovvero gli Stati e in
particolare gli altri Stati membri delle Nazioni Unite?
Premesso che la materia sia ormai di diritto positivo, si tenterà di
dare risposta anche alla domanda se si tratta di un diritto
universale operante a beneficio di tutti i popoli (e di un obbligo a
carico di tutti gli Stati) ovvero di una situazione di diritto/obbligo
operante solo a beneficio di certi popoli e a carico di certi Stati;
se il contenuto del diritto (e dell’obbligo correlativo) sia di
conseguire l’indipendenza o anche di scegliere e di modificare il
regime politico, economico e sociale.
Ulteriori problemi, quali le modalità di esercizio
dell’autodeterminazione, il ruolo degli Stati diversi da quello
della cui popolazione si tratta (nonché degli organi delle Nazioni
Unite) e la relazione esistente fra l’autodeterminazione dei popoli
da una parte e altri principi volti a tutelare, mediante la regola
che vieta l’uso o la minaccia della forza e altre norme, il rispetto
dell’integrità territoriale e dell’indipendenza degli Stati, saranno
affrontati nel corso di questo lavoro.