2
minoranza contro eventuali abusi, di concedere stabilità all’amministrazione
e di tutelare di fronte ad essa l’interesse del singolo azionista”. Davanti a
questi nuovi istituti, sostiene l’Autore, “interprete e legislatore, né possono
essere indifferenti, né possono seguire il facile partito della condanna
assoluta. Interprete e legislatore, devono, ciascuno nel proprio ambito,
inquadrare via via i nuovi fenomeni in un sistema che riesce così
perennemente rinnovato. Ed è certo preferibile, che i nuovi istituti siano
riconosciuti e disciplinati nell’ambito della legge, che non che essi,
ufficialmente condannati, seguitino tuttavia ad essere usati nella pratica,
nell’anarchia della mancanza d’ogni disciplina e d’ogni controllo. Che è la
necessaria conseguenza del loro misconoscimento”
1
.
L’espressione contratti parasociali è stata invece coniata nel lontano 1942,
da Giorgio Oppo, nel primo studio sull’argomento, ove sono definiti come
quelle convenzioni con cui i soci, od alcuni di essi, attuano un regolamento
di rapporti, non conforme o complementare rispetto a quello previsto
dall’atto costitutivo o dallo statuto della società
2
.
Nel comune sentire giuridico, la locuzione utilizzata da Oppo ha scolpito
con tale incisività la fattispecie in esame, da essere stata fatta propria dalla
dottrina e dalla giurisprudenza successiva, pur essendo a volte utilizzati, al
posto del termine contratti, gli analoghi termini di patto, convenzione o
accordo.
1
Citazione ripresa da Fois C., Sindacati di voto e corporate governance: un problema tra
ordinamento e sistema della società per azioni, in Governo dell’impresa e mercato delle regole,
Scritti giuridici per Guido Rossi, Giuffrè, Milano, 2002, Tomo I, p. 235.
2
Oppo G., Contratti parasociali, Milano, Vallardi, 1942, ora in Diritto delle società, Scritti
giuridici, II, Cedam, Padova, 1992, p. 4.
3
Il vantaggio di questo termine è proprio quello di richiamare varie
tipologie d’accordi, che concretamente legano i soci tra loro. Una
molteplicità di fattispecie negoziali, a volte atipiche e con contenuto diverso,
attraverso cui i soci dispongono, con un contratto, dei diritti che derivano
loro dall’atto costitutivo, impegnandosi vicendevolmente ad esercitarli in
modo programmato. In altre parole, quando i soci regolano al di fuori
dell’atto costitutivo, il comportamento da tenere nella società o verso la
società
3
.
La questione sui patti parasociali non ha mai perso il carattere d’attualità e
di rilievo. Anzi, con il passare del tempo, attualità e rilievo sono andati via
rafforzandosi, specie da quando la forza della pratica non ha più avuto
l’opposizione della dottrina e della giurisprudenza, rovesciando l’originario
atteggiamento negativo che caratterizzava sostanzialmente la nostra cultura.
Così, in un arco di tempo ormai secolare, che attraversa generazioni di
giuristi, la dottrina ha sempre tentato di dare un giudizio sulla validità di tali
accordi, mentre la giurisprudenza si è preoccupata di garantirne la
trasparenza, considerando l’esame delle singole tipologie di patto. Si è
sempre lavorato cercando di giungere alla definizione di un quadro generale
della materia dei patti parasociali, partendo dall’esame dei casi concreti di
volta in volta sottoposti all’attenzione di giudici e studiosi. Operazione
compiuta, senza che vi fossero espresse disposizioni di legge sull’argomento.
Il legislatore del codice civile del ‘42, si era astenuto dal disciplinare la
delicata materia degli accordi di sindacato.
3
Campobasso G.F., Diritto Commerciale 2, in Diritto delle società, UTET, Torino, 1995, p. 47
4
La molteplicità dei casi, di cui si sarebbe dovuto tener conto, ha spinto i
redattori del codice a non dettar legge sull’istituto in argomento, ma ha
lasciato che il giudizio sulla sua liceità si potesse esprimere caso per caso.
Perciò, un giudizio che “spetta più al giudice che al legislatore”
4
, proprio
perché dipende dall’esame delle singole situazioni.
La Relazione al Re sul codice civile evidenzia la voglia di sfuggire da una
certa presa di posizioni in tema, evidenziando l’imbarazzo di chi si trova in
mezzo a due fuochi: la tradizionale ed un tempo dominante convinzione
contraria ai patti parasociali, da un lato e dall’altro, l’aspettativa che il
sistema giuridico-economico e le opinioni si sarebbero sviluppate verso un
inverso atteggiamento d’apertura e di approvazione per tali patti
5
.
Tuttavia, dopo un lungo periodo di silenzio, è stato necessario porre in
discussione le conclusioni a cui sembravano essere giunte dottrina e
giurisprudenza, e ciò a causa del rinnovato interesse del legislatore per
l’argomento
6
.
