Introduzione 2
dell’utilità dell’adesione all’unione monetaria e quindi all’euro. Si
analizzeranno poi nel dettaglio i cinque test economici fissati nell’ottobre
del ’97 dal Cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown, come condizione
d’ingresso nell’UEM. Vedremo quali di questi test sono già stati soddisfatti
e quali invece necessitano di essere ancora valutati perché la partecipazione
all’UEM possa essere davvero proficua. Infine, si parlerà della Banca
Centrale Europea alla quale verrà delegata la politica monetaria in caso di
adesione alla moneta unica. In particolare, si analizzeranno i suoi obiettivi, i
suoi strumenti di politica monetaria e si confronteranno con quelli della
Banca d’Inghilterra per stabilire se le differenze tra i due istituti centrali
possano essere determinanti per la decisione sull’euro. Della BCE si
analizzerà anche il deficit democratico, la carenza cioè di rappresentatività
dei governi europei, e quindi dei cittadini, ma soprattutto della mancanza di
sindacabilità delle sue scelte che pone la BCE di fatto al riparo da qualsiasi
responsabilità politica ed economica.
Nell’ultimo capitolo si analizzeranno invece le motivazioni
prettamente politiche che sono alla base della decisione di non partecipare
all’UEM. In realtà, più che l’UEM, gli argomenti affrontati in questo
capitolo riguarderanno l’intera Unione Europea. Le perplessità sollevate dal
Regno Unito circa l’adesione alla moneta unica rientrano infatti in una più
generale diffidenza nei confronti dell’intero apparato comunitario, ritenuto
potenzialmente lesivo della propria sovranità sia normativa che decisionale.
Parleremo del tentativo di instaurare in Europa una sorta di superstate
accentrato, sopranazionale e burocratico, al quale si oppone il Regno Unito,
e non solo, che invece propone il rafforzamento del principio di
sussidiarietà, per salvaguardare i propri interessi nazionali. Ci soffermeremo
poi sulla mancanza di una vera identità europea che impedisce ai paesi
membri di avere una comune visione fondamentale per il successo della
moneta unica. Si farà accenno anche alla Costituzione Europea e della
speranza che questa possa accelerare il processo d’integrazione giunto in
una fase di pericoloso stallo. Molta attenzione sarà data infine al già citato
deficit democratico, questa volta riferito alle altre istituzioni comunitarie,
come il Parlamento, la Commissione, il Consiglio e la Corte di Giustizia,
ritenute non particolarmente idonee a garantire i valori democratici su cui si
basa l’ordinamento britannico.
Il lavoro prevede poi delle conclusioni in merito alle decisioni che il
governo Blair dovrà adottare nel prossimo futuro. Da un parte, l’inevitabilità
di scegliere per l’adesione alla moneta unica per non perdere influenza
all’interno dell’Unione, dall’altra l’accorta valutazione delle conseguenze
economiche che questa decisone comporta e soprattutto dell’impatto che
essa avrà sull’opinione pubblica britannica, per evitare che alla fine
l’Europa si riveli una sorta di boomerang politico che diminuisca il prestigio
che in questi anni Blair si è brillantemente conquistato.
Introduzione 3
Prima di iniziare, mi permetto di far una breve precisazione. E’
probabile che nel momento stesso in cui scrivo la situazione economica e
politica dell’Europa sia già cambiata. Ciò nonostante, gli argomenti di fondo
per cui il Regno Unito ha deciso di non partecipare alla moneta unica
rimangono sostanzialmente immutati, e questo sebbene alcune
considerazioni, alcuni nomi e alcuni dati non corrispondano più alla realtà.
Capitolo Primo
Regno Unito ed Europa: storia di una relazione
controversa.
1. La posizione britannica nel dopoguerra.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa, teatro principale
delle ostilità, esce profondamente devastata ed intere sue aree sono
completamente da ricostruire. Tuttavia, oltre che sotto l’aspetto territoriale
ed economico, in diversi paesi dell’Europa ci si rende conto della necessità
di avviare anche e, soprattutto, una vera e propria ricostruzione politico-
sociale. Ci si rende conto cioè della necessità di intraprendere un processo
di riconciliazione tra i paesi dell’Europa, un continente certamente carico di
storia e di tradizioni, ma capace di scatenare e di essere distrutto in circa
trent’anni
1
da due guerre mondiali maturate proprio nel suo seno e che
compromisero definitivamente la sua leadership mondiale.
2
In questo
contesto storico, l’unità d’Europa si eleva di colpo ad obiettivo prioritario, il
cui raggiungimento garantirebbe il continente contro ulteriori guerre e
miserie.
Uno dei principali promotori di quest’unità è Sir Winston Churchill, il
quale, manifestando in diversi discorsi e in diversi articoli la volontà di
abbracciare sotto un unico obiettivo i popoli europei, dà l'impressione di
poter concretizzare i sogni che già molti filosofi e intellettuali avevano
avuto, senza però averli potuti effettivamente realizzare.
