7
rischi finanziari
4
. Capital manager, risk manager e treasurer operano così in
maniera del tutto autonoma e separata senza interagire tra loro.
L’obiettivo del presente lavoro consiste nel mostrare la forte correlazione tra le
due funzioni sopraccitate, evidenziando i possibili benefici derivanti dall’adozione
di un modello integrato di assicurazione e finanza, sia per quanto riguarda la
capital allocation che per la gestione dei rischi, approfondendo in modo
particolare le garanzie assicurative utilizzate per sterilizzare il rischio derivante da
ogni singola voce di bilancio.
In questo senso l’opera si articola come segue.
Il capitolo 1 si apre definendo i concetti di rischio e risk management; si prosegue
quindi dimostrando l’influenza che il suddetto rischio ha sul valore aziendale e
proponendo, in particolare, un modello integrato per la gestione dei rischi e
l’allocazione del capitale (insurative model).
I capitoli 2 3 e 4 approfondiscono nel dettaglio i rischi insiti nelle singole poste di
bilancio, fornendo per ciascuna voce le rispettive coperture.
Il capitolo 2 attiene alle voci dell’attivo di stato patrimoniale, soffermandosi in
modo particolare sulla copertura delle immobilizzazioni materiali e dei crediti
commerciali.
Il capitolo 3 attiene alle voci del passivo di stato patrimoniale: esso si apre con
una modellizzazione della struttura finanziaria ottimale e prosegue analizzando in
particolare le coperture dei debiti commerciali, da responsabilità civile e
4
Sono rischi finanziari quelli che derivano dalle attività finanziarie dell’impresa, in
contrapposizione ai rischi operativi che derivano dal business primario che caratterizza l’azienda
stessa.
8
finanziari, approfondendo in particolare le Alternative Risk Transfer Solutions e i
risvolti di Basilea 2 nell’accesso al credito.
Il capitolo 4, infine, attiene alle voci del conto economico, soffermandosi in
particolare sulle problematiche connesse al fatturato (business interruption e
weather derivatives)
9
CAPITOLO 1: Rischio e valore d’azienda
1.1 IL RISCHIO
Il rischio per l’azienda si identifica nell’alea che questa è costretta a sopportare, in
seguito al possibile manifestarsi di eventi (oggettivi o soggettivi, interni o esterni
all’azienda) che ricadono nel suo ambito
5
. Il concetto di rischio ha natura
essenzialmente astratta e dipende dall’impossibilità umana di valutare e prevedere
esattamente l’andamento futuro dell’azienda; tale concetto è diverso da quello di
fattore di rischio, che ha natura concreta e non è modificabile dalle scelte
aziendali.
Per questo motivo, mentre tali fattori non possono essere eliminati, il rischio in sé
stesso può essere ridotto o sfruttato a proprio vantaggio da una gestione aziendale
più efficiente.
In questo excursus preliminare è bene sottolineare altre due precisazioni.
In primo luogo la differenza fra il concetto di rischio e quello di danno: il primo è
l’eventualità di accadimento di un evento negativo, il secondo è la certezza di tale
accadimento. In altre parole, il rischio è una previsione ex-ante del danno, il quale
ex-post potrà verificarsi o meno
6
.
5
Bertini Umberto, Introduzione allo Studio dei Rischi nell’Economia Aziendale, Milano, Giuffrè,
1987, pagg. 10-19.
6
Nel caso in cui ex post il danno non si verifichi non è assolutamente lecito affermare l’inesistenza
del rischio.
10
Infine, è utile ricordare che “rischio” e “incertezza”, spesso utilizzati come
sinonimi, non sono affatto la stessa cosa: il rischio è l’eventualità di un
accadimento negativo di cui è nota la probabilità
7
, al contrario dell’incertezza,
nella quale questa è ignota
8
. I due fenomeni, peraltro, sono strettamente legati:
infatti, se, da un lato l’incertezza è apportatrice di ulteriori rischi, dall’altro il
rischio può assumere i connotati dell’incertezza, qualora le capacità del
management o dell’imprenditore non siano adeguate.
Secondo una prima notazione algebrica, molto generale, il concetto di rischio può
essere assimilabile alla seguente funzione
9
:
()ϑ;XfY = (1)
Dove:
Y = oggetto del rischio;
10
X = fattore di rischio
11
;
ϑ = vettore di altre variabili secondarie.
La derivata prima della funzione rispetto a X, cioè la misura della sensibilità
dell’oggetto di rischio a variazioni del fattore di rischio, definisce il concetto di
esposizione al rischio di cui si parlerà nel prossimi paragrafi.
