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(catastici e relazioni su indagini boschive) per creare un nesso cronologico tra il
“prima” e il “dopo”. Solo in tal modo, infatti, è possibile tracciare un trend del
processo di erosione boschiva nella seconda metà del Settecento e compararlo
a quello relativo agli anni ’90 del secolo.
Inizialmente mi sono soffermato sui manoscritti e sulle miscellanee esistenti nel-
la Biblioteca comunale di Treviso, grazie ai quali ho acquisito diverse notizie re-
lative alla persona di Ascanio Amalteo, figura centrale di questa tesi. Successi-
vamente ho spostato le mie indagini nell’Archivio di Stato di Venezia dove ho
trovato la maggior parte del materiale di studio. I fondi da me consultati sono
stati principalmente “Amministrazione forestale veneta”, “Senato, Inquisitorato
Arsenal” e “Ispettorato generale ai boschi”, ai quali ho affiancato l’analisi dei ca-
tastici Surian, Contarini e Gradenigo.
Le motivazioni principali che mi hanno spinto verso una tesi d’archivio sono det-
tate da una personale propensione verso le tematiche ambientali e la curiosità
nei confronti di notizie inedite sulla storia della mia provincia di appartenenza;
non va dimenticato, poi, l’interesse suscitato dall’esperienza stessa della ricerca
d’archivio, per me inusuale.
Infine vorrei evidenziare i confini delle mie indagini, che si soffermano appro-
fonditamente solo nel breve periodo che va dal 1792 al 1800 lasciando peraltro
aperti alcuni dubbi e incertezze, soprattutto per quel che concerne i cinque mesi
dell’esperienza democratica; a ciò si aggiunga la mia inesperienza nello svolge-
re tale genere di ricerche che, per quanta diligenza mi sia concessa, può essere
fonte di errori ed imprecisioni.
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CAPITOLO PRIMO
ASPETTI STORICO – GEOGRAFICI
1 – Il contesto
a. I luoghi
Le vicende trattate in questa tesi si svolgono nella Repubblica di Venezia e,
precisamente, nel territorio della Trevisana. In passato questa provincia era,
sotto l’aspetto geografico ed amministrativo, abbastanza diversa da oggi. Essa
era formata dall’attuale provincia di Treviso, estesa da Noale fino al fiume Li-
venza, e comprendente parte delle prealpi dolomitiche, la regione collinare che
la precede, e parte dell’alta e della bassa pianura veneta. Oltre a ciò, nella Tre-
visana erano compresi alcuni territori dell’attuale provincia di Venezia e, in
special modo, quello mestrino. Nel Piano per Trevisana e Friuli, che costituisce
l’asse portante della riforma boschiva approvata dal Senato della Serenissima
nel 1792, la provincia di Treviso, come quella del Friuli, è divisa in due riparti:
Trevisana Alta e Trevisana Bassa; ogni riparto in quattro distretti, «di varia di-
mensione e di vario numero di campi a bosco». La Trevisana bassa comprende
i distretti:
1) dell’alta Mestrina,
2) di San Civran,
3) di Musestre,
4) della bassa Mestrina.
La Trevisana alta invece è formata dai quattro distretti:
1) della Motta,
2) di Portobuffolè,
3) d’Oderzo e Conegliano,
4) dell’Asolana.
Per quanto riguarda il Friuli, non essendo direttamente oggetto di questo studio,
rimando al terzo capitolo della parte seconda, che tratta in modo approfondito il
Piano di riforma.
7
I boschi di rovere sono l’oggetto di questa riforma e si trovano un po’ ovunque:
sui monti, sulle colline, ma soprattutto nella vasta pianura alluvionale, distinta in
alta e bassa, cioè a monte e a valle delle risorgive. Tuttavia, il territorio più ricco
di rovereti è quello della bassa pianura, contraddistinto da un terreno argilloso-
umido particolarmente adatto a roveri e farnie. Fin dalle sue origini, Venezia
possedeva un certo numero di boschi, in parte coronali e in parte comunali. I
primi erano riservati al Doge e solo in seguito passarono sotto l’autorità del
Maggior consiglio, mentre i secondi erano affittati o dati in usufrutto alle gastal-
dìe. Successivamente, con l’ingrandimento dei suoi domini, la Repubblica am-
pliò il suo patrimonio boschivo e la direzione generale di tale materia fu affidata
ai rettori delle città, alle podesterie e a varie magistrature.