La visione di Churchill della nuova Europa è una sorta di «Stati Uniti
d’Europa, per la cui costituzione si renderebbe necessario ricreare la
famiglia europea, o per lo meno della maggior parte di essa, in modo tale
da poterle garantire di vivere in pace, sicurezza e libertà».
3
1
Con chiaro riferimento alla Guerra dei Trent’anni combattutasi tra il 1618 e il 1648,
Winston Churchill utilizzò la felice espressione «Seconda Guerra dei Trent’anni» per
descrivere il periodo tra il 1914 e il 1945, cioè l’inizio della Prima Guerra Mondiale e la
fine della Seconda, sottolineando il fatto che tra le due guerre, cioè tra il 1918 e il 1939, ci
fu soltanto una pace apparente. PETRONI A.M., CAPORALE R., Il federalismo possibile. Un
progetto liberale per l’Europa, Rubettino, 2000, pag 9.
2
La Prima determinò la perdita a favore degli Stati Uniti dell’egemonia economica e
politica culminata con l’età coloniale, la Seconda generò una vera e propria guerra civile
seminando il germe del nazionalismo nella sua forma più violenta.
3
Il discorso tenuto all’Università di Zurigo nel settembre del 1946 evidenzia più di ogni
altro l’esplicito impegno di costituire un’unione europea. ZURCHER A.J., La lotta per
l’Europa unita 1940-1958, Cultura e società n. 29, Opere nuove, 1963, pag. 43. Per un
approfondimento del discorso di Churchill a Zurigo, si veda anche FARNARARO P., Dalla
Comunità all’Unione €uropea, Edizioni Centro Europeo Jean Monnet, Salerno, 1999, pag.
31 e ss.
Regno Unito ed Europa: storia di una relazione controversa 5
Gli appelli di Churchill, seguito poi da altri uomini politici, hanno un
vero e proprio effetto trascinante. In breve tempo si alimenta un fervore
europeistico di grandi proporzioni che porta prima alla nascita in diversi
paesi dell’Europa Occidentale di numerosi movimenti ispirati alla
realizzazione dell’ideale dell’integrazione europea e successivamente alla
manifestazione continentale più emblematica in favore dell’unità, cioè il
Congresso dell’Europa.
4
Spinta dal suo leader più rappresentativo, la Gran Bretagna mostra
così un approccio di unità in linea di massima coerente con quello degli altri
paesi continentali. Anche la Gran Bretagna, stimolata dalle motivazioni di
grande dignità storica insite nella nobile idea, è interessata dallo stesso
fervore europeistico. Questa apparente unione di intenti presenta però una
sostanziale differenza sia riguardo la tradizionale posizione britannica nei
confronti dell’Europa sia il diverso stato d’animo e le diverse condizioni
oggettive che caratterizzano la Gran Bretagna e il resto del continente
europeo alla fine della guerra.
Riguardo il primo aspetto, la Gran Bretagna conferma il principio
guida che ha ispirato la sua lunga storia millenaria, quello cioè del
mantenimento dell’equilibrio dei poteri sul continente senza però che questo
potesse comportare un serio e duraturo coinvolgimento politico ed
economico con i paesi europei.
5
Riguardo il secondo, la sovranità nazionale dei principali paesi
dell’Europa Occidentale era stata notevolmente messa in discussione visto
che essi, in un modo o nell’altro, erano stati o sconfitti o occupati dallo
straniero, con la conseguenza che l’Europa continentali risulta essere una
sorta di club dei vinti. Viceversa, la forza nazionalista britannica era stata
orgogliosamente preservata durante la guerra per cui, dopo la vittoria finale,
la Gran Bretagna si eleva ad indiscussa potenza europea e mondiale.
Tuttavia, sempre nel rispetto del citato principio, anche l’integrazione
europea sembra una probabile strada da poter percorrere, soprattutto perché
la Gran Bretagna possa riabilitarsi completamente sia in Europa, assumendo
4
Svoltosi all’Aia dal 7 al 10 maggio 1948 vi parteciparono 750 delegati di 16 paesi, oltre
che osservatori e prestigiosi uomini politici del tempo che avevano tutti sposato la causa
dell’unità d’Europa, tra cui Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman, Spaak e lo stesso
Churchill che fu nominato presidente onorario.
5
Riguardo l’Europa, la politica estera inglese è stata sempre orientata ad evitare che un
singolo paese europeo dominasse da solo l’intero continente. La Gran Bretagna, per circa
mille anni, si è vista così costretta a schierarsi prima con uno e poi con un altro paese per
conservare quel balance of powers necessario per la pacifica convivenza europea. In tal
senso, si giustificano le alleanze prima con la Germania contro la Francia napoleonica e poi
con la Francia contro la Germania hitleriana. Ad ogni modo, una volta raggiunto l’obiettivo
la Gran Bretagna si è ritirata nella sua isola «sollevando il ponte levatoio» fino a quando
un’altra minaccia non avesse minacciato la pace in Europa. VILLARI R., Mille anni di storia.
Dalla città medievale all’unità dell’Europa, Laterza, 2002.