7
Ed è per questo motivo che il rischio è assicurabile al contrario dell’incertezza.
8
V. Bertini, Op. Cit. pagg. 19-27.
9
Forestieri Giancarlo, Corporate & Investment Banking, Milano, EGEA, 2000, pag. 522.
10
E’ la variabile aziendale esposta al rischio.
11
La definizione e le tipologie sono descritte nel paragrafo seguente del presente lavoro.
11
1.1.1 FATTORI DI RISCHIO
12
I fattori di rischio sono gli eventi esogeni che influenzano il valore di un’attività
aziendale
13
.
E’ possibile suddividere tali fattori secondo molteplici criteri
14
; in questa sede si è
preferito adottare la seguente suddivisione
15
.
I rischi d’impresa si possono suddividere i tre macrocategorie: rischi legati
all’ambiente esterno, rischi inerenti la gestione operativa
16
, rischi inerenti alla I
rischi d’impresa si possono suddividere in tre macrocategorie: rischi legati all
12
La trattazione riguarda in modo particolare gli aspetti del rischio legati all’ambito non
finanziario.
13
In generale un fattore di rischio genera conseguenze negative per qualsiasi tipologia di attività,
sia essa promossa da singoli individui che da aziende. In questa sede si è preferito menzionare
soltanto le seconde in quanto il presente lavoro esula da aspetti concernenti singoli individui.
14
Per approfondimenti vedasi Culp Christopher L, The Risk Management Process: Business
Strategy and Tactics, New York, Wiley, 2001, pagg. 14-26.
15
Tratta da Bazzana Flavio, Potrich Monica, “Il Risk Management nelle Medie Imprese del Nord
Est: Risultati di un’Indagine” ALEA Centro Ricerca sui Rischi Finanziari, Università di Trento,
Working Paper, 2002,pagg. 2-4, in http://www.aleaweb.org .
Figura 1:I fattori di rischio
RISCHI
D’IMPRESA
RISCHI DI
GESTIONE
OPERATIVA
RISCHI DI
GESTIONE
FINANZIARIA
RISCHI LEGATI
ALL’AMBIENTE
ESTERNO
- Danni ambientali
- Innovazione
tecnologica
- Regolamentazione
- Politico
- Business
- Tecnologia
produttiva
- Legali
- Information
technology
- Tasso di cambio
- Tasso d’interesse
- Prezzo attività
finanziarie
- Credito
- Liquidità
- Prezzo materie
prime
12
I fattori di rischio d’impresa possono essere legati all’ambiente esterno, alla
gestione operativa (gestione caratteristica) e quella finanziaria. Ogni categoria è a
sua volta composta da più fattori di rischio.
Nella prima categoria sono compresi i rischi derivanti da danni ambientali, quelli
originati dall’innovazione tecnologica, dalla regolamentazione e dal cosiddetto
rischio paese; per rischio derivante da danni ambientali si intende l’eventualità di
incorrere in perdite o in esborsi di denaro in seguito all’emissione di sostanze
inquinanti o dannose per l’ambiente; per rischio da innovazione tecnologica si
intende il pericolo di una diminuzione della quota di mercato, a causa di
innovazioni di prodotto o di processo attuate dalla concorrenza; per rischio da
regolamentazione si intende la possibilità di modifiche della normativa vigente
17
;
il rischio paese è infine il pericolo di instabilità politiche nei paesi in cui l’azienda
opera.
Nella seconda categoria si trovano rischi di business, legali, di information
technology e legati ai processi produttivi. Il rischio di business è originato da
fluttuazioni dei prezzi di materie prime e prodotti venduti, da variazioni della
domanda, ingresso di nuovi competitors e dal lancio di nuovi prodotti; il rischio
legato ai processi produttivi è il pericolo di business interruption, furti, incendi,
infortuni sul lavoro; per rischio legale si intende il rischio da responsabilità civile
verso clienti, dipendenti e fisco
18
; il rischio da information technology è infine
l’eventualità di perdere dati rilevanti per l’azienda, a seguito di guasti nei
programmi di archiviazione o diffusione di informazioni riservate.
17
Alto rischio in settori altamente regolamentati.
18
Che può comportare una comparizione in tribunale, con i conseguenti costi sia in termini
monetari che di immagine.