La città lagunare, avvertendo da sempre la scarsità di legname come un perico-
lo da evitare in ogni modo, delineò gradualmente una rete organizzativa che si
occupava del taglio, del trasporto e, in generale, della gestione del legname.
Tale organizzazione tuttavia, pur restando ineguagliata nella storia, fu difettosa
fin dai primordi e tale rimase, nonostante i molti tentativi di riforma, fino agli ul-
timi anni della Repubblica, rivelandosi talora difficilmente gestibile per la man-
canza di coerenza politica, per i continui conflitti tra Stato e comuni e per una
generale e diffusa corruzione.
Di fronte alle difficoltà amministrative, il Senato decise, con la legge 4 dicembre
1452, di abbandonare ai rispettivi comuni tutti i boschi e il loro governo, sotto
condizione di fruirne in comune e nel rispetto del legname per uso pubblico. Ta-
le legge fu infelice, poiché, non solo non risolse i problemi, ma, anzi, aggravò la
penuria di legname negli anni seguenti. Così il Senato decise di riunire tutti i po-
teri in materia boschiva nelle mani di una sola persona e nel 1458 fu creata la
carica di Provveditore alle legne e boschi, che nel giro di breve tempo acquistò
un grandissimo potere.
Nonostante, però, questo andirivieni di appartenenza e di responsabilità, la si-
tuazione rimase a lungo incerta e poco stabile, infatti:
«Ancora all'inizio del XVI secolo, paludi e acquitrini occupano gran parte del territorio compreso
tra il Piave e il Livenza, solo interrotti qua e là da pascoli e boschi. Queste terre ancora incolte
erano di proprietà pubblica e venivano sfruttate dai residenti dei villaggi limitrofi […]. In questa
congerie di confini era difficile stabilire ove terminassero le giurisdizioni dei vari villaggi e così
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tutti quei sudditi avevano il diritto di sfruttare in comune le risorse che la palude poteva offrire.
Nello Stato di Terraferma, ma specie nella Trevisana, la Repubblica di Venezia aveva rivendica-
to a sé il diretto dominio di tutti i terreni destinati ad uso pubblico, lasciandone però l'usufrutto
perpetuo a quelle comunità di villaggio che da sempre vi avevano condotto al pascolo i propri
animali o vi avevano tagliato legna ed erba. Nel Veneto questi fondi prendono il nome di beni
comunali e non possono essere ridotti a coltura, ma devono rimanere a pascolo e a bosco. E’
del 1605 un ordine di censimento di tutti i beni comunali del Trevisano e del Friuli, che fruttò una
serie di mappe che rappresenta la più antica rilevazione cartografica di una certa sistematicità
del nostro territorio»
1
.
Anche questi atteggiamenti altalenanti e poco incisivi resero improcrastinabile,
come in seguito vedremo, la grande riforma del 1792, per mettere ordine defini-
tivamente nella legislazione relativa al patrimonio boschivo. Ordine del quale,
come detto, beneficerà soprattutto il territorio trevigiano, ricco di boschi e quindi
meritevole di particolari interventi curativi e conservativi.