Il «no» del Regno Unito all’euro 6
il ruolo di potenza guida, sia nel mondo in modo da poter competere con le
due superpotenze.
6
Il programma del primo governo postbellico, presieduto dal laburista
Clement Attlee vittorioso nelle elezioni del 1945, si orienta così in due
diverse direzioni. Da una parte, si rafforzano i rapporti politici e
commerciali con i dominions - Australia, Nuova Zelanda, Canada, Sud
Africa – per riprendersi dall’indebitamento economico postbellico.
Dall’altra, si mira a ricostruire il potere strategico della Francia in Europa
Occidentale in modo da consentire una maggiore collaborazione tra i due
paesi e il loro riavvicinamento dopo le incomprensioni dell’immediata
vigilia della guerra.
7
Successivamente, il governo nella figura del Ministro
degli Esteri, Ernest Bevin, favorisce un clima di cordialità anche nei
confronti degli altri paesi europei preoccupati soprattutto dell’ideologia
comunista in espansione e alla quale si cerca di contrapporre un alternativo
modello di Europa libera.
8
6
Quando Churchill parlava dell’Europa, degli Stati Uniti, dell’Unione Sovietica e della
Gran Bretagna con il suo Impero e il Commonwealth come dei «quattro principali pilastri
per vivere nel Tempio della Pace», DUFF A., Britain and Europe. The different relationship,
in WESTLAKE M. (a cura di), The European Union Beyond Amsterdam. New concepts of
European integration, Routledge, 1998, pag. 34, egli intendeva proprio la creazione di una
struttura politica internazionale che non ponesse l’integrazione europea al di sopra degli
interessi inglesi nell’Impero e nel Commnwealth. In realtà, questo scenario internazionale
auspicato dallo statista inglese rimase ben presto orfano dell’Unione Sovietica, e dei
quattro pilastri rimase soltanto «uno sgabello a tre gambe» che fu l’origine della dottrina
dei «tre cerchi» perseguita dalla Gran Bretagna nella sua politica europea. ELLWOOD D.W.,
L’integrazione europea e la Gran Bretagna, 1945-57, in RAINERO R.H. (a cura di), Storia
dell’integrazione europea, Vol. I°, L’integrazione europea dalle origine alla nascita della
Cee, Marzorati Editore, 1997, pag. pag. 424.
7
Nel marzo del 1947, venne sottoscritto tra Gran Bretagna e Francia il Trattato di
Dunkerque proprio nella località che vide la disfatta anglo-francese durante la guerra e
dalla quale, quindi, si doveva ricominciare. Il Trattato aveva lo scopo di provvedere ad una
organizzazione militare che evitasse ulteriori aggressioni da parte della Germania. Nello
stesso tempo delineava anche una politica per favorire la cooperazione economica e il
coordinamento dei servizi sociali. Infine, ma non di meno, rappresentava una sorta di
garanzia reciproca in vista di una possibile vittoria del Partito Comunista nelle elezioni
francesi del 1947, prospettiva questa che avrebbe portato, con l’influenza sovietica
direttamente nei porti affacciati sulla Gran Bretagna, ad un’anomalia geopolitica in Europa
Occidentale. Op. ult. cit., pag. 429 e ss.
8
Con il colpo di stato in Cecoslovacchia nel marzo del 1948, l’Unione Sovietica rivelò
chiaramente la politica che avrebbe perseguito nell’Europa dell’Est negli anni successivi.
Tuttavia, il problema dell’espansione comunista era già stata avvertito da Churchill due
anni prima a Fulton nel Missouri, dove denuncia l’esistenza di una «cortina di ferro scesa
da Stettino a Trieste», anticipando così la nascita della «guerra fredda» dimostrando, a
dispetto delle critiche di allarmismo mossegli, una notevole lungimiranza politica. FERRARI
BRAVO L., MOAVERO MILANESI E., Lezioni di Diritto Comunitario, III Ed., Edizione
Scientifica, 2000, pag. 5. In merito all’intero discorso di Fulton, si veda anche GATTEI G.,
Regno Unito ed Europa: storia di una relazione controversa 7
Bevin propone un programma per l’attuazione di misure che
prevedano tra i paesi europei legami economici e politici sempre più stretti,
ipotizzando a tal fine anche concessioni reciproche sino a giungere ad
un’unione doganale a tutti gli effetti. Sebbene sia vaga e personalizzata,
l’idea di Bevin di un’Unione Occidentale è comunque apprezzabile e
significativa. In sostanza, essa rappresenta l’idea di un mercato comune
europeo e costituisce un evento inedito se si pensa che è stata promossa
proprio dal paese accusato negli anni seguenti di ostinata riluttanza ai
progetti d’integrazione europea che di lì a poco verranno presentati.
9
Il
governo britannico sostiene l’iniziativa grazie anche all’appoggio
dell’opposizione conservatore e dello stesso Churchill che dichiara
conciliabili il progetto di unità europea così inteso e gli impegni della Gran
Bretagna nei confronti del Commonwealth.
