3
l’insieme delle attività e delle operazioni che attraversano orizzontalmente un’impresa,
trasformando le risorse assorbite in risultati. E’ interessante notare come alla “visione per processi”
pervengano approcci con obiettivi e finalità apparentemente eterogenei: gli studi organizzativi, i
contributi di strategia d’azienda e le discipline manageriali concordano nell’individuare nei processi
aziendali una concettualizzazione coerente del sistema degli accadimenti d’azienda. Il processo,
infatti, ha il pregio di cogliere lo sviluppo operativo delle attività aziendali, di prestarsi alla gestione
per obiettivi e di riunire, al suo interno, un portafoglio di risorse variamente aggregate. In questo
senso, la perdita di efficacia dei modelli gerarchico-funzionali del management scientifico e dei
sistemi di controllo, basati su questi schemi logici, confermano empiricamente la natura strutturale
dell’evoluzione in atto. Chiedersi quali siano gli effetti sulle logiche di governo economico del
diffondersi dei “fenomeni orizzontali”, di cui i processi sono l’esempio più lampante, appare una
domanda più che lecita, la cui risposta cerca di essere delineata nel presente lavoro.
Si è scelto di approfondire l’analisi delle tecniche di definizione, rappresentazione e miglioramento
di processo come tracciati nella letteratura di “business process management” e di “Total Quality
Management”: la gestione dei costi di processo, a parere di chi scrive, deve dotarsi di un adeguato
supporto informativo e deve saper coniugare esperienze, approcci e contributi manageriali di
diversa collocazione funzionale, coerentemente con la natura trasversale e multidimensionale del
processo. La comprensione dei modelli di consumo delle risorse, caratterizzanti i processi, è
subordinata alla necessità di raccogliere nuovi dati, da aggregare in nuove informazioni: l’analisi
delle attività, il “time reporting”, le caratteristiche salienti della gestione strategica e le analisi
secondo i principi della Resource Based View, sono solo alcune delle possibili linee guida da
seguire per implementare un efficace sistema di gestione dei costi imperniato sui processi. Il
risultato si dimostra apparentemente paradossale: viene a delinearsi una chiara relativizzazione del
concetto di costo. Una lettura più approfondita della questione suggerisce un’interpretazione
alternativa: l’evoluzione del contesto economico e di mercato riduce la soggettività e la certezza dei
valori attribuibili ad un prodotto/servizio; correlare ad un dato economico misure qualitative e
temporali diviene, pertanto, un’esigenza indispensabile per formulare un giudizio valoriale. In altri
termini, la gestione attiva dei costi deve essere in grado di interpretare le cause, le determinanti ed i
vincoli che intervengono nella formazione dei valori economici d’azienda. Si tratta di una sfida
ambiziosa alla complessità di un presente in transizione ed in continua evoluzione: il cost
management orientato ai processi si pone in una posizione mediana tra le logiche di governo
strategico ed il susseguirsi del divenire operativo. L’orizzontalità della prospettiva di analisi, infatti,
evidenzia la perdita di efficacia dei meccanismi di governo gerarchico e della contigua visione
piramidale strategia→tattica→operatività, modelli concettuali tipici della stigmatizzata impresa
“taylorista-fordista”.
La letteratura economica più recente, stimolata dallo sviluppo dei mercati finanziari, torna sempre
più intensamente ad interessarsi dell’argomento principe del pensiero economico: il valore. Si tratta
di un evoluzione affascinante ma non priva di insidie. Il valore nasce da un complesso intrecciarsi
di giudizi, solo parzialmente sintetizzati dal puro apprezzamento di mercato. I processi d’azienda
4
rappresentano le determinanti ideali della creazione o della distruzione di valore economico:
interfacciano con un cliente e si prestano a processi di misurazione e controllo. Il cost management
orientato ai processi offre un’opportunità creatrice di valore, supportando più correttamente il
management nella fase decisionale e stimolando l’azienda al perseguimento di iniziative strategiche,
miranti all’eccellenza organizzativa e gestionale. Il successo di tale approccio deve recepire la
spinta ad un vero superamento degli “isolamenti funzionali”: le tecnologie informatiche agevolano
la raccolta di dati quantitativi di costo; l’attenzione, pertanto, si sposta sulle dinamiche qualitative
del governo delle risorse economiche. L’azienda eccellente dovrà saper progettare processi e
prodotti in maniera consapevole, simulare la realtà per assumere decisioni più mirate, misurare
performances economiche, temporali e qualitative per verificare la coerenza della proposta di valore
scaturente dai processi. La posta in gioco è alta: il futuro competitivo e la sopravvivenza di molte
aziende dipenderanno dalle capacità delle stesse, di integrare saperi ed informazioni eterogenee, di
porre in essere processi ben strutturati e di diffondere valore ai propri clienti e stakeholders.
5
Capitolo primo
I processi aziendali e l’economia d’impresa
1.1 Logiche di process management e governo delle risorse economiche: aspetti introduttivi
Il concetto di processo è un elemento certamente non nuovo nell’ambito degli studi aziendali e
manageriali (Dossi, 2001a; Roffia, 2002); a livello semantico implica una idea di sequenzialità, di
flusso che collega un punto di partenza ad un punto di arrivo. Dietro a questa concettualità visiva,
schematica, apparentemente semplice e lineare, si nasconde una problematica dotata di un elevato
grado di complessità
1
: la descrizione dell’attività e degli accadimenti d’azienda in un’ottica olistica
(Collini, 2001). Appare evidente come questo proposito richieda un notevole sforzo cognitivo, per
la spiccata multidimensionalità e poliedricità del concetto. La proposizione classica di un’azienda,
cristallizzata nelle proprie routine, scomposta verticalmente in unità funzionali (Airoldi et al., 1994)
è stata a lungo dominante negli studi di management e nelle tecniche di gestione; la forza del
paradigma gerarchico-funzionale, risiede nel concentrato di autorità e di specializzazione
tecnologica che caratterizzano quest’ultimo (Beretta, 2001a; Leavitt, 2003): lo sfruttamento delle
economie di scala, offerte da funzioni aggregate per competenze, è stato il motivo fondamentale
della pervasività e della diffusione di questo modello organizzativo; le minuziose suddivisioni dei
compiti (Rugiadini, 1979) e le profonde analisi di progettazione micro-strutturale (Grandori, 1995)
testimoniano il profondo grado di complessità, che si nasconde, nelle “pieghe” di una struttura di
questo tipo
2
(Biffi e Pecchiari, 1998a; Porter, 1985; Coda, 1995; Adamson e Dilts, 1999).