b. I tempi
Se il teatro degli avvenimenti è quello sopra descritto, il tempo in cui essi sono
accaduti è altrettanto chiaramente indicato: a cavallo di due secoli, il XVIII e il
XIX, quando in Europa si verifica un rivolgimento così totale e profondo che an-
cora oggi se ne vedono gli effetti. Più precisamente ci si riferisce alla seconda
metà del ‘700 e i primi anni dell’ ‘800, quando maturano le idee nuove che ave-
va partorito la prima metà del secolo. Dal punto di vista culturale ed intellettuale,
il cosiddetto “secolo dei lumi” è stato il periodo storico che ha sperimentato una
libertà di pensiero fino ad allora sconosciuta e che ha visto nascere da essa
quel cumulo di idee che nel loro insieme presero il nome di Illuminismo. La
scienza e la tecnica divennero argomenti centrali dell’umano pensiero per la lo-
ro utilità sociale. Su queste basi i philosophes del XVIII secolo hanno rivisitato
tutti i campi tradizionali dello scibile e ne hanno altresì esplorati di nuovi, facen-
do nascere nuove discipline di studio tra le quali, per quel che ci riguarda, la
1
MAURO PITTERI, Il "Paludo" comunale di Codognè e la sua riduzione a coltura, in Codognè. Nascita e sviluppo di
una comunità trevigiana di pianura tra Livenza e Monticano, a cura di LUCIANO CANIATO e GIANCARLO FOLLADOR,
Comune di Codogné, 1990, pp. 171-188.
9
selvicoltura moderna
2
che diverrà materia autonoma rispetto a botanica ed a-
graria.
Queste nuove idee furono poi esportate, anche con le conquiste imperiali napo-
leoniche, in tutta Europa ed è proprio Napoleone che, attuando le sue imprese
nel territorio che ci interessa, mise a soqquadro la rinnovata gestione boschiva.
Per causa sua, infatti, la provincia di Treviso, che per secoli era stata alle di-
pendenze della Serenissima, dovette subire un’altalenante dominazione stra-
niera, ora di stampo austro-ungarico, ora francese. All’improvviso, nella prima-
vera del 1797, durante la fortunata campagna d’Italia, Napoleone Bonaparte,
prendendo a pretesto una rivolta popolare scoppiata a Verona, decise la fine
della Serenissima: come è noto infatti, il 12-5-1797, su richiesta del generale, il
Maggior Consiglio dichiarò “dissolto” lo Stato e il Doge Ludovico Manin lasciò il
posto a delle municipalità democratiche, che presero il potere fino alla firma del
trattato di Campoformio (18-10-1797). In virtù di esso il Veneto fu ceduto
all’Austria fino alla battaglia di Austerlitz (2-12-1805), dopo la quale fu incorpo-
rato nel Regno Italico fino al 1814. Con la caduta di Napoleone, il Veneto tornò
a far parte dell’Impero Austro-Ungarico, che lo governò fino alle varie vicende
delle guerre d’indipendenza.
La scomparsa della Repubblica, modificando l’assetto politico del territorio di cui
ci si sta occupando, influì pesantemente sulla gestione dei boschi poiché inter-
ruppe bruscamente l’applicazione della grande riforma che in materia la Domi-
nante aveva elaborato ed approvato nel 1792. Come si vedrà più diffusamente
in seguito, essa fu la prima vera riorganizzazione sistematica che tentò di met-
tere ordine e dare logicità alla difficile e travagliata gestione boschiva.
2
GIOVANNI MARIA MERLO, voce Illuminismo, in Grande Dizionario Enciclopedico, Torino, UTET, 1957.
10
c. Le accademie
Iniziando la lettura del Piano di riforma boschiva suddetto, si scopre subito un
altro elemento, piuttosto raro come circostanza, ma che, nel caso in esame, as-
sume una presenza piuttosto rilevante. E’ la figura dell’Accademia, un tipo di i-
stituzione presente ancora oggi nel panorama culturale del nostro paese, ma
che, nel periodo storico cui ci si riferisce, aveva una importanza molto più ac-
centuata. Si scopre infatti che i Sopraintendenti, che dovranno applicare sul ter-
ritorio le disposizioni impartite da quella legge, saranno scelti dalla preposta au-
torità per ballottaggio tra una quaterna di nomi, di propri soci e non, proposta
dalle Accademie di Treviso e di Udine per la provincia di competenza. Gli ele-
menti, dunque, che costituiscono l’argomento della presente ricerca, la figura di
Ascanio Amalteo e lo stato dei boschi trevigiani, così come si delinea dalle varie
relazioni fatte da lui e dai suoi assistenti, hanno uno stretto legame con
l’Accademia di Treviso. Amalteo viene nominato nella carica di Sopraintendente
ai boschi della Trevisana in quanto membro di quell’accademia, e la competen-
za necessaria per esercitare autorevolmente tale carica gli viene proprio dalla
partecipazione, per anni, ai dibattiti interni alla stessa, oltre che dalla cultura
specifica acquisita con studi ed esperienze personali.