10
Alla realizzazione del programma di Bevin tuttavia emergono
numerosi ostacoli di diversa natura, il primo dei quali riguarda come evitare
di escludere gli Stati Uniti d’America ai quali era stato promesso che non
avrebbero mai subito discriminazioni commerciali da parte del Regno
Unito.
11
Il governo britannico tuttavia ignora, e questo graverà
pesantemente sul futuro europeo della Gran Bretagna, che gli Americani, in
opposizione all’approccio onnicomprensivo dell’Unione Occidentale
proposta da Bevin, preferirebbero programmare la ricostruzione europea in
due tappe, cioè prima attraverso l’integrazione economica e soltanto dopo
averla raggiunta si sarebbe potuto avviare anche quella politico-militare.
Un’Europa occidentale solida economicamente e poi unita anche
politicamente costituirebbe per gli Stati Uniti un partner commerciale più
affidabile ma soprattutto consentirebbe di contrastare più efficacemente
l’espansione del comunismo.
Da Yalta a Fulton. Le origini della guerra fredda nella corrispondenza dei «Tre Grandi»,
La Nuova Italia - Firenze, 1975.
9
Tale mercato avrebbe previsto dei comitati per l’organizzazione delle economie e delle
finanze, dei territori d’oltremare, della cooperazione culturale e dei servizi sociali
dell’Unione Occidentale attraverso la stipula di un trattato comune economico, sociale e
difensivo multilaterale. ELLWOOD D.W., op. cit., pag. 432.
10
Il programma produsse il Trattato di Bruxelles, nel marzo del 1948, che non era altro che
l’ampliamento del precedente Trattato di Dunkerque anche ai paesi del Benelux. Il patto
prevedeva un’organizzazione militare permanente, un comitato consultivo composto dai
Ministri degli Esteri dei cinque paesi aderenti e una cooperazione economica e dei servizi
sociali. ZURCHER A.J., op. cit., pag. 64.
11
Il Ministro del Tesoro, e con lui l’intera burocrazia di Whitehall, sosteneva che «gli
americani, ritenendosi lasciati soli, se la sarebbero presa sicuramente». ELLWOOD D.W.,
op. cit., pag. 428.
Il «no» del Regno Unito all’euro 8
Se si trascura la creazione di una struttura molto ridotta di comando e
l’instaurazione di semplici contatti militari fra gli stati maggiori dei paesi, il
progetto di Unione Occidentale concepita da Bevin non viene supportata da
azioni concrete. All’opposto, il governo indirizza la propria politica verso
l’Alleanza Atlantica gettando un dubbio sulla sua reale volontà di realizzare
l’unità europea. Anche Bevin sembra non più credibile e la sua proposta
dell’Unione Occidentale sembra a molti europeisti rivelare ora uno scopo
diverso da quello che il Ministro degli Esteri voleva far credere. Emerge,
infatti, l’opinione che essa sia stata soltanto una manovra per preoccupare
gli Stati Uniti facendo credere loro che, con l’Unione, l’Europa potrebbe
agire indipendentemente da essi a meno che non vi avessero partecipato
seriamente.
12
Quale che sia stata la sincerità del Ministro degli Esteri, sta di fatto
che, d’ora in avanti, qualsiasi dibattito sull’integrazione europea verrà
svolto nell’ambito dell’OECE, con la conseguenza che il modello inglese di
un’Europa unita all’interno della quale la Gran Bretagna potesse ricoprire
un ruolo di leadership non sarà più facilmente proponibile.
13
La mancata attuazione del piano di Bevin tuttavia risiede in ragioni
molto più complesse e riguardano principalmente l’assetto istituzionale
dell’organizzazione attraverso la quale realizzare l’integrazione europea.
Infatti, nessuno dei paesi sembra mettere in dubbio la necessità dell’unità
d’Europa. Ciò nonostante, mentre si è concordi su «cosa fare», sorgono
delle divergenze su «come fare», cioè sulle modalità di attuazione del
processo d’unità. In particolare, i sostenitori del movimento rappresentato al
Congresso d’Europa mirano, immediatamente e prioritariamente, ad istituire
un’organizzazione la cui struttura prevede organi federali di governo
centrale in modo da limitare la sovranità di ogni singolo stato. I leaders
inglesi, e lo stesso Churchill, sono invece convinti della necessità di
giungere ad una solidarietà europea soltanto attraverso un organismo privo
di qualsiasi elemento sopranazionale in modo che le decisioni possano
essere mantenute nelle mani di ciascun governo. In alternativa, quindi,
12
A conferma di ciò si ricordi anche la citazione del Foreign Office «gli americani,
timorosi del futuro, si impegneranno così tanto che avranno difficoltà a ritirarsi», riferita
si alle zone occidentali della Germania ma in quel clima di sospetto si sarebbe potuto
facilmente estendere a tutta la strategia inglese. Op. ult. cit., pag. 431-434.