1
Descritta come la “somma logica di varianza ed indeterminazione. La varianza può consistere in differenziazioni che si
sviluppano nello spazio (varietà sincroniche, coesistenti allo stesso momento) o nel tempo (variabilità diacronica,
dovuta a cambiamenti che intervengono nel tempo). Solo una parte della complessità si dà in forma libera, non
controllabile. La maggior parte della varianza e dell’indeterminazione che sono presenti nelle società industriali sono
invece direttamente o indirettamente governate da meccanismi o attori che usano le conoscenze e le relazioni di cui
dispongono per selezionare ex ante le varianti maggiormente utili o per utilizzare ex post, in modo appropriato, quanto
avviene negli spazi di indeterminazione lasciati al caso o al libero gioco delle forze. In tal modo, selezionando ex ante o
ex post, la complessità libera viene continuamente convertita in complessità governata, ossia in strutture che hanno un
contenuto di conoscenze e di relazioni crescente. La complessità di una situazione, indirettamente, può essere
“misurata” attraverso la quantità e la qualità delle conoscenze/relazioni che sono richieste per rendere governabile la
varianza e l’indeterminazione presenti in quella situazione.” (Rullani E., Dal fordismo realizzato al postfordismo
possibile: la difficile transizione, in Rullani E.-Romano L. (a cura di), Il postfordimo. Idee per il capitalismo prossimo
venturo, Etaslibri, Milano, 1998, nota 9 pag. 75). Secondo S. Vicari la complessità ambientale, subentrata negli ultimi
anni, ha sconvolto il substrato sostanzialmente omeomorfo in cui operavano le imprese “fordiste”. Nota quindi come “
tutte le possibili interpretazioni di complessità (…) sono tali solo in quanto in esse irrompa l’instabilità, l’allontanarsi di
un punto d’equilibrio. L’eteromorfismo, il cambiamento, la de-banalizzazione, la contraddizione, la compressione e
l’allungamento sono in modi più o meno accurati, percepibili, verificabili, in qualche caso persino misurabili, ad essi
possono addirittura essere associate leggi. Ciò che caratterizza oggi la complessità è invece la questione della non
prevedibilità dei fenomeni. (La prospettiva della complessità, prefazione di A.A V.V., Complessità e managerialità,
Egea, Milano, 1991).
2
A tal proposito osservano Hammer e Champy: “Sotto l’influenza del principio di Adam Smith della disaggregazione
del lavoro nei suoi compiti elementari e dell’assegnazione di ciascun compito ad uno specialista, le moderne aziende e i
loro manager si focalizzano sulle singole fasi del processo (…) e tendono a perder di vista l’obiettivo più importante,
6
L’evoluzione dei sistemi socio-economici verso mutevoli dinamiche discontinue, caratterizzate da
cambiamenti del comportamento individuale, innovazioni tecnologiche (Verona, 2001), ed infine,
un accrescimento del grado di concorrenza
3
(D’Aveni, 1995; Prahalad e Ramaswamy, 2004), ha
modificato profondamente l’arena competitiva delle imprese e il modo di relazionarsi, di queste,
con i propri portatori di interessi istituzionali
4
(Masini, 1979).Una serie di concrete esperienze
aziendali e le opere di alcuni studiosi, in tema di “business process reengineering”
5
(Davenport,
1993; Oriani e Monti,1996; De Bernardi, 2000), rispecchiano queste problematiche, sfociate nella
ricerca di una migliore progettazione organizzativa (Migliarese et al., 1999), e nella rilettura
dell’azienda lungo una dimensione orizzontale, con rilevanti effetti sulle modalità di governo
economico e i sistemi operativi a queste collegati (Pastore e Golinelli, 1999)
6
. La lettura orizzontale
del divenire economico d’azienda rompe il delicato equilibrio organizzativo, basato sui principi di
divisione (fra unità) e specializzazione (all’interno delle unità) del lavoro (Airoldi, 1980; Collini,
2001). Le conseguenze pratiche sono di notevole entità: la visione process-based non implica dei
semplici “correttivi” metodologici, come alcune “mode manageriali” di alterna fortuna (Grandori,
1995; Biazzo, 1997): il paradigma “processuale” coinvolge, a livello complessivo d’azienda, le
problematiche di generazione di valore, gli aspetti di misurazione delle prestazioni e la tematica
dell’apprendimento, in ogni fase logico-temporale, intercorrente tra il momento di acquisizione
che è quello della consegna della merce nelle mani del cliente che l’ha ordinata. I singoli compiti di cui si compone il
processo sono sì importanti, ma nessuno di essi conta qualcosa per il cliente se non funziona il processo nella sua
interezza” (Hammer M.-Champy J., Ripensare l’azienda, Sperling & Kupfer, Milano, 1994, pag. 41). Altrettanto
lucidamente si esprimeva G. Brunetti: “La struttura funzionale privilegia l’efficienza purchè i livelli e le caratteristiche
della produzione rimangano stabili nel tempo mentre la struttura divisionale esalta la capacità dell’impresa di mutare i
suoi livelli produttivi, in relazione al cambiamento della domanda o alle azioni della concorrenza. Come si nota,
entrambe le strutture non sono in grado di reagire adeguatamente ai mutamenti che riguardano non i volumi ma le
caratteristiche stesse della produzione” (Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Franco Angeli,
Milano, 1979, pag. 166).
3
L’ipotesi di un incremento della concorrenza a livello globale, foriero di un continuo rimodellarsi della strategie
competitive nei mercati, è stata sviluppata ed estesa da R. D’Aveni con il noto concetto di “ipercompetizione”, così
presentato dall’autore: “L’ipercompetizione è un ambiente caratterizzato da azioni competitive intense e veloci, in cui i
concorrenti devono muoversi rapidamente per costruire i propri vantaggi e per intaccare quegli degli avversari. Questa
situazione accelera le interazioni strategiche dinamiche tra i concorrenti. Il comportamento ipercompetitivo è il processo
che vede una continua produzione di nuovi vantaggi competitivi e la distruzione, l’obsolescenza o la neutralizzazione di
quegli degli avversari, creando perciò uno squilibrio, distruggendo la concorrenza perfetta e sconvolgendo lo status quo
del mercato. Ciò viene ottenuto percorrendo le varie fasi dell’escalation più rapidamente dei concorrenti, rimettendo in
moto i cicli o passando in nuove aree” (Ipercompetizione, Il Sole 24 ORE, Milano, 1995, pag. 266).
4
Il pensiero di C. Masini delinea un “istituto (…) come complesso di elementi e di fattori, di energie e di risorse
personali e materiali; (…) l’impresa, cellula fondamentale della produzione nell’economia occidentale, è tipicamente un
istituto economico-sociale, caratteristicamente un istituto economico, (…) in essa per astrazione limitata si distingue
l’azienda di produzione” (Lavoro e risparmio, UTET, Torino, 1979, pagg. 10-14)
5
Una nota definizione descrive il reengineering come “il ripensamento di fondo ed il ridisegno radicale dei processi
aziendali finalizzato a realizzare straordinari miglioramenti nei parametri critici delle prestazioni, come i costi, la
qualità, il servizio e la rapidità” (Hammer M.-Champy J., Ripensare l’azienda, Sperling & Kupfer, Milano, 1994).
