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potenziali di rischio per alcuni paesi come l’Italia. La Cina va considerata nel medio
periodo il più temibile concorrente nei settori a tecnologia intermedia di nostra
tradizionale presenza […]. Il nostro paese deve attrezzarsi, anche attraverso organiche
forme di partenariato pubblico-privato, per acquisire un adeguato posizionamento
competitivo in quei settori che già rappresentano, per il paese, irrinunciabili punti di
forza. Deve altresì garantirsi una presenza significativa nei settori emergenti ad alta
densità di conoscenze come le biotecnologie, le nanotecnologie e le ICT (information
and communication technology) […] in quanto settori high-tech in cui il valore
aggiunto e l’occupazione crescono con ritmi di almeno tre volte superiori al tasso di
crescita industriale totale.”
Per mantenere, quindi, alti livelli di produzione/occupazione, occorre che il
sistema industriale, specie nelle economie avanzate dove il costo del lavoro è più alto
rispetto alle economie dei paesi emergenti, si indirizzi verso beni ad elevato contenuto
tecnologico. Questi ultimi, infatti, sono caratterizzati da una crescita della domanda
superiore alla media, sono meno esposti alla pura competizione di prezzo e meno
imitabili da paesi emergenti o in via di sviluppo.
A questo punto diventa una logica conseguenza parlare della necessità di
operare innovazioni di prodotto e di processo per mantenere l’offerta produttiva di un
paese a livelli di costo/qualità paragonabile con quella delle economie concorrenti. Da
qui deriva l’attenzione alla capacità di fare ricerca scientifica e trasferimento
tecnologico alle imprese. Non solo occorre investire in ricerca ma questa deve generare
reali processi innovativi nella produzione.
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Per questo motivo si tende sempre più a finanziare progetti di ricerca che
vedono la cooperazione tra industria e centri di ricerca o università. Da qui nasce anche
l’esigenza di gestire progetti complessi che devono raggiungere un obiettivo definito in
un certo tempo ed entro i previsti limiti di costo. Per gestire quindi al meglio un
progetto di ricerca è utile ricorrere alle metodologie di Project Management che sono
oggetto di questo elaborato.
Il capitolo iniziale di questa tesi è quindi dedicato ad una panoramica sul
mondo della ricerca e sul trasferimento tecnologico, sia a livello internazionale che in
riferimento al caso italiano. A questo fa seguito un capitolo che illustra il concetto di
Project Management: metodologie di gestione, pianificazione e controllo di un
progetto con riferimenti a progetti industriali e progetti di ricerca. L’ultimo capitolo è
dedicato all’innovazione come scelta strategica d’impresa e illustra due casi reali di
progetti di ricerca.
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CAPITOLO I
RICERCA SCIENTIFICA E INNOVAZIONE
1. Introduzione
La ricerca scientifica è considerata input indispensabile per quelle imprese che
intendono mantenere o ampliare le proprie quote di mercato attraverso un costante
aggiornamento dei propri prodotti (migliorare la qualità, ampliare la gamma) e/o dei
propri processi produttivi (abbattere i costi di produzione). A causa del rapido
cambiamento dei contesti competitivi, le imprese devono assolutamente anticipare il
cambiamento e non semplicemente reagire ad esso limitandosi a mere operazioni di
imitazione (per altro non sempre possibili). La ricerca industriale è interpretata come
sinonimo di innovazione e, quindi, di capacità di tenere il passo con le industrie
concorrenti. Il tema della ricerca viene dibattuto pubblicamente nel momento in cui è
l’intero sistema industriale di un paese che deve reggere il confronto con i sistemi
industriali dei paesi “concorrenti”. Per questo motivo la ricerca scientifica è entrata
nell’ambito delle attività di pubblico interesse e, come tale, non solo ad essa si dedica
parte della P.A. (attraverso l’attività svolta da enti pubblici di ricerca e università) ma,
per attività di ricerca, sono stati istituiti e finanziati appositi fondi pubblici che
annoverano tra le proprie finalità anche quella di favorire il trasferimento tecnologico
dal sistema scientifico a quello produttivo-commerciale.