13
L’OECE - Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea – era un organismo
sorto con il compito di gestire gli aiuti economici, previsti dal «Piano Marshall» e destinati
ai paesi europei per la ricostruzione postbellica, in forma coordinata e organizzata dai paesi
beneficiari. Vi aderirono inizialmente Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna,
Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Svezia,
Svizzera e Turchia. Successivamente, parteciparono anche Germania, Spagna, Jugoslavia e
Finlandia. Nel 1961 venne assorbita dall’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico - con l’estensione anche a Australia, Canada, Giappone, Nuova
Zelanda e Stati Uniti. FERRARI BRAVO L., MOAVERO MILANESI E., op. cit., pag. 5.
Regno Unito ed Europa: storia di una relazione controversa 9
propongono di istituire, per il momento e al massimo, un qualcosa che sia
addirittura meno di una confederazione, considerando oltretutto gli impegni
e gli interessi della Gran Bretagna verso l’Impero e il Commonwealth che le
impediscono di legarsi in modo rigido ed esclusivo ad una organizzazione
europea.
14
Come vedremo, la natura e i poteri delle istituzioni europee
costituiranno il maggiore ostacolo alla partecipazione della Gran Bretagna
alle comunità sorte negli anni successivi su iniziativa dei paesi continentali.
In realtà, questi aspetti rappresentano ancora oggi il nodo principale attorno
al quale si sviluppa il dibattito sulla struttura da dare all’Unione Europea.
In ogni caso, nel clima confuso ed incerto di quel periodo, il governo
britannico perde parte del suo iniziale entusiasmo per la nobile idea di
un’Europa unita. Tuttavia, le divergenze sulla natura del futuro organismo
europeo sono attenuate attraverso un compromesso con lo scopo di
soddisfare sia le richieste dei paesi continentali sia quelle degli inglesi. La
nuova struttura sarebbe perciò basata su di un sistema bicamerale che
avrebbe esercitato la propria attività attraverso due distinti organi. Il primo,
richiesto dai paesi continentali, avrebbe funzioni esclusivamente
deliberative e di rappresentanza dei singoli stati. Il secondo, voluto
fortemente dalla Gran Bretagna, avrebbe funzioni direttive ed esecutive per
la realizzazione del processo d’integrazione. E’ evidente quindi che, dei due
organi, il secondo sarebbe stato di sicuro maggiormente determinante per il
raggiungimento degli obiettivi comuni. L’organizzazione, con limitati poteri
d’intervento e con funzioni unicamente consultive, sarebbe assomigliata
quindi al massimo ad un semplice luogo di dibattiti. La sua struttura,
avvicinandosi di più a quella di un comune organismo intergovernativo che
ad uno sopranazionale, esclude così qualsiasi forma di coinvolgimento reale
da parte dei paesi la cui sovranità non risulta quindi essere minimamente
compromessa.
15
14
Lo stesso Bevin riteneva l’istituzione di un organismo sopranazionale un’operazione
simile alla «costruzione del tetto prima della casa». ZURCHER A.J., op. cit., pag. 65.
15
Oltre al Segretariato (Statuto del Consiglio d’Europa, cap. VI, artt. 36-37), il Consiglio
d’Europa prevedeva infatti due organi fondamentali, l’Assemblea Consultiva (cap. V, artt.
22-35) e il Comitato dei Ministri (cap. IV, artt. 13-21). Il primo, formato dai delegati dei
Parlamenti nazionali, per il cui numero si teneva conto dell’importanza demografica e
politica dei singoli stati, aveva compiti esclusivamente deliberativi e di rappresentanza. Il
secondo, invece, composto dai Ministri degli Esteri degli stati membri, svolgeva funzioni
direttive, di gestione dei contributi finanziari dei singoli stati, di approvazione del bilancio
del Consiglio, di controllo sull’attività della Segreteria e infine in alcuni casi anche di
sospensione degli stati dal partecipare all’Assemblea. In sostanza, si trattava di un vero e
proprio Governo del Consiglio, la cui prevalente posizione ed indipendenza rispetto
all’Assemblea era chiara soprattutto in riferimento al fatto che nessun voto dell’Assemblea
poteva avere effetto senza l’approvazione del Comitato e che al suo interno ogni singolo
Ministro degli Esteri aveva diritto ad un voto che in pratica equivaleva ad un vero e proprio
Il «no» del Regno Unito all’euro 10
Così predisposta, appare evidente che l’organizzazione avrebbe scarsa
possibilità di ambire a quell’integrazione europea tanto invocata. Ciò
nonostante, rappresenta il primo passo verso un’Europa unita. Pienamente
soddisfatta delle proprie richieste e al riparo da qualsiasi implicazione
politica, anche la Gran Bretagna partecipa così all’istituzione del Consiglio
d’Europa insieme agli paesi dell’Europa Occidentale.
16
In sostanza, il Consiglio Europeo resta sempre sotto il pieno controllo
dei singoli stati ridimensionando così notevolmente le speranze dei
federalisti di costituire un vero e proprio Parlamento Europeo. Per questo
motivo, esso rappresenta un grande successo diplomatico della Gran
Bretagna che, fedele alla sua tradizionale politica estera di favorire l’unione
tra gli stati d’Europa mantenendosi però al di fuori essa, riesce a far
abbandonare l’originale progetto federativo e a far imporre quello
intergovernativo, un modello quest’ultimo sicuramente più confacente alla
propria identità nazionale.