6
La necessità di conferire all’organizzazione una maggiore flessibilità e al contempo coordinamento è spontaneamente
cresciuta a partire dagli anni Settanta, interrompendo lo sviluppo la felice parentesi del Dopoguerra. Con queste
interessanti parole si esprimeva R. Fazzi: “Preme al vertice, insomma, che la struttura operativa sia organizzata e retta in
modo da assicurare al sistema, con il ricorso all’impiego di appropriati “meccanismi”, il “coordinamento” delle sue
diverse parti onde la gestione si concreti in un ordinato fluire di materie, di produzioni, di mezzi finanziari, di
informazioni, nella costante ricerca di efficienza in ogni punto del sistema: al suo interno, nei suoi rapporti con
l’ambiente in cui l’impresa opera. Può anche aggiungersi una crescente attenzione da parte del vertice, e in non pochi
casi ai livelli più prossimi al sistema operativo, ad una visione integrata “per flussi”, dei processi che compongono detto
sistema” (Il governo d’impresa, Giuffrè Editore, Milano, 1984, vol. II, pag. 162).
7
delle risorse e la consegna del prodotto finito al cliente
7
(Berchi e Fontanazza, 1991; Biffi e
Pecchiari, 1998). Occuparsi di processi, anche se con specifico riferimento al cost management
8
,
significa ripensare qualitativamente le modalità di analisi delle combinazioni economiche,
coinvolgendo un insieme di tematiche interdisciplinari, che interessano aspetti gestionali,
organizzativi e di controllo (Candiotto, 2003; Tonchia et al., 2003). L’impianto teorico, sottostante
all’economia d’azienda, deve adattarsi alle novità di contesto, endogene ed esogene (Rullani, 1998).
L’economia aziendale
9
italiana e le varie aree di studio della “management science” anglosassone
(Carnevale e Mazzotta, 2002), affondano le proprie radici concettuali in un sistema industriale
orientato alla produzione manifatturiera di massa, caratterizzato da una notevole stabilità (Rullani,
1998); risulta evidente, che i cambiamenti paradigmatici intervenuti, frutto del progresso del sapere
scientifico e di conquiste sociali, abbiano mutato profondamente sia le variabili d’ambiente sia la
complessità strutturale interna alle imprese, determinando la necessità di rinnovare i sistemi di
misurazione e controllo dell’economicità
10
d’azienda (Amigoni, 1995b; Vicari, 1991), ispirandosi a
7
La necessità “ambigua” di separare in fasi, le dinamiche d’azienda, inserite in un più generale contesto sistemico,
nasce dall’obbligo di ridurre la complessità dell’analisi. G. Zappa criticava il semplicismo di questo assunto
metodologico, sostenendo il carattere forte dell’indivisibilità della gestione in fasi spaziali e temporali: “(…) La
disgiunzione del continuo nel discontinuo e della durata in successivi periodi, che offre fondamento a non poche tra le
molte classificazioni dei dinamici fenomeni della gestione d’azienda, deve accogliersi come un processo di semplice
astrazione (…) Ogni separazione di quanto è intimamente continuo in settori momentanei successivi ma disgiunti,
quando non sia intesa come una configurazione provvisoria di una realtà profondamente diversa, non riesce a creare che
immagini fittizie, atte solo a contraffare la realtà, a impedire consapevoli configurazioni ed accorte interpretazioni”
(L’economia delle aziende di consumo, Giuffrè Editore, Milano, 1962, pag. 115). Nota analogamente G. Catturi: “(…)
siamo consapevoli che qualunque divisione in periodi del processo di sviluppo di fenomeni più o meno complessi (…)
insieme all’attribuzione a tali periodi di rigidi limiti temporali, è puro espediente di studio e didattico, dipendendo,
infatti, dagli obiettivi conoscitivi che il proponente intende raggiungere e soprattutto dalle idee che cerca di avvalorare”
(Teorie contabili e scenari economico aziendali, CEDAM, Padova, 1989, pagg. 192-194).
8
Definita come l’attività di “(…) management and control of activities and drivers to calculate accurate product and
services costs, improve business processes, eliminate waste, influence cost drivers and plan operations. The resulting
information helps with the planning and evaluation of an organization strategies” (Dierks P.-Cokins G., The CAM-I
Glossary of Activity-Based Management, version 3.0, Journal of Cost Management, January-February 2001, pag. 37).
9
Definita da G. Zappa la “scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita delle aziende, la
scienza ossia dell’amministrazione economica delle aziende” (Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Istituto
Editoriale Scientifico, Venezia, 1927, pag. 30). Con riguardo alla nozione d’azienda scriveva Amaduzzi : “L’azienda è
un sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di cui è parte complementare, un processo di produzione o
di consumo insieme, a favore del soggetto economico, ed altresì degli individui che vi cooperano” (L’azienda nel suo
sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1978, pag. 20).
10
Il vecchio paradigma concettuale del controllo economico relegava al medesimo un mera funzione “ispettiva”, come
notava F. Besta, secondo il quale, il controllo “(…) non si cura di cercare e di fare che siano applicati i modi migliori
con cui la ricchezza può prodursi o usarsi, ma supponendo noti, anzi attuati quei modi, si studia di seguire la ricchezza
nei suoi vari momenti e di impedire ch’essa venga sperperata o sia distrutta dall’uso a cui è destinata” (La ragioneria,
Vallardi, Milano, vol. I, 1932, pag. 131). Al contrario, G. Zappa ed i suoi allievi riconoscevano alla rilevazione ed al
controllo una natura complementare, che non può prescindere dai fenomeni che governano l’impresa nel suo
complesso; in tal senso si esprimeva C. Masini. “(…) Nelle aziende la rilevazione è un processo complementare alla
gestione ed alla organizzazione. Se alla scienza dell’economia delle aziende noi particolarmente ci rivolgiamo, la teoria
della rilevazione si può formulare distintamente sul fondamento della nozione degli accadimenti che costituiscono il
sistema d’azienda. La rilevazione d’azienda è l’espressione del pensato sulla natura e sulle relazioni di questi
accadimenti” (Economia delle imprese industriali e rilevazioni d’azienda, Giuffrè Editore, Milano, 1947, pag. 210).
Con altrettanto chiare parole si esprimeva sull’argomento P. Onida: “(…) La distinzione, però, non deve far dimenticare
i nessi numerosi, palesi e riposti che ricollegano le tre dottrine, non deve far credere di poter svolgere un ordine di
cognizioni o peggio, di far fondo ad esso, isolando quelli che ne costituiscono il substrato naturale e logico
complemento; in breve, non deve far perdere il vivo senso dell’unità feconda e insopprimibile dell’amministrazione
economica d’azienda” (Le discipline economico-aziendali. Oggetto e metodo, Giuffrè Editore, Milano, 1951, pag. 104.