L’Accademia di Treviso, chiamata poi Ateneo di Treviso, non ebbe lunga vita:
era nata infatti “solo” nel 1769, a differenza di tante altre, anche del Veneto, che
avevano un’esistenza secolare. Questo tipo di istituzioni infatti esisteva fin dal
‘400, quando era in auge il movimento culturale dell’Umanesimo. Col tempo di-
ventarono numerosissime e spuntarono come funghi anche nei centri più sper-
duti. Il Maylender, nella sua opera monumentale
3
, ne elenca ben 2750 in tutta
Italia, la maggior parte delle quali esiste nel ’600 e ‘700. Gli argomenti affrontati
nelle adunanze periodiche rivelavano una netta prevalenza di temi di carattere
letterario, filosofico e teologico.
3
MICHELE MAYLENDER, Storia delle Accademie d’Italia, 5 voll., Bologna-Trieste, 1926-30, (ristampa anastatica Bolo-
gna, Forni, 1976).
11
Così andarono le cose fino ai primi decenni del ‘700, quando l’’atmosfera dei
nuovi fermenti culturali del secolo dei lumi come pure le pressioni da parte dei
governi spinsero le accademie a cambiare il loro indirizzo arcadico-letterario,
avente come unico scopo il diletto spirituale, in obiettivo prettamente scientifico,
con finalità soprattutto pratiche: lo scopo ben preciso era quello di elaborare e
trasmettere conoscenze che non fossero fini a se stesse, ma che potessero es-
sere utili alla società intera. Dovunque furono fondate società agrarie, spesso
all’interno di preesistenti accademie. Le pubblicazioni sul tema si moltiplicarono.
Gli aristocratici si dedicavano appassionatamente ad esperimenti, e se ne di-
scuteva nei salotti. Erano di moda viaggi per conoscere le realtà agricole dei di-
versi paesi. Inoltre la larghissima diffusione dei giornali e il proliferare di iniziati-
ve editoriali che si verificarono in questo stesso periodo contribuirono notevol-
mente alla capillare diffusione del sapere nella società civile.
Le accademie, in Italia, ebbero però una storia diversa e affatto particolare ri-
spetto a quelle d’Oltralpe. Infatti, mentre in Francia e in Inghilterra, rispettiva-
mente, l’Académie des Sciences e la Royal Society costituivano un punto di ri-
ferimento e assolvevano al ruolo di coordinamento delle società di cultura
dell’intero territorio nazionale, in Italia si assisteva ad una diffusione polverizza-
ta delle accademie nella provincia, senza però un centro unificatore capace di
ergersi a faro delle stesse.
Alla fine del secolo XVIII la Rivoluzione spazzò via la lussureggiante vegetazio-
ne accademica, lasciando comunque in vita i sodalizi più saldi e più seri che,
opportunamente riorganizzati e col sostegno dei vari governi, ebbero una voce
ben più autorevole nella cultura nazionale.
L’Accademia di Treviso era nata realmente nel 1768, l’anno cruciale per la na-
scita di parecchie accademie agrarie dentro i confini dello Stato veneto. In tutta
la Repubblica della Serenissima, si attivarono, grazie alllo stimolo governativo,
complessivamente 19 accademie, di cui circa la metà nel solo territorio veneto.
Sull’esempio di quella udinese, la più antica, sorsero le accademie di Rovigo,
Belluno, Conegliano, Vicenza, Verona, Padova, Bergamo, Brescia, Salò, Trevi-
so, Bassano, Feltre e Crema. Ma quella di Treviso iniziò la sua attività con len-
tezza, al punto che i Deputati all’agricoltura dovettero sollecitare l’avvio delle at-
12
tività; trascorse i primi anni di vita in modo alquanto stentato; uscì da un profon-
do letargo solo sul finire degli anni ’80, cioè dopo quasi vent’anni dalla sua fon-
dazione, quando il 26 marzo 1788 il sodalizio ottenne finalmente dal Senato i
150 ducati del finanziamento pubblico, che, assieme all’ingresso di nuove forze
intellettuali, pose le basi per il suo rilancio.