Si chiude con questa vicenda la prima fase delle relazioni tra il Regno
Unito e l’Europa, quella delle iniziative e dei progetti diretti alla creazione
di un’unione europea occidentale, resasi necessaria nel dopoguerra per una
maggiore e proficua collaborazione tra i paesi europei. Una cooperazione
tuttavia basata su di un’integrazione ampia piuttosto che su principi
federalisti.
Nello stesso tempo, si apre la fase che caratterizzerà la politica
britannica per tutto il periodo degli anni ’50, quella cioè dell’opposizione
alle proposte d’integrazione europea provenienti dai vicini continentali e
delle conseguenti controproposte inglesi. Una fase in cui la Gran Bretagna si
mostrerà risoluta e decisa nell’affermare la validità delle proprie idee
rispetto a quelle degli altri partner europei, assumendo in alcune circostanze
un vero e proprio atteggiamento egocentrico, determinando così un
isolamento politico che la renderà famosa sulle sponde dell’Atlantico per
gran parte degli anni successivi.
diritto di veto, con la possibilità quindi che un ministro poteva annullare da solo qualsiasi
decisione dell’Assemblea. Op. ult. cit., pag. 299 e ss.
16
Sottoscritto a Londra il 5 maggio 1949, il Consiglio d’Europa, con sede a Strasburgo, è
un’organizzazione internazionale con il compito di «conseguire una più stretta unione fra i
suoi membri per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il
loro comune patrimonio e di favorire il progresso economico e sociale». Statuto del
Consiglio d’Europa, cap. I, art. 1, lettera a. Inizialmente vi aderirono 10 paesi: Belgio,
Francia, Lussemburgo, Olanda, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Danimarca, Norvegia e
Svezia. Da allora le adesioni si sono moltiplicate ed oggi se ne contano 41. Tuttavia, il suo
ruolo nell’ambito dell’europeismo è passato in secondo piano con la costituzione della CEE
nel 1957.
Regno Unito ed Europa: storia di una relazione controversa 11
2. L’approccio alle prime Comunità Europee: la CECA e la CED.
Prendendo atto della natura confederale del Consiglio d’Europa, i
paesi sostenitori dell’unità europea pensano ad un’alternativa.
Comprendono la necessità di dover mirare a interessi economici comuni che
permettano di stabilire tra di loro vincoli sempre più stretti fino ad un
proficuo riavvicinamento. Ispirandosi alle idee di Jean Monnet, il Ministro
degli Esteri francese Robert Schuman elabora a tal proposito un programma
il cui oggetto è istituire un organismo di tipo federale che tenda a garantire
gli interessi comuni attraverso la rinuncia della propria sovranità da parte
degli stati interessati. Tuttavia, una notevole rinuncia susciterebbe forti
resistenze e sicuramente vanificato l’iniziativa. Viceversa, un organismo
limitato soltanto a specifici settori adempirebbe in maggior misura alla
propria funzione.
Così, si decide di regolare la produzione europea del carbone e
dell'acciaio, settori fondamentali per la ricostruzione postbellica. Il
programma assolverebbe al duplice intento di favorire gli investimenti per
creare un mercato più libero rispetto a quello più protezionistico presente
allora in Europa e di costruire le premesse per una maggiore cooperazione,
inizialmente tra Francia e Germania
17
e poi tra queste e gli altri paesi
europei, consentendo, così, una generale distensione e il conseguimento
della pace mondiale.
Naturalmente, un progetto di tale dimensione non può che suscitare
delle divergenze tra i paesi invitati a discuterne. L’Italia, la Germania e i
paesi del Benelux, e ovviamente la Francia, si pongono in modo entusiastico
alla proposta. La Gran Bretagna prima dubita della possibilità che possa
effettivamente riuscire e poi, resasi conto invece della sua fattibilità,
risponde negativamente.
18
Le perplessità del governo inglese riguardano innanzitutto la scarsa
efficienza del programma per il riavvicinamento franco-tedesco. Inoltre,
sebbene gli economisti ritengano la rimozione delle barriere commerciali un
fatto positivo e coerente con la filosofia liberista britannica, le industrie
17
Le maggiori risorse carbo-siderurgiche europee erano principalmente localizzate proprio
al confine fra la Francia e la Germania, il ferro nella Lorena, il carbone nei bacini della
Ruhr e della Saar, e da sempre erano state uno dei pomi della discordia franco-tedesca ed
una delle concause dei due conflitti mondiali. FERRARI BRAVO L., MOAVERO MILANESI E.,
op. cit., pag. 8.