4
Così recita la Relazione al Re sul codice civile, n. 972. Il Ministro Guardasigilli, prosegue
affermando: “Poiché il nuovo codice vieta al socio di esercitare il diritto di voto nelle deliberazioni
in cui egli ha un interesse in conflitto con quello della società…il giudice può trovare già in questa
norma una direttiva sull’apprezzamento della liceità dei sindacati che vincolano il diritto di voto.
Perché le intese cui non si deve indulgere sono specialmente quelle dirette a turbare il processo di
formazione della volontà sociale, determinandola… in senso contrario a quella che sarebbe stata la
presumibile risultanza del libero esercizio del diritto di voto”.
5
Rescio G.A., I sindacati di voto, in Colombo G.E. – Portale G.B. (diretto da), Trattato delle
società per azioni, UTET, Torino, 1994, Vol. III, p. 516.
6
Interesse dovuto al ciclo di crisi che investì l’impresa italiana negli anni settanta e che portò gli
operatori a rivolgere la loro attenzione al mercato mobiliare. Questa apertura al mondo finanziario,
portò da un lato all’aumento degli investimenti, e dall’altro spinse coloro che fino ad allora
avevano controllato le società, a stipulare patti parasociali, per la maggior parte delle volte occulti,
per mantenerne il dominio. Con il decollo della Borsa Valori degli anni ’80, aumenta fortemente la
raccolta di capitale azionario e di conseguenza avviene una riduzione del rapporto tra capitale
investito e capitale controllato. In tale contesto anche in società medie e grandi s’inizia a far ricorso
a patti parasociali per garantirsi la permanenza della situazione di controllo.
5
Infatti, gli ultimi quindici anni, hanno visto un proliferare d’interventi
legislativi, che sempre con maggiore intensità e frequenza si sono occupati di
patti parasociali
7
. Si è passati, da norme abbastanza generiche e settoriali,
applicabili solo in casi molto particolari, a discipline sempre più precise con
contenuti determinati e relativi ad ipotesi sempre più generiche. Si era resa
sempre più necessaria una norma specifica di carattere generale, che
riassumesse le posizioni sull’argomento che parevano finalmente acquisite.
Il provvedimento che si è occupato dei patti parasociali in modo più
rilevante, anche se per una sola categoria di società, è stato il Decreto
Legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58, noto anche come legge Draghi. Oltre
a disciplinare in modo nuovo alcuni aspetti, ha riordinato le numerose norme
in materia di società quotate sparse in varie leggi, abrogando alcune
disposizioni e inglobandone altre nel proprio articolato.
Tutto ciò, porta a conclusione il dibattito che si è acceso in tempi recenti
sulle numerose disposizioni di legge, che ai patti facevano riferimento, in più
materie e a diversi effetti. Nell’intraprendere la sua opera di riforma
dell’ordinamento delle società quotate, il legislatore del Testo Unico aveva
presente non soltanto la situazione normativa previgente, ma anche la realtà
empirica e sostanziale dei patti parasociali.
7
A partire dalla legge sull'editoria (la l. 416/81, il cui art. 2 impone agli azionisti di società
editrici aderenti a patti parasociali, che consentono l'esercizio del controllo, di comunicare il
trasferimento della propria partecipazione), una serie sempre più numerosa di norme legislative ed
amministrative ha fatto esplicito riferimento ai patti di sindacato come elementi costitutivi di
fattispecie produttive di effetti giuridici. Si citano, tra le altre, a titolo solamente esemplificativo e
senza pretesa di completezza, l'art. 37 della legge 223/90 in tema di imprese radiotelevisive; l'art.
26, comma 2, lett. b) del D.Lgs. 127/91 sul bilancio consolidato; il D.Lgs. 83/92 che ha introdotto
l'attuale art. 1, comma 5, lett. f) della legge 77/83 sui fondi comuni d'investimento mobiliare; l'art.
25, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 87/92 in materia di bilanci consolidati delle banche; il D.Lgs.
90/92 che ha introdotto gli attuali artt. 5 -bis, comma 2 e 5 -quater della legge 216/74; l'art. 7 e l'art.
10, commi 2 e 4, della legge 149/92 sulle offerte pubbliche di vendita, sottoscrizione, acquisto e
scambio di titoli; l'art. 20, comma 2, e l'art. 23, comma 2, del D.Lgs. 385/93, Testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia; gli artt. 1, 2, 3 e 8 della legge 474/94 in materia di
privatizzazioni e, infine, l'art. 10 del D.Lgs. 415/96 sui servizi d’investimento.
6
Infatti, nella realtà industriale italiana, tali patti hanno una notevole
diffusione presso le più importanti società quotate e non, ove è frequente che
il controllo passi attraverso lo strumento del sindacato di voto e di blocco.