La particolarità di questa società agraria consisteva nel fatto che i soci principali
erano in gran parte intellettuali, uomini del clero, nobili, i quali fino a quel mo-
mento erano rimasti ai margini delle vecchie istituzioni culturali. E’ in questi indi-
vidui che si identifica la storia dell’accademia, soprattutto perché la sua attività
istituzionale fu alquanto stentata, discontinua e poco incisiva sulla realtà circo-
stante. Fra i più autorevoli membri Marco Fassadoni, che tradusse e divulgò
molti testi agronomici, Melchiorre Spada, che si distinse per l’impegno
nell’educazione dei contadini e per alcune traduzioni, Angelo Natale Talier, Lo-
renzo Serafini, Giovan Maria Astori, ma, soprattutto, Ascanio Amalteo, futuro
Sopraintendente ai boschi della Trevisana, e i suoi futuri Assistenti, rispettiva-
mente per la Trevisana alta e bassa, Bernardino Conte e Nicoletto Gasparini.
Non fu solamente l’Accademia di Treviso, però, a condurre agli inizi una vita
grama: ce ne furono parecchie altre. Praticamente tutte le associazioni lamen-
tavano gli stessi problemi di natura finanziaria, poiché i contributi al sostenta-
mento provenivano solo ed esclusivamente dalle tasche dei propri soci. In effet-
ti, mentre alcune accademie riuscivano a dare dei validi contributi attraverso le
memorie dei loro soci, mantenendo pure una discreta gestione economica, al-
tre, o per la scarsità della produzione intellettuale, o per la sfortunata posizione
territoriale che le metteva in diretta competizione con “sorelle” più autorevoli,
stentarono alquanto. Alcune scomparvero nel giro di alcuni anni, altre tennero
duro in attesa di nuove forze intellettuali e del sussidio statale a lungo agogna-
to, che pure arrivò, anche se decisamente tardi.
Venezia aveva sempre posto mano ai singoli problemi creando delle magistra-
ture ad hoc, secondo una logica frammentaria e settoriale, e l’idea di elaborare
un sistema organico di leggi che regolasse l’intero settore agricolo aveva tarda-
to a farsi strada. Il primo ambizioso tentativo di riforma fu quello del 1755 relati-
vo alla provincia dalmata dove, nel 1767, fu fondata l’accademia economica di
13
Spalato. Ma solo nel 1768 si ebbero i primi segnali di movimento, che tuttavia
non partirono dal centro, bensì da una magistratura di secondo Piano come i
Provveditori alle Beccherie: questi, lamentando la cronica scarsità di bovini, in
una scrittura dell’8 giugno dichiararono la volontà di avvalersi della competenza
del professore di agricoltura Pietro Arduino per un’indagine generale nelle cam-
pagne dell’entroterra. Il 27 agosto l’Arduino presentava la sua relazione ai
Provveditori: essa rappresentava il culmine di un decennale movimento di di-
scussioni e di idee penetrate dall’Europa, diffusesi entro lo stato veneto e adat-
tatesi alle sue peculiarità. Problemi importanti come le svegrazioni dei monti, il
dissesto idrogeologico, il pensionatico o ius pascendi, l’impianto di colture allo-
gene, la penuria di prati e di buoni foraggi, la scarsità di concime naturale, veni-
vano finalmente affrontati in maniera organica.