18
Gli osservatori dell’epoca fecero notare che i sei paesi favorevoli erano quelli dove
l’ideale federalista si era affermato con più decisione durante la guerra. ELLWOOD D.W., op.
cit., pag. 439. L’Ambasciata britannica a Parigi commentò invece il discorso di Schuman
del 9 maggio 1950 con un telegramma che recitava «la Francia propone alla Germania di
mettere in comune il carbone e l’acciaio. Ovviamente non se ne farà nulla». PERISSICH R.,
Il concetto di allargamento nella storia dell’Unione, in GUERRIERI S., MANZELLA A.,
SDOGATI F. (a cura di), Dall’Europa a Quindici alla Grande Europa. La sfida istituzionale,
Il Mulino, 2001, pag. 48.
Il «no» del Regno Unito all’euro 12
inglesi del carbone e dell’acciaio non trarrebbero particolari benefici.
19
Emergono, poi, perplessità verso i paesi favorevoli al progetto, in primo
luogo Francia, Germania e Italia, sospettati di volersi spartire di nuovo
l’Europa lasciando la Gran Bretagna isolata.
20
Infine, ci sono sempre i
legami con i paesi del Commowealth che rendono difficile impegnarsi così
tanto solo in l’Europa.
L’opposizione della Gran Bretagna alla realizzazione della Comunità
prevista dal Piano Schuman risiede, tuttavia, in ragioni più profonde e non
riguardano esclusivamente valutazioni economiche e politiche. Come per il
Consiglio d’Europa, anche adesso il dibattito si incentra sull’assetto
dell’organismo i cui tratti sarebbero quelli tipici di una struttura federale,
quali l’autonomia nell’adottare le decisioni e l’efficacia immediata delle
stesse all’interno dei singoli paesi membri.
21
Questa ampia discrezionalità e
indipendenza concessa agli organi comunitari nello svolgimento delle
proprie funzioni è considerata dal governo inglese, e in generale da tutta la
classe dirigente, estremamente pericolosa in quanto costituirebbe una
violazione dei principi democratici e creerebbe le premesse per lo sviluppo
di una oligarchia economico-politica svincolata peraltro da qualsiasi
controllo popolare. Viceversa, un organismo intergovernativo garantirebbe
in misura maggiore l’osservanza di tali principi, essendo pur sempre
vincolato dalla necessità di coordinare le politiche comunitarie con quelle
adottate dai singoli stati e rimanendo comunque sottoposto al loro controllo
attraverso l’azione dei rispettivi singoli governi.
In realtà, la Comunità non si espone ai pericoli sottolineati in modo
così deciso dal governo inglese. Certo, denota una vistosa lacuna riguardo
l’aspetto rappresentativo dei suoi organi in considerazione del fatto che i
cittadini dei singoli stati partecipano alla loro elezione solo attraverso i
singoli parlamenti nazionali.
22
Tuttavia, la mancanza di responsabilità
risulta meno evidente rispetto a quella denunciata dal governo inglese se si
tiene conto che la Comunità prevede al suo interno l’istituzione di un organo
con funzioni di controllo sia della legalità che del merito degli atti adottati
dall’organo decisionale.
23
Inoltre, anche le preoccupazioni della perdita
19
A differenza del Lussemburgo e del Belgio le cui produzioni siderurgiche
rappresentavano l’80% delle esportazioni, soltanto il 5% delle esportazioni inglesi di
acciaio erano dirette verso l’Europa.
20
ELLWOOD D.W., op. cit., pag. 451.
21
La futura Comunità avrebbe previsto quattro distinti organi: l’Assemblea Europea, il
Consiglio dei Ministri, l’Alta Autorità e la Corte di Giustizia. Tra questi il cuore della
Comunità era sicuramente l’Alta Autorità, organo esecutivo di pianificazione e di direzione
al quale era affidata l’intera attività politica e amministrativa con il compito di deliberare e
di garantire l’attuazione delle politiche comunitarie.
22
L’Alta Autorità infatti era composta da nove membri, otto dei quali nominati dai sei
governi nazionali e il nono cooptato dai primi otto.
23
La Corte di Giustizia infatti era l’organo giurisdizionale della Comunità con compiti di
rettifica degli atti adottati dall’Alta Autorità quando questa avesse ecceduto le proprie
Regno Unito ed Europa: storia di una relazione controversa 13
della sovranità sembrano essere eccessive in quanto, sebbene la Comunità
presenti importanti elementi federali, conserva ancora una natura
intergovernativa grazie alla presenza di un organo rappresentativo dei
governi dei singoli paesi membri.
24
In sostanza, le preoccupazioni sulla natura federale della Comunità
sollevate dal governo inglese non sembrano poggiare su critiche concrete.
Ciò che realmente spinge ad opporsi al progetto riguarda esclusivamente
l’implicazione economica che il futuro organismo avrebbe sul settore carbo-
siderurgico, punto di forza dell’economia inglese.
25
Partecipare alla
Comunità significa infatti cedere il controllo delle industrie, peraltro da
poco nazionalizzate, a favore di un organismo con forti caratteristiche
sopranazionali avente il compito di programmare, gestire e regolare le
produzioni del carbone e dell’acciaio dei paesi membri della Comunità.