Il corsivo riporta le parole di G. Zappa, 1927, pag. 33).
8
nuovi approcci mutuati dagli studi organizzativi e istituzionali d’impresa (Masini, 1979; Rullani,
1989; Airoldi et al., 1994).
Figura 1.1 Struttura d’azienda tradizionale e visione per processi (Fonte: Tonchia et al., 2003)
Un’interessante teoria evolutiva
11
ripercorre, adottando una chiave di lettura focalizzata
sull’innovazione tecnologica, tre momenti fondamentali: il paradigma della meccanizzazione
puntuale, la produzione di massa ed infine l’era dell’automazione. La progressiva
dematerializzazione del fattore critico, sposta l’attenzione dalla fisicità delle macchine dell’impresa
“fordista” all’impalpabile dominanza di risorse immateriali (Rullani, 1998; Vicari, 2001): la
generazione di valore, seguendo il susseguirsi logico delle attività svolte dall’azienda, diviene una
prospettiva privilegiata di osservazione, analisi e stimolo al miglioramento dei processi di business
(Pierantozzi, 1998). Governare la generazione di valore, nei contesti evoluti che si delineano,
significa saper padroneggiare linguaggi ed informazioni, integrare conoscenza ed accrescere
l’azione secondo prospettive concettuali e gestionali di ampio respiro (Rullani, 1989).
La ricerca di visioni allargate, il più possibile complete, della dinamica aziendale, richiama i
costrutti del pensiero sistemico
12
(Usai, 2000; Carnevale, 2002), elaborato dal mondo della ricerca
11
Di Bernardo B.-Rullani E., Il management e le macchine .Teoria evolutiva dell’impresa, Il Mulino, Bologna, 1990. In
questa prospettiva, con particolare riferimento all’evoluzione dei sistemi di misurazione il paper di Amigoni F.-Ditillo
A., Evoluzione tecnologica e sistemi di misure nella programmazione e controllo delle imprese, in Finanza Marketing
numero 2, anno xx, 2002.
12
La nascita del pensiero sistemico si deve allo studio fondamentale di Ludwig Von Bertalanffy, che elaborò negli anni
cinquanta una teoria generale dei sistemi. La grande novità concettuale di questo approccio scientifico consta nel porre
un freno al “riduzionismo” delle indagini analitiche, che trascurano fenomeni di interdipendenza e relazioni lineari,
reciproche o multidimensionali esistenti tra gli oggetti d’analisi. Inoltre, l’indagine scientifica fino ad allora,adottando
approcci parziali nella ricerca, aveva considerato i campi d’indagine quali sistemi chiusi, ciascuno indipendente, nel
rispetto dei confini della disciplina. Afferma a tal proposito L. Von Bertalanffy: “Nella sfera del pensiero scientifico
stanno entrando degli enti di un tipo essenzialmente nuovo. La scienza classica, nelle sue varie discipline (chimica,
ALTA
DIREZIONE
CLIENTE
FUNZIONE FUNZIONE FUNZIONE FUNZIONE
Esempio di
PROCESSO
9
scientifica, quale approccio epistemologico e metodologico nell’analisi di fenomeni e di
elaborazioni teoriche complesse; più precisamente un sistema può essere definito come “un’entità
concettuale o concreta costituita da un insieme di elementi interrelati, orientato al raggiungimento di
un dato fine” (Ranalli, 1992, pag. 6). La configurazione di un’entità sistemica pertanto si
caratterizza per i seguenti tratti distintivi:
a) svariate entità parziali con funzioni e funzionalità particolari, inserite nel contesto generale
del sistema e concorrenti allo svolgimento delle funzioni generali dello stesso;
b) legami di interdipendenza tra le unità parziali, nei casi di analisi dinamiche, continue
interrelazioni comunicative nelle quali si scambiano flussi di segnali significativi;
c) la particolare configurazione organizzativa conferisce al sistema la possibilità di far scaturire
relazioni sinergiche tra i propri componenti, permettendo di ottenere un maggior valore
rispetto ad un insieme di parti non interrelate. Il maggior valore risulta proprio dalla
dinamica del sistema, permeandone tutte le componenti.
L’adozione da parte degli studi economico-aziendale di un metodo scientifico profondamente
influenzato dai costrutti del pensiero sistemico
13
, facilita e giustifica lo sviluppo di filosofie
orientate al process management (Biffi e Pecchiari, 1998); l’illuminante intuizione zappiana
dell’unitarietà della gestione
14
(Zappa, 1950; Amaduzzi, 1992; Airoldi et al., 1994) svela, l’ampio
substrato teorico sottostante alle logiche di processo
15
: considerare un’azienda un unicum, è
biologia, psicologia o scienze sociali), tentava di isolare gli elementi dell’universo osservato (…) sperando che, nel
rimettere insieme tali elementi, concettualmente o sperimentalmente, si potesse ottenere, rendendolo intelligibile il
Una nota classificazione dei sistemi (oggetti di conoscenza indagabili secondo opportuni modelli) in ordine crescente di
complessità distingue: 1. Sistemi fisici 2. Sistemi biologici 3. Sistemi umani. “Le aziende, in quanto ordine economico
degli istituti (società umane), sono tra gli oggetti di conoscenza rappresentabili in forma di sistemi della massima
complessità” (Airoldi G.-Brunetti G.-Coda V., Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, 1994); si chiarisce inoltre
“…che un oggetto di conoscenza non è un sistema (le macchine, le persone, le aziende, non sono sistemi), bensì che tale
oggetto è osservato e rappresentato secondo un modello di tipo sistemico”. Inoltre C. Masini, sottolineando la centralità
dell’essere umano, osserva il carattere organicistico dell’istituto aziendale: “se nell’istituto si può osservare anche un
sistema sociale di accadimenti, l’istituto non è puro sistema, è un essere e divenire più vasto” (Masini, 1979, nota 9
pagg. 11-12).
13
Interessante è la definizione fornita da A. Amaduzzi: “L’azienda è un sistema di forze economiche che sviluppa,
nell’ambiente di cui è parte complementare, un processo di produzione, o di consumo, o di produzione e di consumo
insieme, a favore del soggetto economico, ed altresì degli individui che vi cooperano. (…) Il riferimento al sistema,
ripetiamo, risponde meglio alla metodologia ora più invalsa nella scienza economica, perché sulla base di una più
agevole e controllabile determinazione di condizioni obiettive non disconosce ed anzi assimila i fattori evolutivi propri
degli organismi e ben noti alle scienze biologiche.” (L’azienda nel suo sistema e nei suoi principi, Utet, Torino, 1992).