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2. Ricerca di base, ricerca fondamentale, ricerca industriale e
trasferimento tecnologico
Prima di proseguire nella panoramica sulla ricerca scientifica è utile specificare la
distinzione tra ricerca di base, fondamentale, industriale (o ricerca applicata) e
trasferimento tecnologico. La ricerca di base tende ad aumentare le conoscenze umane
indipendentemente da possibili applicazioni pratiche o sfruttamenti economici della
ricerca stessa. In questo modo si crea “conoscenza” che, a prima vista, potrebbe
sembrare fine a se stessa ma occorre tener presente che la produzione di un nuovo
prodotto (sia esso un microchip o un vaccino) richiede la comprensione dei principi
scientifici sottostanti. L’industria biotecnologica e le scoperte del settore biomedico,
oggi utilizzate ampliamente dalle aziende ospedaliere, sono il risultato di attività di
ricerca di base realizzati oltre trent’anni fa da singoli e/o gruppi di ricercatori
incuriositi di conoscere la natura del materiale genetico. La ricerca di base, quindi, è
spesso il punto di partenza per sviluppare conoscenze successive tramite la c.d. ricerca
fondamentale che, partendo dai presupposti della ricerca di base, si dirige verso definiti
campi di applicazione. Nonostante il suo indirizzo più “pratico” anche la ricerca
fondamentale non è generata da specifiche problematiche industriali da risolvere.
La ricerca industriale, invece, prende spunto da uno specifico problema legato al
mondo produttivo e, partendo da conoscenze sviluppate mediante la ricerca di base e la
ricerca fondamentale, tende a trovare una soluzione tecnica, o meglio, indaga
sull’esistenza di soluzioni tecniche, economicamente vantaggiose, utili al
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miglioramento di un prodotto o di un processo produttivo. Nel caso in cui la ricerca
industriale arrivi a dei risultati apprezzabili, questi sono conseguiti con macchine,
impianti ed attrezzature da laboratorio. Spesso l’oggetto della ricerca è applicato ad un
campione dalle dimensioni fisiche ridotte ed elaborato con tempi di
produzione/trattamento propri della ricerca in essere. Ben altra cosa è produrre lo
stesso campione su scala industriale, con altre dimensioni e secondo i tempi della
produzione in serie. I risultati conseguiti in laboratorio solo raramente sono trasferibili
in modo automatico alla produzione industriale. Tutto il lavoro utile ad adattare i
risultati della ricerca industriale alla produzione in serie (in modo da migliorare
quest’ultima e arrivare a concretizzare, da un punto di vista economico e non solo da
quello del progresso delle conoscenze umane, tutto il lavoro di ricerca precedente al
trasferimento industriale) è un processo noto come trasferimento tecnologico.
I risultati della ricerca di base e della ricerca fondamentale sono in genere articoli
divulgativi pubblicati e diffusi all’interno della comunità scientifica di riferimento.
Questi articoli sono finalizzati ad avere il riconoscimento del lavoro di ricerca, da essi
illustrato, da parte della comunità scientifica stessa e, quindi, entrare a far parte della
cultura condivisa. La ricerca di base e la ricerca fondamentale sono svolte
principalmente nelle università e negli enti pubblici di ricerca.