Nonostante il Piano Schuman rappresenti un’importante novità
giuridica e sottintenda la rinascita tedesca in un sistema europeo capace di
fornire garanzie di sicurezza, ottenendo peraltro anche l’approvazione degli
Stati Uniti, la Gran Bretagna decide di non aderirvi.
26
competenze o violato le regole giuridiche stabilite dal Trattato. Tale prerogativa collocava
di fatto la Corte in una posizione predominante nella gerarchia della Comunità, facendone
l’organo più importante persino superiore alla stessa Alta Autorità.
24
Il Consiglio dei Ministri infatti era l’organo di collegamento tra l’Alta Autorità, organo
sopranazionale, e i singoli governi. La sua presenza era stata esplicitamente richiesta dal
governo belga timoroso dell’eccessivo potere sopranazionale attribuito alla Comunità. In
tal senso, i suoi compiti riguardavano la salvaguardia della sovranità nazionale dei singoli
paesi fino alla prevalenza della sua attività decisionale su quella dell’Alta Autorità quando
quest’ultima adottava provvedimenti che potevano pregiudicare l’economia generale degli
stati partecipanti e per le quali questi potevano invocare il cosiddetto «interesse nazionale».
25
La Gran Bretagna deteneva da sola la metà della produzione del carbone e un terzo di
quella dell’acciaio dei sei paesi messi insieme. ELLWOOD D.W., op. cit., pag. 440.
26
Il Trattato istitutivo della CECA - Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – fu
sottoscritto dai sei paesi il 18 aprile 1951, a Parigi. Alla rinuncia della Gran Bretagna,
l’allora Segretario di Stato americano, Dean Achenson, commentò: «la proposta Schuman
ha valore di prova e il governo inglese non l’ha superata…si tratta del più grande errore
del periodo postbellico». Op. ult. cit. Si veda anche, WOODARD S., Britain in Europe.
History of a relationship, in Britain in Europe, The London School of Economics and
Political Science, Fraser Maurice Editor, 1998, pag. 12.
Il «no» del Regno Unito all’euro 14
Tuttavia, per coinvolgere comunque le industrie britanniche al fine di
un miglior sviluppo della Comunità, immediatamente dopo l’entrata in
vigore, viene sottoscritto un accordo di associazione che prevede una stretta
collaborazione tra le industrie siderurgiche dei sei paesi firmatari e quelle
britanniche.
27
L’accordo rappresenta peraltro una soluzione alla costante
divisione ideologica tra la Gran Bretagna, ferma nel richiedere strutture
puramente intergovernative, e i vicini continentali, propensi invece ad
organismi istituzionalmente più uniti e durevoli.
In realtà, come per il Consiglio d’Europa, anche questo accordo
costituisce un successo della diplomazia inglese. Optando soltanto per
l’associazione e non per la partecipazione alla CECA, la Gran Bretagna
realizza una situazione ideale per l’arte della politica, quella cioè di giovarsi
dei benefici concernenti un progetto di integrazione senza tuttavia assumere
nessuna effettiva responsabilità nei suoi confronti.
Intanto, il successo della CECA entusiasma i Sei paesi membri
stimolandoli a pensare a nuove soluzioni per il raggiungimento di una piena
e completa integrazione. Una di queste prevede la realizzazione di un
programma, peraltro favorito dagli Stati Uniti, per istituire un esercito
comune attraverso la fusione degli eserciti nazionali europei sotto un
comando unificato.
La reazione della Gran Bretagna alla proposta è, come di consueto, di
iniziale scetticismo. Si percepisce, infatti, il tentativo da parte della Francia
di giungere ad una indipendente politica in ambito internazionale,
nonostante la sua partecipazione all’Alleanza Atlantica. La proposta,
tuttavia, sottintende anche la delicata questione del riarmo tedesco, nodo
peraltro già affrontato da Churchill che riteneva la piena riabilitazione della
Germania e la sua riconciliazione con la Francia elementi fondamentali per
la rinascita dell’Europa.
28
Il governo laburista, comprendendone il valore, si
mostra allora più disponibile. Si ha così la sensazione che la Gran Bretagna
voglia mettere da parte la sua diffidenza in politica europea e partecipare più
attivamente al processo d’integrazione.
E’ questa però l’ultima dichiarazione del governo laburista.
Nuovamente vittoriosi nelle elezioni del 1951, Churchill e il partito
conservatore ereditano il dibattito sulla costituzione dell’esercito comune e,
contro ogni aspettativa, attuano un’inversione di rotta riguardo l’iniziale
assenso.
27
Il Patto di Associazione sottoscritto il 21 dicembre 1954, a Londra, stabiliva la
costituzione ad hoc di un Consiglio misto, denominato Consiglio di Associazione, per
l’elaborazione di linee di condotta comuni nel settore carbo-siderurgico, mentre ciascuna
delle parti poteva rifiutarsi di «associarsi» per le questioni di natura politica. ZURCHER A.J.,
op. cit., pag. 219.
28
Si veda ancora il discorso all’Università di Zurigo. FARNARARO P., op. cit., pag. 33.