Da quel momento, in politica agraria, sarebbe stato tutto un susseguirsi di leggi,
decreti, interventi normativi di diversa natura. Alla scrittura che i Provveditori al-
le Beccherie presentarono al Senato seguì il decreto del 10 settembre 1768 col
quale il Senato dava una svolta alla materia, riconoscendo che l’unico modo per
conseguire l’obiettivo di una profonda riforma dell’agricoltura era la diffusione
più ampia possibile della nuova cultura agronomica da conseguirsi,
sull’esempio delle altre nazioni, attraverso le società e le accademie. Il 28 no-
vembre 1768 i Provveditori ai Beni Inculti eleggevano al loro interno i primi due
Deputati all’Agricoltura; il 31 dicembre il Senato eleggeva Giovanni Arduino a
consulente per le marne e il 30 marzo 1769 approvava il primo decreto che pre-
vedeva misure concrete contro le svegrazioni e lo sradicamento dei boschi; l’8
aprile 1769, infine, il Senato incaricava i Deputati all’Agricoltura di stendere il
decreto di nomina di Giovanni Arduino a Sopraintendente all’agricoltura.
Con una circolare del 28 marzo 1770 i Deputati all’agricoltura diedero avvio ad
una ricognizione della realtà accademica dello Stato. Il quadro che ne emerse
era articolato, ma il motivo comune era dato dalle pressanti richieste che prove-
nivano da tutta la terraferma veneta affinché le locali accademie agrarie fossero
sostenute dal governo. Il 3 agosto dello stesso anno i deputati suddetti rimarca-
vano sia l’impossibilità di consolidare le giovani accademie senza l’aiuto dello
Stato, sia l’illusione di vederne nascere di nuove affidandosi al solo sostegno
14
dei privati. La risposta del Senato non tardò ad arrivare e il primo settembre
1770 fu suggellato il decreto che accoglieva i principi ispiratori delle scritture dei
Provveditori e dei Deputati all’agricoltura, favorevoli al finanziamento pubblico
delle accademie.
Fra il 1772 e il 1774, inoltre, venne pubblicata, per iniziativa statale, la traduzio-
ne italiana di una parte del Traité des bois et des forêtes di Henri Duhamel,
l’opera più importante ed esaustiva in materia forestale
4
.
Le prime accademie ad ottenere il pur magro finanziamento di 150 ducati annui
ciascuna furono Udine, Padova, Vicenza, Verona, Belluno e Rovigo, seguite nel
1772 anche da Brescia e Conegliano. Era chiaro che il principio discriminante
per ottenere il sussidio si basava proprio sulla maggiore o minore attività dimo-
strata dalle singole società e sulla loro capacità di contribuire in modo originale
all’espansione delle conoscenze agronomiche. Fu proprio per questo motivo
che Treviso dovette attendere fino al 1788 per vedersi riconoscere il contributo.
Le sofferenze dell’accademia trevigiana, tuttavia, furono anche altre. La vici-
nanza geografica con Conegliano creava da tempo una pericolosa competizio-
ne tra le due cittadine. Infatti, mentre Treviso era il naturale centro politico e
amministrativo di tutta la Marca, Conegliano assumeva, a Settecento inoltrato, il
ruolo di riferimento privilegiato del piccolo territorio pedemontano compreso
nell’antica diocesi di Ceneda. Se a ciò aggiungiamo il fatto che l’Accademia di
Conegliano fu tra le più vivaci e produttive dell’intero dominio veneto, mentre
quella trevigiana uscì da un profondo letargo solo sul finire degli anni ’80, pos-
siamo ben immaginare la rivalità che doveva esserci tra i due centri.
Anche a Conegliano c’era infatti una accademia agraria , nata nello stesso anno
di quella trevigiana, ma sulle basi della vecchia Accademia degli Aspiranti, fon-
data nel 1603. Questa era ormai in crisi, ma il suo vecchio blasone rendeva or-
gogliosi tutti i trenta soci, che furono ascritti al nuovo sodalizio e la loro attività
continuò di fatto su un doppio binario. In più vennero eletti altri membri esterni,
cosicché il 28 agosto 1769 furono designati i primi 59 soci, ordinari e onorari. Il
numero dei soci oscillò variamente, ma è certo che, nel trentennio di vita
4
ANTONIO LAZZARINI, Boschi e legname. Una riforma veneziana e i suoi esiti, in L’area alto-adriatica dal riformismo
veneziano all’età napoleonica, a cura di Filiberto Agostini, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 103-131: anche in “Archivio ve-
neto”, serie V, vol. CL, (1998), pp. 93-124.