14
L’unitarietà della gestione è uno dei concetti cardine del pensiero zappiano; con queste parole viene descritto
dall’illustre studioso: “La varietà grande degli accadimenti economici, dei processi produttivi e delle loro combinazioni,
osservati in imprese di diversi settori e, nella stessa impresa, in tempi diversi, non impedisce il costituirsi in continua
unità del volgere della gestione. Per tale unità non un atto, non un processo, non un qualsiasi fenomeno, elementare o
complesso, può dirsi non accessorio agli altri nella fitta trama delle produzioni di impresa. (…) Tutti i costi ed i ricavi
sostenuti o conseguiti in una data impresa sono avvinti in generale coordinazione” (Zappa G., Le produzioni
nell’economia delle imprese, Giuffrè Editore, Milano, 1957, pagg. 719 e 728).
15
Il pensiero zappiano mostra un chiaro legame metodologico con i principi del pensiero sistemico. Con queste parole
si esprimeva G. Zappa: “L’investigazione del sistema nel quale tutte le aziende si ordinano in mutevole, operoso
complesso richiede dunque la conoscenza non superficiale dell’ambiente e soprattutto dei mercati nei quali le aziende
dispiegano la loro utile vita. Si capisce però come lo studio delle relazioni tra l’ambiente e il sistema costituito da tutte
le aziende non può di solito limitarsi alla sola considerazione dei rapporti economici o di quelli tra essi che possono
avere definita espressione quantitativa” (Zappa G., 1957, pag. 171)
10
estremamente corretto dal punto di vista logico, come emerge da numerosi contributi di analisi
strategica (Porter, 1999); diviene tuttavia manifesta, in contesti a razionalità limitata
16
(Simon,
1958), la difficoltà di esplicitare chiaramente relazioni e corrette quantificazioni delle dinamiche
aziendali osservate
17
.
La logica di gestione per processi, coinvolge una molteplicità di aspetti di management, ponendosi
anzitutto come una filosofia innovativa e visionaria (Johansson et al., 1994); per questo motivo,
l’ampia valenza della dinamica di processo mostra caratteristiche di notevole adattabilità, sia in
contesti meramente teorici, sia nel campo pratico; si può individuare un duplice insieme di
applicazioni:
a) strategico-organizzative, come il Business Process Reengineering, l’orientamento alla
Customer Satisfaction, la Time Based Competition, i principi della Lean Organization e
alcune innovative teorie in tema di Knowledge Management;
b) gestionali-operative, come l’Activity-Based Management, il Total Quality Management, lo
Statistical Process Control, il Quality Function Deployement, il Just in Time, il Six Sigma
Management ed in generale i sistemi di Performance Measurement.
Le due classi sono accomunate da un rilettura dell’azienda, tendente all’abbandono degli schemi
organizzativi e gestionali classicamente adottati e all’affermarsi di alcuni elementi chiave a cui
conformarsi:
1. la centralità della figura del cliente
18
; le mutazioni profonde e continue del sistema
economico, sottolineano come il cliente sia l’unico vero asset patrimoniale duraturo
(Valdani, 2003) di un’azienda; la soddisfazione dei bisogni della clientela (Kotler et
16
Alcune recenti teorie si rifanno all’interessante concetto di “modularità”, quale approccio per indagare sistemi molto
complessi, quali possono essere intese le aziende. Due assiomi definiscono una situazione di modularità:
1) l’interdipendenza all’interno dei moduli e l’indipendenza tra moduli;
2) astrattezza, information hidding e interfaccia.
La complessità di un sistema modulare “è proporzionale al numero di compiti che lo stesso deve svolgere, per cui tanto
più è elevato il numero degli stessi e tanto più il sistema risulta complesso” (Collini P., Controllo di gestione e processi
aziendali, CEDAM, Padova, 2001, pag. 14). Riconducendosi al caso di un’azienda, continua l’autore, “la performance
del sistema è identificata nel valore economico prodotto per i clienti misurato sulla base della loro disponibilità a pagare
per lo stesso un corrispettivo, ovvero dalla capacità di svolgere i diversi compiti impiegando risorse per un valore
inferiore al valore che le diverse combinazioni producono” (Ibidem, pag. 14).
17
L’impresa è comunque considerabile come il “luogo elettivo per l’esercizio della razionalità”, in quanto, “ per
massimizzare la prestazione competitiva, occorre minimizzare i mezzi, valutando attentamente gli effetti dei diversi
corsi d’azione e scegliendo quello che offre il maggior profitto (…) Agire razionalmente, in altri termini significa
adottare il calcolo mezzi-fine come guida per il comportamento pratico” (E. Rullani, Razionalità e organizzazione:
Teoria dell’0rganizzazione e Teoria dell’Impresa, in Manuale di Organizzazione Aziendale (a cura di Costa G e
Nacamulli R.C.D., vol I, UTET, Torino, 1996)
18
L’adozione di logiche “market driven” spinge a modificare la classica concezione di cliente, destinatario ultimo della
produzione del bene o servizio, a seguito dello scambio con una terza economia. La rilettura delle relazioni industriali e
commerciali secondo prospettive integrate, come la catena del valore o le catene clienti-fornitori, mostra l’importanza di
ciascun passaggio coinvolgente i vari attori economici. Il pericolo di una “gerarchizzazione” tra tipologie di clienti si
risolve nella consonanza interna degli obiettivi assegnati al cliente interno rispetto gli obiettivi generali del processo,
conformi alle richieste del cliente finale.
11
al., 2001), pertanto, è tra i principali fattori critici di successo di una valida formula
imprenditoriale (Coda, 1984);
2. la ricerca di continua del miglioramento, osservato contemporaneamente sotto una
pluralità di profili, come leva fondamentale per l’acquisizione ed il mantenimento di
un vantaggio competitivo (Porter, 1985). Ciò necessità, con varie tecniche, la
misurazione dei risultati attualmente conseguiti ed un permanente meccanismo di
feed-back (Amigoni, 1979; Rolstadas, 1998; Bond, 1999), che consenta di ripensare
e migliorare la propria proposizione di valore alla clientela (Treacy e Wiersema,
1995).
3. lo schematismo risorse-attività-risultati
19
, che assume una struttura di processo
scomponibile in sotto-processi, composti, a loro volta, da un insieme di attività; si
manifesta il proficuo incontro tra il pensiero strategico resource-based e le logiche di
gestione delle attività (Serini, 2000; Sannino, 2002): il processo è luogo di consumo
delle risorse, ingegnerizzato secondo la sensibilità strategica, nel cogliere le
funzionalità e gli attributi del prodotto (Brimson, 1996) desiderati dalla clientela
(Lebas, 1996).