Il risultato della ricerca industriale è tipicamente la messa a punto di un prototipo
che sarà poi il punto di partenza per avviare la fase di trasferimento tecnologico. La
ricerca industriale e il trasferimento tecnologico sono tipici delle divisioni di R&S
delle grandi industrie e delle multinazionali, nonché dei centri di ricerca pubblici o
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privati che operano su singoli progetti in collaborazione con imprese interessate ad
avviare un processo innovativo. Anche la ricerca industriale può divulgare parte dei
suoi risultati tramite la pubblicazione di articoli scientifici ma l’obiettivo principale
resta quello di creare valore aggiunto alla produzione, rendendo innovativo un prodotto
già esistente sul mercato oppure creandone uno completamente nuovo. Ampio spazio
occupano, quindi, i brevetti di procedure e/o scoperte messe a punto dalla ricerca
industriale. Ricerca di base, fondamentale, industriale e trasferimento tecnologico
possono essere definite come la “filiera della ricerca”. Le difficoltà maggiori che si
hanno nel tradurre le conoscenze scientifiche in progresso economico e tecnologico,
oltre che culturale, risiedono in uno scarso coordinamento tra queste realtà produttive
della ricerca. Una seconda difficoltà è senza dubbio l’insufficiente collegamento ed
interscambio tra questa filiera della ricerca ed il mondo industriale specie nel caso in
cui quest’ultimo è costituito soprattutto da PMI (come gran parte del tessuto produttivo
italiano) che non sempre hanno al proprio interno competenze tali per poter dialogare
in modo efficace col mondo accademico-scientifico.
È possibile fare un esempio che, partendo dai risultati della ricerca di base, arrivi
al trasferimento tecnologico. Prendiamo il caso della produzione di protesi vascolari.
Nella chirurgia spesso si rende indispensabile sostituire un pezzo di vena o di arteria
con una protesi. Il materiale che meglio risponde a questo impiego, per caratteristiche
di flessibilità e resistenza meccanica, è il PET.
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Se però si dovesse impiantare in un paziente una protesi fatta di PET tal quale
questa sarebbe riconosciuta dall’organismo come corpo estraneo e si attiverebbero le
naturali difese immunitarie dell’organismo della persona impiantata, che
provocherebbero dei trombi. Per “mascherare” quindi la protesi di PET all’organismo
stesso e alle sue difese immunitarie, occorre rivestire la stessa di cellule umane. In
questo modo l’organismo vedrebbe una superficie composta appunto da cellule umane
e non si attiverebbero i processi di difesa verso un corpo estraneo. Il problema però è
che, sebbene il PET abbia caratteristiche meccaniche adatte a quest’uso, è poco
bagnabile, cioè la sua superficie non consente una adeguata adesione delle cellule tale
da permettere un suo rivestimento. Occorre, quindi, trattare la superficie del PET in
modo da modificarla chimicamente ed impiantare su di essa dei “gruppi funzionali”
composti da molecole di azoto ed idrogeno. Questo trattamento può essere fatto in un
“contenitore” (reattore) in cui il campione viene immerso in un gas ionizzato (plasma)
che, interagendo chimicamente col PET, né modifica le caratteristiche di bagnabilità.
Dopo questa ampia ma necessaria premessa, si può dire che, a grandi linee, la ricerca
di base studia i legami chimici tra gli elementi, le loro possibili reazioni, il
bilanciamento energetico etc. La ricerca fondamentale studia, per esempio, le
caratteristiche del PET, con quali elementi può interagire e come possono essere
modificate le sue caratteristiche. La ricerca industriale è quella a cui viene posto il
problema specifico di aumentare la bagnabilità del PET in modo da rendere ad esso
aderenti le cellule umane.
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La ricerca industriale deve indicare qual è la tecnologia con cui fare il trattamento
(ad esempio decidere di farlo tramite un gas ionizzato) quali devono essere le
condizioni di lavoro (quanto dev’essere la quantità di azoto e di idrogeno da
immettere, con quale potenza, pressione, flusso dev’essere fatto il trattamento e quanto
deve durare lo stesso per avere risultati apprezzabili). Il trasferimento tecnologico è, in
questo esempio, la parte di scienza che sta tra la ricerca e l’ingegneria industriale.