13
Nella terza categoria sono inclusi il rischio di cambio, di tasso d’interesse, di
variazione del prezzo di attività finanziarie, di credito (commerciale), di liquidità,
di prezzo delle materie prime. Per rischio di cambio si intende l’eventualità che
oscillazioni avverse del mercato valutario causino riduzioni di fatturato o
variazioni dei rapporti competitivi
19
; per rischio d’interesse si intende il pericolo
che fluttuazioni dei tassi d’interesse aggravino gli oneri finanziari aziendali; per
rischio di credito
20
si intende la possibilità di insolvenza o di un deterioramento
delle condizioni economiche dei debitori dell’impresa; per rischio di liquidità si
intende l’eventuale insorgenza di improvvisi squilibri tra le entrate e le uscite
monetarie. In questa categoria rientra anche la parte di rischio di prezzo delle
materie prime che può essere coperta con l’utilizzo dei derivati
21
.
I fattori di rischio elencati sono quelli principali, ma non gli unici: a seconda della
specificità aziendali possono sussistere anche rischi legati alla perdita di personale
qualificato, di clientela esclusiva, di forniture di alcuni importanti fattori
produttivi, i quali, non meno decisivi dei fattori sopra esposti, dovranno essere
analizzati caso per caso.
Le conseguenze negative derivanti da ognuno di questi rischi può comportare una
riduzione del valore di mercato dell’impresa, una riduzione del cash-flow -ovvero
19
Per tale motivo il rischio di cambio può essere ulteriormente suddiviso in:
• rischio da transazione, ovvero il rischio di riduzione del fatturato a causa dell’apprezzamento
della valuta domestica rispetto alla valuta del mercato estero di sbocco;
• rischio da traduzione, ovvero il rischio di riduzione del fatturato dovuta alla conversione del
venduto in valuta domestica; l’effetto è soltanto contabile, non attiene alla perdita di
competitività;
• rischio economico-competitivo, ovvero il rischio di riduzione della quota di mercato estero
dovuta all’entrata di nuovi concorrenti avvantaggiati dal un cambio favorevole o da una
moneta debole.
20
Nel caso di imprese non finanziarie è rilevante soprattutto il rischio di credito commerciale.Per
debitori quindi si intendono i clienti.
21
L’altra parte abbiamo visto essere parte del rischio di business.
14
un aumento della sua volatilità- oppure può avere un impatto negativo sul conto
economico, sotto forma di riduzioni di fatturato o aumento dei costi
22
.
1.1.2 MISURE DI RISCHIO
Sia la seguente equazione, la funzione di regressione lineare
23
del rischio:
εβα ++= XY (2)
Dove:
α = variazione media attesa dell’oggetto di rischio indipendentemente da
variazioni del fattore di rischio;
β = variazione dell’oggetto di rischio a seguito di una variazione unitaria del
fattore di rischio X. È quindi la misura dell’esposizione al rischio;
ε = componente erratica.
La misura di esposizione al rischio (β), di per sé, non offre alcuna indicazione
sull'incertezza gravante su Y. Da ciò consegue che, per definire la strategia di risk
management più opportuna da perseguire
24
, è necessario passare dal concetto di
esposizione al rischio a quello di quantità ottimale di rischio che l’impresa è
disposta a sopportare con le proprie risorse, ovvero con il proprio capitale.
22
Ceci Francesco, “La Gestione del Rischio Finanziario nell’Impresa Industriale: Cosa ci hanno
Insegnato gli Ultimi Venti Anni”, Working Paper, 2001, pagg. 2-4 in
http://www.notefinanziarie.com .
23
La funzione è tratta da Forestieri, 2000, Op. Cit. pag. 533.
24
Al fine di definire un portafoglio ottimo di attività non soltanto sulla base del rendimento ma
anche del rischio.
15
L’obiettivo delle misurazioni di rischio è, infatti, la verifica della coerenza tra
dotazione di capitale e grado di assunzione del rischio
25
, al fine di fornire
indicazioni utili sia in ambito strategico che a livello di capital allocation
26
.
A questo punto si pone il problema di scegliere quale grandezza quantifichi il
rischio in modo più appropriato: deviazione standard, shortfall probability o value
at risk.
1.1.2.1 DEVIAZIONE STANDARD
27
Utilizzando la notazione precedente, l’equazione della deviazione standard
28
:
() () ()εβ VarXVarYSd +⋅=
2
(3)
Dove:
Var = varianza
La (3) evidenzia che il rischio dipende, oltre che dalla sua esposizione (β), anche
dall’incertezza derivante dal fattore di rischio e dalla componente erratica
29
.