Figura 1.2 Il processo come nesso di collegamento risorse-risultati (Fonte: Bartezzaghi et al., 1999)
19
Il pensiero strategico ha posto una rilevante attenzione in questi ultimi anni al concetto di risorsa come componente
chiave alla base del successo d’impresa. Seguendo una prospettiva storica è possibile ravvisare già nella teoria
d’impresa schumpeteriana un abbozzo di questo approccio, nel concetto di “rendita imprenditoriale”; successivamente,
la teoria organizzativa di E. Penrose considerava l’azienda come un “portafoglio di risorse produttive, fisiche (tangibili)
ed intangibili, sviluppate per il miglior svolgimento della funzione di produzione.” (The theory of the growth of the firm,
New York, John Wiley and sons, 1959). Nell’ambito italiano la funzione primaria delle risorse è stata riconosciuta con
incredibile lucidità e in anticipo rispetto alla letteratura straniera, descrivendo l’impresa come “un complesso
economico di elementi e fattori, di energie e di risorse personali e materiali.” (Masini, 1979). Lo sviluppo della
resource-based view negli anni Ottanta, partendo da una prospettiva nuova, mise in discussione il paradigma
chandleriano struttura-condotta-performance, criticandone l’impostazione statica ed oggettivistica. La novità della
proposta teorica resource-based è quella di legare la profittabilità dell’azienda allo stock di risorse e competenze
distintive possedute, trasferendo pertanto il cuore dell’analisi all’interno dell’impresa stessa. Si vedano per tutti:
Wernefelt B., A resource-based view of the firm, Strategic Management Journal, n. 5, 1984; Prahalad C. K.-Hamel G.,
The core competence of the Corporation, Harvard Business Review, May-June 1990; Grant R., The resource-based
theory of competitive advantage: implications for strategy formulation, California Management Review, n.33, 1991.
RISORSE CLIENTI
PRODUZI
ONE
AMMINIST
RAZIONE
VENDITE
ATTIVITA’ ATTIVITA’ ATTIVITA’ ATTIVITA’
ATTIVITA’ ATTIVITA’ ATTIVITA’ ATTIVITA’
ATTIVITA’ATTIVITA’ATTIVITA’ATTIVITA’
ACQUISTI
12
I fattori elencati hanno un notevole impatto su molti aspetti caratterizzanti l’economia dell’impresa:
anzitutto la centralità del cliente forza la struttura organizzativa (Marn e Rosiello, 1992; Valdani,
1992; Biffi e Pecchiari, 1998), contribuendo a rendere l’azienda “boundaryless” (De Carlo e
Varacca Capello, 1998); diviene, pertanto, fondamentale introdurre meccanismi che consentano di
recepire ed incorporare bisogni ed esigenze del cliente: l’utilizzo di matrici di deployement
20
,
mappe di percezione finalizzate a rilevare le richieste del cliente e la qualità percepita rispondono a
questa logica (Costabile, 1996; Franceschini, 1998). In secondo luogo, la prospettiva del
miglioramento di processo, spesso radicale, è la chiave di volta delle esperienze di reengineering
(Davenport, 1995): la mappatura e l’analisi dei processi ne sono un primo passo fondamentale
(Racheli e Perrone, 1997); la logica sottostante, è quella di individuare un percorso di analitico di
attività ed, in seguito, esercitare un’azione creativa nell’ottimizzare, parallelizzare, ridefinire il
flusso di processo (Oriani, 1997). Ne sono una valida testimonianza, la vastità delle tecniche,
elaborate nell’ambito degli studi di “total quality management
21
”: esse consistono nell’adozione di
una vera e propria filosofia gestionale orientata al processo (Ishikawa, 1985; Freher, 1997;
Pecchiari, 1998b), che, oltre alla focalizzazione sul cliente, necessita uno sforzo profuso nella
collaborazione con la propria supply chain, nella capacità di apprendimento, nella ricerca di
efficienza, compatibile con le esigenze della clientela (Harrington, 1997). Altri approcci, comunque
non alternativi, introducono tecniche statistiche di controllo del processo con l’obiettivo ambizioso
20
Si tratta metodi strutturati elaborati in tema di Quality Function Deployement, tecniche di stimolo per una visione del
cliente sfidante, all’interno della struttura aziendale. Svolgono il ruolo al contempo, di strumenti conoscitivi e di spinta
all’innovazione di prodotto e di processo. Riferendosi alla fase di progettazione di un nuovo prodotto o servizio
Franceschini individua uno schema per fasi: “1. Individuazione delle esigenze del cliente 2. Scelta delle specifiche di
progetto 3. Determinazione delle caratteristiche dei sottosistemi componenti 4. Individuazione delle specifiche del
processo di fabbricazione 5. Scelta delle specifiche per la qualità” (Quality Function Deployement, Il Sole 24 Ore,
Milano, 1998, pag. 35). Questa metodologia ha il chiaro pregio di attivare un “corridoio” informativo tra il cliente e
impresa, imponendo un meccanismo virtuoso di sensibilità al mercato.
21
La metodologia della “qualità totale” affonda le radici nello Scientific Management che si proponeva una ricerca di
standardizzazione e razionalità nello svolgimento di operazioni aziendali. Gli studi e le applicazioni industriali della
aziende giapponesi del dopoguerra generarono una spinta molto forte al miglioramento e alla competitività, ottenibile
grazie al coinvolgimento di tutta la struttura organizzativa, verso obiettivi sfidanti di qualità e soddisfazione del cliente.
La semantica stessa del termine qualità ha subito un deciso cambiamento, con un passaggio da una concezione ristretta
di qualità intesa come “idoneità d’uso” o “conformità alle specifiche tecniche” ad una più vasta e pervasiva che
contemperi aspetti di produttività alla piena soddisfazione del cliente. I sistemi di Qualità Totale e Total Quality
management si configurano pertanto quali filosofie organizzative e gestionali ispirati a questi principi:
1. la focalizzazione alla soddisfazione del cliente; 2. un rapporto di intensa partnership con i fornitori, 3. l’aspirazione al
miglioramento continuo e all’innovazione; 4. l’ntegrazione di tutte le funzioni aziendali, adottando una visione
sistemica dell’organizzazione. L’aspetto tecnico-operativo del miglioramento è ricercato mediante strumenti statistici
come istogrammi, diagrammi causa-effetto, diagrammi di Pareto, analisi di correlazione e carte di controllo, seguendo
una logica PDCA (Plan-Do-Check-Act), ossia una sequenza progettuale che parte dalla preparazione e individuazione
del problema, passa alla conduzione di prove e osservazioni, verifica i risultati ottenuti e infine procede alla
standardizzazione dell’operazione se accettabile, al miglioramento o alla correzione se il test ha avuto esito negativo. Le
filosofie Total Quality contestano il trade-off costo/qualità, presentando l’interessante argomentazione dei costi della
qualità: l’efficacia di un’azione preventiva riduce la probabilità di insuccessi e rilavorazioni, con un positivo impatto
sulla dinamica dei costi. E’ piuttosto nota la seguente distinzione dei costi della qualità in categorie:
• costi relativi alla prevenzione,
• costi relativi alla valutazione,
• costi relativi agli insuccessi.