15
dell’accademia, furono aggregati 54 soci ordinari e delle 153 sedute ben 119 fu-
rono dedicate alla discussione esclusiva di temi agrari. La composizione sociale
della società agraria, simile a quella di tutte le altre, si caratterizzava per la pre-
senza e il forte impegno di elementi appartenenti al basso clero cittadino (se ne
contavano ben trentacinque); buona ma più defilata era anche la partecipazione
della nobiltà locale, contraddistinta, rispetto al patriziato veneziano, dal posse-
dimento di quote fondiarie di media grandezza che incoraggiavano ad avviare
sperimentazioni agronomiche mirate all’aumento della produttività. Bisogna ri-
conoscere infatti che le figure di spicco della nuova accademia di Conegliano
furono proprio dei nobili fra i quali Francesco Maria Malvolti, Pietro Caronelli, la
figura più importante dell’istituzione Coneglianese, Ottavio Cristofoli, che sarà
nominato Ispettore ai boschi per il distretto di Conegliano con decreto del 27
settembre 1792 a parziale modifica del Piano di riforma forestale del 22 marzo
1792.
Per dare l’idea dell’intensa attività dell’Accademia di Conegliano, basta ricorda-
re alcuni dei concorsi che furono banditi: uno sui beni comunali, uno sul miglior
modo di coltivare il frumento; nel 1776 quello sui surrogati dell’ulivo, nel 1777
quello sui foraggi e i bovini, nel 1779 quello relativo ai danni provocati dalle e-
sondazioni dei torrenti. Sempre in quell’anno fu pubblicato il quesito sulla vento-
lana
5
e sul gesso, argomento di cui il maggior esperto vivente era appunto
l’accademico coneglianese Ottavio Cristofoli. Volendo tracciare un bilancio del
trentennale operato dell’accademia di Conegliano, bisogna riconoscere che il
giudizio è abbastanza positivo: a parte i limiti insormontabili cui si trovava di
fronte l’agricoltura coneglianese, parziali miglioramenti sono effettivamente stati
conseguiti, soprattutto per quanto riguarda l’incremento del patrimonio zootec-
nico e l’estensione del comparto foraggero.
Chiudendo il discorso sul ruolo delle Accademie venete nel periodo di interesse
della nostra ricerca, dobbiamo osservare che, come sopra detto per le accade-
mie in genere, non si può disconoscere l’importanza che quel tipo di società
ebbe nello sviluppo scientifico-pratico dell’agricoltura veneta. Nonostante le dif-
5
La ventolana è una pianta che veniva indicata per le sue qualità miglioratrici dei terreni, il gesso invece veniva dal Cri-
stofoli erroneamente considerato un concime, mentre in realtà i benefici ottenuti dal suo uso in agricoltura erano dovuti
alle sue capacità di modificare il PH del terreno.
16
ficoltà organizzative e finanziarie e la sostanziale stazionarietà del settore agra-
rio, gli uomini che diedero vita a quei sodalizi riuscirono a smuovere una sta-
gnazione secolare e ad iniziare, pur tra mille incertezze, la diffusione e
l’applicazione pratica delle nuove idee che il ‘700 illuminato proponeva. Ma so-
prattutto la loro presenza nel territorio riuscì a persuadere il potere politico della
assoluta necessità di competenze specifiche in un settore come quello foresta-
le, già gravemente compromesso e al limite del collasso.
Si stabilisce, infatti, nella nuova legge del 1792, che le persone destinate alle
più alte cariche di nuova istituzione, Sopraintendente e Assistente, devono es-
sere proposte dalle Società agrarie delle Accademie, che dimostrano così la lo-
ro utilità e competenza, acquisita con anni di studi e di ricerche dei propri soci.
E’ un nuovo metodo di elezione che tiene conto di quanto era stato suggerito da
tutti coloro, in primo luogo Andrea Giulio Corner, che erano stati incaricati di i-
spezionare il patrimonio boschivo e di suggerire utili proposte.
Tali atti del legislatore mettono in evidenza quanto sopra affermato, che cioè fi-
nalmente la voce della scienza era arrivata al posto giusto: il potere centrale.