25
Betti Francesco, Value at Risk. La gestione dei Rischi Finanziari e la Creazione di Valore,
Milano, Il Sole 24 Ore, 2001, pag. 207.
26
La tematica della scelta ottimale della struttura di capitale sarà ripresa in seguito.
27
La deviazione standard,ovvero la varianza, è stata la prima misura di rischio, utilizzata per
definire il rischio. Markowitz Harry M, “Portfolio Selection”, Journal of Finance, n° 7, 1952.
28
La funzione è tratta da Forestieri, 2000, Op. Cit.
29
Nel caso in cui la deviazione standard dipenda da due o più fattori di rischio:
()()( )
2121212211
2
22
xxxxxxxxxx
port ρσσββσβσβσ +⋅+⋅=
Dove: ρ = coefficiente di correlazione.
In tal caso il rischio dipende anche dal grado di correlazione dei fattori: tanto più i fattori sono tra
loro in correlati, tanto più il rischio complessivo scende grazie all’effetto benefico di
diversificazione (tale beneficio incide sulla parte di rischio detta sistematica, riducendola)
A tal proposito vedasi Pomante Ugo, Saita Francesco, La formazione dei Prezzi Secondo una
Logica di Portafoglio, 2002 (dattiloscritto in corso di stampa), pag. 217.
16
Tale misura presenta però due svantaggi di non poco conto: in primo luogo si
tratta di una misura di dispersione dalla media sia in positivo che in negativo,
mentre una corretta misura di rischio dovrebbe tenere conto soltanto delle
variazioni negative; inoltre è una misura poco intuitiva e inadatta al linguaggio
utilizzato dai dirigenti ai quali essa si rivolge.
Per questi motivi sono da preferire le misure che seguono.
1.1.2.2 SHORTFALL PROBABILITY
30
La shortfall probability non presenta i problemi della deviazione standard, in
quanto misura la probabilità di mancare un predefinito target return minimo
accettabile; per esempio, si può stabilire di non accettare un posizionamento
strategico dell’impresa che comporti una probabilità superiore al 5% di generare
un cash flow operativo netto inferiore a 10 miliardi nell’orizzonte temporale
predefinito (ritenendo tale somma indispensabile per l’autofinanziamento
dell’impresa stessa).
30
Per una trattazione analitica dell’argomento vedasi: Schubert Leo, “Portfolio Optimization with
Target-Shortfall-Probability Vector”, Konstanz University of Applied Science, Working Paper,
2002; Favero Gino, Vargiolu Tiziano, “Robustness of Shortfall Risk Minimizing Strategies”
Department of Pure and Applied Mathematics, University of Padova, 2001; Kaduff Jochen V,
“Shortfall-Probability-Based Diagrams of Efficient Frontiers”, Swiss Institute of Banking and
Finance, University of Gallen, Working Paper, 1996, in http://www.actuaries.org .
17
Graficamente
31
:
Figura 2: Shortfall probability
Il compito del risk manager è quello di gestire l’esposizione ai fattori di rischio, in
modo tale da minimizzare la probabilità di restare al di sotto del target return
32
.
La shortfall probability, pur avendo il pregio di essere una misura di rischio
intuitiva e al tempo stesso coerente con la logica sottostante alla redazione di un
budget, presenta alcuni svantaggi di cui tenere conto.
In primo luogo, descrive il rischio in modo limitato: due portafogli con la stessa
shortfall probability possono nascondere una distribuzione dei rendimenti
alquanto diversa e una diversa propensione al rischio
33
.
In secondo luogo, è necessario fissare in anticipo il target return minimo; il
problema è che all’inizio di un processo di asset allocation tale dato non è ancora
conosciuto, poiché vengono considerate molteplici alternative di investimento.
Infine, l’elaborazione della soluzione ottimale richiede tempo per i calcoli
34
.
31
Grafico tratto da “Strategic Asset Allocation: Historical Analysis” in http://www.fmpm.ch .
32
V. Forestieri, 2000, Op. Cit. pag. 537.
33
V. Schubert, Op. Cit. pag. 1.
34
Con l’avvento di computer e programmi sempre più potenti, questo problema è ormai
secondario.
18
1.1.2.3 VALUE AT RISK (VaR)
35
Il VaR è la tecnica che, a partire dagli anni ‘90 quando fu ideata, si è
maggiormente affermata come metodo di misurazione del rischio, in quanto è uno
strumento di facile comprensione e divulgazione all’interno dell’azienda, è un
indicatore sintetico, informativo, adatto a tutte le poste di bilancio senza essere
troppo sofisticato
36
.