L’attenzione dell’analisi dei costi si sta spostando sulla fase preventiva, superando il concetto di qualità-conformità per
un più sfidante obiettivo di qualità nella progettazione. La dimensione di processo assume un ruolo fondamentale:
permette infatti un monitoraggio complessivo, mediante misurazioni fisico-tecniche e di mercato della performance, e
fornisce un feed-back immediato per il conseguimento del miglioramento.
13
di aumentare il livello di qualità attribuibile al processo. L’esempio più noto è quello del Six Sigma
Management
22
, una filosofia di lavoro tendente all’eliminazione dei difetti e della variabilità non
controllata del processo (Montgomery, 2000; Hammer, 2002; Truscott, 2003). La logica, infine,
risorse-attività-processo, è alla base delle più interessanti evoluzioni del cost management (Brusa,
1995; Kaplan et al., 2002; Miolo Vitali, 2003a): la misurazione economica può cogliere una vasta
serie di apporti logici e metodologici offerti dall’orientamento ai processi. L’innovazione riguarda i
possibili oggetti di analisi, il metodo di calcolo, la natura delle misure; si tratta secondo Bergamin
Barbato di “un’autentica rivoluzione, rispetto ai presupposti sui quali è fondata l’innovazione
contabile” (Bergamin Barbato, 1991).La contabilità direzionale, nata come strumento informativo a
supporto della gestione, subisce una profonda mutazione, per divenire un più complesso sistema di
management (Brunetti, 1979).
La scomposizione del processo, seguendo una logica di analisi per attività, permette di soddisfare
l’esigenza di una misurazione allargata che contempli, oltre all’aspetto costo, esigenze conoscitive e
gestionali nuove, come i fattori tempo e qualità
23
(Lynch e Cross, 1992; Sannino, 2002). La stessa
natura neutrale dell’elemento “attività”, rispetto alla configurazione organizzativa (Cappellari e
Collini, 1994), consente l’inserimento naturale dei modelli “activity-based” all’interno delle logiche
di processo (Hronec, 1995; Dossi, 2001a). Il paradigma evoluto dell’activity-based management
vede intersecarsi la dimensione di controllo con la prospettiva del miglioramento: il modello
bidimensionale, proposto da Raffish e Turney (Raffish e Turney, 1991; Cinquini, 2003a), presenta
una duplice chiave di lettura: orizzontalmente la gestione per attività, individuando i process cost
driver e le misure di performance incentrate sul processo; verticalmente l’imputazione, dei costi per
attività, agli oggetti di costo che “consumano risorse”.
Si compie una svolta decisiva per il governo economico delle aziende, nella quale il cost
management modellato sui processi aziendali assume il ruolo di meccanismo di governo del
22
La denominazione “sei sigma” deriva dal linguaggio statistico e indica la capability potenziale di varianza tollerata
nello svolgimento del processo applicando principi scientifici di miglioramento della qualità. Ci si riferisce infatti, ad
una distribuzione normale gaussiana, che mostra una difettosità di processo pari o inferiore al 99,9996% equivalente a
3,4 difetti per milione di elementi. Tra gli altri strumenti statistici, utilizzati ampiamente nel controllo e miglioramento
di processo, troviamo le carte di controllo, mutuate dalle tecniche di “statistical process control”. Un approfondimento
del sistema di controllo e miglioramento di processo “Six Sigma” sarà oggetto di un paragrafo del prossimo capitolo.
23
La tendenza all’allargamento della prospettiva della misurazione delle performance, che affianchi ai tradizionali
indicatori economico-finanziari altri tipi di informazioni, è di grande attualità e vede, nella pratica, la costruzione di
schede di valutazione “bilanciate” come la Balanced Scorecard o il Tableau de Bord. L’esigenza di affiancare alla
logica monetaria altre tipologie di rilevazioni, per un’effettiva comprensione dell’economicità aziendale, era già stato
affermato da Zappa con queste parole: “Non si può mai dimenticare che soltanto i valori monetari, i costi, i ricavi, i
risultati lordi, i redditi conseguiti-investiti o distribuiti-, i risparmi, i consumi quando siano consapevolmente
determinati consentono alle imprese di operare economicamente secondo convenienza, di adottare le produzioni alle
mutevoli domande, di ripartire opportunamente i rischi, di predisporre accortamente i processi produttivi e le loro
combinazioni, di speculare, insomma di prevedere in forme generiche o definite, di varia estensione e di varia durata, i
futuri andamenti delle quantità economiche dell’impresa e del mercato. Ciò nonostante, malgrado la notevole portata
delle determinazioni a valore, queste sono inadeguate a una sufficiente conoscenza delle gestioni produttive e
richiedono di essere variamente integrate da rilevazioni del volume fisico delle cose acquistate, prodotte, vendute o
accumulate in scorta, e dalle rilevazioni di andamenti e di future tendenze di quantità economiche di impresa e di
mercato. (…) In altre parole, gli aspetti comuni, nei quali debbono opportunamente rilevarsi non pochi fenomeni della
produzione d’impresa, sono non solo aspetti monetari, ma anche aspetti fisico-tecnici” (Zappa G., 1957, tomo II, pagg.
883-884).
14
cambiamento: l’approccio ex-post del “management by exception” viene sostituito da uno
strumento di guida consapevole, orientato al miglioramento delle prestazioni, che assicuri sentieri
profittevoli di sviluppo (Coda, 1995) e una funzionalità economica duratura
24
, generatrice di valore
(Brugnoli, 2002).
Qualsiasi applicazione manageriale della visione per processi, dovrebbe seguire un approccio
analitico, che consenta una serie di step logici indispensabili, per una corretta implementazione
dello strumento manageriale:
1. analisi del processo aziendale, concettualizzando i fattori critici di successo, la coerenza con
la business idea, le azioni correttive e meccanismi di misurazione e controllo per verificarne
gli effetti;
2. individuazione, a livello micro, delle componenti dei processi, “leggendo” con strumenti di
process mapping i sottoprocessi chiave, le attività che li compongono, i collegamenti, le
relazioni tra attori e le risorse assegnate;
3. applicazione dello strumento di process management, curandone la coerenza con gli
obiettivi aziendali, l’effettiva trasversalità assicurata da meccanismi di integrazione e
coordinamento e valutare, infine, l’efficacia dell’intervento realizzato.
L’immagine, data fino ad ora, del processo aziendale è piuttosto vaga e generica, in quanto ci si è
limitati a fornire una visione d’insieme, ad un primo livello di analisi; la letteratura specifica,
individua alcune sotto-categorie chiave, che contribuiscono a rendere più chiari i concetti testé
esposti; esiste, tuttavia, una pluralità di distinzioni, a seconda dell’elemento critico preso a
riferimento e delle finalità conoscitive desiderate. Ad esempio, Rummler e Brache (1996)
individuano tre tipologie di processi, suddivise per il diverso contributo offerto al sistema generale
d’azienda:
24
La dimensione dello sviluppo e dell’economicità di lungo periodo è ampiamente trattata negli studi economico-
aziendali; si tratta infatti di un argomento chiave, che condensa un disegno strategico complesso, duale, di
contemperamento di obiettivi di breve con esigenze di lungo termine, al quale tutti i processi aziendali dovrebbero
conformarsi. A tal proposito, così si esprimeva P. Onida: “ L’equilibrio economico dell’esercizio o l’autosufficienza
economica, come condizione fondamentale dell’economicità dell’impresa , merita ulteriori precisazioni.