Utilizzati spesso congiuntamente, questi rappresentano lo strumento preferito
per organizzare coalizioni tra azionisti, dirette ad assicurare il controllo delle
società. In tal modo, sì da quindi la possibilità ai soci sindacati di esprimere
propri amministratori e decidere le strategie della società, delle quali,
diversamente, i singoli soci non sarebbero in grado di disporre.
Una volta predisposto un meccanismo di controllo dell’assemblea
societaria, è solitamente necessario un sindacato di blocco per mantenerlo
stabile, ed evitare quindi che le azioni su cui tale procedimento si basano,
finiscano nelle mani di chi vuole votare liberamente.
Questo articolato scenario economico-imprenditoriale, unito all’aumento
d’importanza del mercato borsistico negli anni precedenti, poneva un
problema politico molto chiaro al legislatore, che si accingeva a riformare il
sistema delle società quotate
8
.
Nei lavori preparatori al Testo Unico, viene ripetutamente espressa
l’intenzione di affermare la centralità del mercato, da un lato, e dall’altro, di
bilanciare tale finalità, con il riconoscimento di un certo grado di
concentrazione e di stabilità nella proprietà delle imprese quotate
9
.
8
A riguardo rileva Ragusa Maggiore G., Trattato delle società, Nuovo diritto societario, vol. II,
Cedam, 2003, p. 120, che è proprio dalla diffusione e dalla frequenza dei patti parasociali che ne è
derivata dopo gli anni sessanta e settanta un miglioramento generale dell’economia italiana, che se
pur produttiva nel senso dell’industria, aveva bisogno di consistenti presenze di società e di accordi
tra società, per arrivare ad una vera e propria esplosione del mercato finanziario e soprattutto
mobiliare.
9
CONSOB, Lavori preparatori per il Testo unico della finanza, in Quaderni di Finanza, Collana
Documenti, Agosto 1998, n. 29, p. 31
7
L’abbandono della concezione del voto come strumento diretto a
perseguire l’interesse sociale, e non del singolo socio, unita con il
superamento del principio della necessaria, libera e spontanea formazione
della volontà del socio in assemblea e, soprattutto, il definitivo chiarimento
della distinzione del piano parasociale da quello sociale, hanno indotto
dottrina e giurisprudenza a riconoscere l’ammissibilità di principio delle
convenzioni parasociali, e a spostare l’attenzione sul contenuto del singolo
patto, al fine di valutarne la liceità
10
.
In particolare, il punto d’approdo agli studi in argomento, è costituito dalla
constatazione che, il giudizio di validità sui patti parasociali deve essere
condotto accertando che il patto sia diretto a realizzare interessi meritevoli di
tutela ai sensi dell’articolo 1322 del codice civile.
Soprattutto per dare rilievo alle nuove realtà del mondo economico, non è
più sufficiente inserire nuove norme di carattere settoriale nel sistema
giuridico, ma bisogna cambiarlo totalmente.
È proprio in questo quadro che, oggi, dopo più di sessant’anni dalla loro
prima teorizzazione, i patti parasociali entrano finalmente ed ufficialmente
anche nel codice civile con la Riforma organica della disciplina delle società
di capitali e società cooperative
11
.
10
Anche se, opinione Autorevole (Rossi G., Le diverse prospettive dei sindacati azionari nelle
società quotate e in quelle non quotate, in Rivista delle Società, 1991, p. 1353 ss.), ha sostenuto
che le convenzioni di voto e di blocco non sarebbero compatibili con le società con azioni quotate
in borsa, in quanto, contrasterebbero con taluni principi d’ordine pubblico che reggono tali società,
quali la tutela dell’investitore medio e la libera trasferibilità delle azioni. L’Autore, allo stesso
tempo, ammette però che tali patti possano essere validi nelle società non quotate.
11
D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che d’ora in poi per comodità chiameremo semplicemente
Riforma.
8
Alla presenza di una riforma di tale portata, non è tanto necessario
ripercorrere le tappe storiche di tali patti, com’esaminare le posizioni assunte
in passato dalla dottrina sulle questioni inerenti alla validità dei patti, o
approfondire la lunga serie d’interventi legislativi in precedenza effettuati in
argomento, quanto fondamentale appare analizzare quelli che sono i patti
parasociali nel diritto positivo vigente.
Quindi, tale lavoro è diretto ad esaminare gli elementi strutturali, i modi
con cui possono essere configurati ed i limiti che ancora si riscontrano,
facendo il punto della situazione, alla luce delle discipline contenute nel
Testo Unico e nel codice civile, rispettivamente per le società con azioni
quotate e non, per meglio comprendere quale evoluzione potrà avere la
tematica oggetto del presente lavoro nel futuro sistema societario italiano.