Il VaR misura il capitale necessario per resistere sul mercato il tempo necessario a
smobilizzare la posizione in caso di perdita. In termini rigorosi si può affermare
che esso misura la perdita massima che può verificarsi, con una certa probabilità,
in un determinato orizzonte temporale (un giorno
37
, una settimana ecc...)
38
.
Graficamente:
35
Per una trattazione più analitica dell’argomento vedasi: Dowd Kevin, Beyond Value at Risk. The
New Science of Risk Management, Chichester, Wiley & Sons, 1998; Betti, Op. Cit; Cherubini
Umberto, Della Lunga Giovanni, Il Rischio Finanziario, Milano, Mc Graw Hill, 2001;
http://polyhedron.it; http://www.tesiinborsa.it .
36
“Conosci il tuo Rischio” http://polyhedron.it .
37
Nel caso in cui l’orizzonte temporale sia un giorno di parla di DEaR (Daily Earnings at Risk).
38
Betti, Op. Cit. pag. 19.
Figura 3: VaR di un'esposizione
f
VaR Loses
19
In termini molto riassuntivi la procedura del VaR richiede la determinazione
dell’orizzonte temporale di smobilizzo, la determinazione del livello di
significatività del VaR (95%, 99%), una rappresentazione sintetica dei flussi di
cassa del portafoglio, una suddivisione di tali flussi in funzione del mercato di
riferimento e delle scadenze –buckets-, la determinazione di un tasso di sconto
con il quale valorizzare il portafoglio, della volatilità e della matrice di
correlazione delle attività in portafoglio.
La grande importanza del VaR sta nel suo utilizzo anche in imprese non
finanziarie esposte a fonti di rischio finanziario: tale misura permette sia di dare
una visione unitaria della situazione di rischio aziendale, che di avere
informazioni circa le diverse fonti di rischio, consentendo l’allocazione ottimale
del capitale alle singole business unit
39
.
Come ogni modello, anche il VaR presenta alcuni problemi.
In primo luogo, in portafogli con un elevato numero di titoli diversi esiste un
trade-off tra l’esigenza di una rappresentazione sintetica e la necessità di
conservare una misura informativa del rischio (a tal proposito, per ridurre la
dimensione del problema può essere utile l’utilizzo di cluster analysis, analisi
fattoriali o reti neurali
40
).
In secondo luogo, esiste il problema della non normalità della distribuzione delle
perdite
41
: se, come avviene, nel calcolo si utilizza per semplicità una distribuzione
normale, occorre tenere presente che le probabilità di eventi estremi è
39
“Value at Risk: Questioni di Frontiera” in http://polyhedron.it .
40
“La maledizione della Dimensione” in http://polyhedron.it .
41
E’ evidente anche a livello grafico che la distribuzione è positivamente asimmetrica e presenta
una coda destra spessa.
20
sottostimata
42
(per evitare il problema è possibile calcolare il VaR con il metodo
della simulazione storica).
Infine, all’interno del portafoglio possono essere presenti attività finanziarie dal
payoff non lineare (per esempio opzioni)
43
.
Tra le tre grandezze sopra menzionate la priorità spetta al metodo del VaR, sia in
quanto è la misura generalmente più utilizzata dalle imprese finanziarie e non, sia
in quanto essa è coerente con la definizione di capitale accolta nel presente lavoro:
esso non è più considerato come mera dotazione di avviamento, bensì come scorta
di risorse atta a fronteggiare le manifestazioni di rischio
44
.
È bene puntualizzare, però, che il VaR è soltanto uno strumento al servizio del
risk manager utile per ridurre la complessità delle variabili e per il confronto di
diverse strategie, che si limita a manifestare l’esistenza del rischio senza
annullarne gli effetti negativi. Per questo motivo è da considerarsi il punto di
partenza (non quello di arrivo) di una riorganizzazione dei processi decisionali
che valorizzi anche la gestione dei rischi e non solo la massimizzazione dei
profitti.
Il VaR inoltre ben si adatta alla visione di integrated risk management accolta nel
presente lavoro
45
, essendo un numero unitario che può abbracciare e riassumere in
sé tutte le diverse manifestazioni di rischio dell’impresa.
42
“Code Grasse” in http://polyhedron.it.
43
. “Payoff non Lineari” in http://polyhedron.it.
44
Betti, Op. Cit, pagg. 209-213.
45
Cfr. § 1.2 del presente lavoro.