L’autosufficienza dell’impresa può essere considerata con riferimento a diversi periodi di tempo, nel breve, nel medio e
nel lungo andare (…) Nella realtà, i nessi che avvincono strettamente insieme i distinti esercizi dell’azienda, nella
successione degli anni, o in altre parole, l’unità economica della gestione nel tempo, vieta di determinare, se non per
astrazione, equilibri economici per singoli esercizi. L’astratto bilancio economico del breve andare non può essere, di
norma, effettuato che in funzione di molte ipotesi e presunzioni riguardanti il medio e lungo andare; e può essere
variamente configurato in rapporto a queste ipotesi e presunzioni e ai criteri che si seguono nel determinare la
competenza in ragione d’esercizio, di molti componenti di reddito comuni per loro natura a diversi esercizi e
nell’imputare, in particolare, costi che in dati esercizi si sostengono in vista soprattutto, se non unicamente, di utilità che
l’azienda potrà da essi trarre in futuro” (Economia d’azienda, Utet, Torino, 1971, pagg. 59-60). I concetti espressi sono
fortemente ribaditi da G. Brunetti: “L’azienda per essere ordine economico di istituto deve essere duratura, deve cioè
svolgersi secondo condizioni di vita e funzionamento tali da consentire di durare nel tempo in un ambiente mutevole.
(…) L’azienda, che dell’istituto è un’astrazione, eredita questo attributo della durabilità e lo esalta nel senso che essa,
essendo rivolta a soddisfare finalità economiche che sono a loro volta strumentali per il perseguimento di fini generali
di istituto, non può considerare queste finalità economiche che in un’ottica duratura di lungo periodo.” (Airoldi et al.,
1994, pag. 174).
15
a) primari (produzione, logistica, gestione degli ordini, sviluppo prodotto, vendite
ecc.);
b) manageriali (gestione delle informazioni, gestione della qualità e del miglioramento,
gestione dell’ambiente e della sicurezza ecc.);
c) di supporto (gestione e sviluppo del personale, gestione delle risorse fisiche, gestione
delle risorse finanziarie, gestione delle relazioni esterne ecc.).
Tale suddivisione richiama fortemente il celebre modello di M. E. Porter, che individua nove
“attività generatrici di valore
25
” distinte in (Porter, 1999); segue, nella figura, la rappresentazione
della dinamica “processuale” del modello della catena del valore (Porter, 1999):
Figura 1.3 Il modello della catena del valore di Porter (Fonte: Porter, 1999)
25
E’ interessante soffermarsi sul concetto di attività generatrice di valore inserite nel modello generale della catena del
valore. Porter stesso afferma: “Sebbene le attività generatrici di valore siano i blocchi costitutivi del vantaggio
competitivo, la catena del valore non è una collezione di attività indipendenti, bensì un sistema di attività
interdipendenti, correlate da collegamenti all’interno della catena del valore” (Il vantaggio competitivo, Edizioni
Comunità, Torino, 1999, pag. 57). Si tratta di una precisazione molto pertinente, valida anche nelle dinamiche di
processo elaborate da altri autori. L’importanza della strategia nel determinare il successo dell’impresa è descritto
efficacemente dallo stesso autore poco di seguito: “I collegamenti possono portare al vantaggio competitivo in due
maniere: attraverso l’ottimizzazione e attraverso il coordinamento. I collegamenti spesso rispecchiano dei trade-off tra
le varie attività allo scopo di ottenere lo stesso risultato globale. Per esempio, una progettazione del prodotto più
costosa, specifiche più rigorose per quanto riguarda il materiale, o un maggior impegno sul controllo della qualità nel
corso della lavorazione, possono ridurre i costi di assistenza (…) I collegamenti possono anche riflettere la necessità di
coordinare le attività. L’obiettivo della consegna puntuale, per esempio, può esigere che si cooordinino le attività
operative, la logistica in uscita ed i servizi. (…) L’esistenza di coordinamenti implica che il costo o la differenziazione
non sono soltanto il risultato degli sforzi fatti dall’impresa per ridurre i costi o per migliorare le prestazioni in ciascuna
specifica attività. Il nuovo orientamento nei confronti dell’attività produttiva e della qualità- fortemente influenzato
dall’esperienza giapponese- non è altro che il riconoscimento dell’importanza dei collegamenti. (Ibidem, pagg. 57-60).
VALORE
Sviluppo tecnologia
Gestione e sviluppo risorse umane
Approvvigionamenti
Supporti istituzionali e infrastrutture aziendali
Operation
Logistica
in uscita
Marketing
e vendite
Logistica
in entrata
Assistenza
postvendita
16
Dallo schema è possibile individuare le seguenti tipologie di attività:
• attività primarie:
1) logistica in entrata,
2) operations,
3) logistica in uscita,
4) marketing e vendite,
5) servizi e assistenza post-vendita;
• attività di supporto:
6) gestione delle infrastrutture aziendali,
7) gestione delle risorse umane,
8) sviluppo tecnologico,
9) approvvigionamenti.
Un altro modello piuttosto noto, distingue i processi in base alla loro strutturabilità e all’impatto
sulle prestazioni aziendali: i processi “core”, interni, e “network”, relazionali con clienti e fornitori,
sono caratterizzati da un impatto diretto sulle performances aziendali e dotati, rispettivamente, di un
alto grado di strutturabilità i primi, bassa i secondi; i processi di supporto, “support”, e di gestione,
“management” hanno un impatto indiretto sulle prestazioni aziendali e anch’essi, rispettivamente,
sono caratterizzati da alta strutturabilità il primo e bassa il secondo
26
. (Earl e Khan, 1994; Dossi,
2001a).
Un altro interessante approccio, attua una distinzione in base al contenuto routinario o innovativo
dei processi esaminati (Gilbreath, 1986), individuandone due tipologie fondamentali:
• processi a flusso;
•processi a impulso.
26
Dossi propone di valutare il grado di conoscenza (e di strutturabilità) di un flusso logico di processo sulla base di
alcune variabili critiche:
1) la numerosità degli elementi in input;
2) la variabilità degli elementi in input;
3) la varietà degli elementi in input;
4) il grado di conoscenza delle relazioni causa-effetto;
5) il grado di misurabilità degli output parziali di processo.
(Cfr. Dossi A., I processi aziendali. Profili di misurazione e controllo, Egea, Milano, 2001a, pagg. 168-169).