Sapendo come trattare il PET, con quale tecnica, con quali gas, per quanto tempo etc.
si può progettare un impianto industriale capace di produrre protesi vascolari tramite
PET superficialmente modificato, da sottoporre, successivamente, a processo di
rivestimento cellulare controllato.
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3. L’attività di ricerca nelle economie avanzate
La continua innovazione dei prodotti, dei processi produttivi e delle
organizzazioni aziendali è considerata fattore imprescindibile per mantenere una
adeguata crescita economica nelle economie avanzate. Tale innovazione è possibile
attraverso il trasferimento tecnologico dal sistema scientifico a quello produttivo-
commerciale. Questo trasferimento è ben lontano dall’essere automatico e, quindi, le
imprese, l’ambiente della ricerca accademica e le autorità nazionali e locali sono state
spinte a creare, o valutare, un’ampia gamma di organizzazioni a sostegno
dell’innovazione con l’obiettivo di favorire la diffusione degli avanzamenti scientifici
e tecnologici nei settori industriali.
Nel contesto dei paesi avanzati sono individuabili alcuni emblematici modelli
di comportamento. Gli Stati Uniti si caratterizzano per elevati impegni di spesa in
attività di Ricerca e Sviluppo, soprattutto nella ricerca applicata. Il Giappone ha
perseguito una politica spinta di innovazione di processo e di prodotto e, solo più di
recente, ha iniziato ad attribuire maggiore importanza alle attività di ricerca scientifica
(di base e fondamentale) dopo un periodo in cui è stata privilegiata una politica di
imitazione. Si stima che l’industria privata contribuisca per il 77% delle spese totali in
R&S, lo Stato per il 19% e le università per il 4%. Considerato che la maggior parte
degli investimenti in ricerca proviene dal settore privato, in Giappone la ricerca è
orientata soprattutto verso la ricerca applicata.
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Occorre notare, però, che gli investimenti in ricerca non sono diffusi in modo
uniforme in tutto il tessuto industriale giapponese, infatti, se da un lato le prime cinque
imprese giapponesi per investimenti in R&S (Hitachi, Toyota, Matsushita, NEC e
Fujitsu) da sole investono somme pari al totale delle spese in R&S del settore privato
della Gran Bretagna, dall’altro si trovano interi settori industriali giapponesi che non
godono di posizioni d’avanguardia da un punto di vista scientifico e tecnologico.
Relativamente all’Europa, la Germania ha sviluppato un rapporto ormai ben
consolidato fra enti pubblici di ricerca, università e industria. Il settore pubblico
presidia tutto l’arco innovativo fino all’ingegnerizzazione dei prototipi, avvalendosi
per le fasi a monte (ricerca fondamentale) delle università che sono dislocate in 16
centri con un totale di circa 11.000 ricercatori. Nel settore pubblico operano anche gli
Istituti di ricerca federale che lavorano nel campo delle tecnologie industriali e
svolgono un ruolo di supporto per la piccola e media impresa. In Germania, dunque, la
collaborazione tra mondo accademico e mondo industriale rientra in un contesto
organizzativamente strutturato. Nelle principali economie occidentali, ad eccezione del
Giappone, parte della spesa in ricerca fatta dalle imprese è finanziata dallo Stato. Italia
e Francia sono i paesi nei quali è più elevata la percentuale di finanziamento dello
Stato e minore quella delle imprese (Tab. 1.1) La situazione opposta si verifica in
Giappone mentre negli Stati Uniti è più alta la percentuale di R&S svolta dalle imprese
ma finanziata dallo Stato (Tab. 1.2). Non a caso c’è chi sostiene che negli Stati Uniti e
in Giappone esiste una chiara volontà di utilizzare gli investimenti in R&S per
generare “posizionamenti tecnologici e competitivi” ben specifici piuttosto che puntare
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sulla ricerca in maniera generica, intesa come attività dedicata al progresso delle
conoscenze umane.
Tab. 1.1 Origine dei finanziamenti alla R&S.
%della R&S totale
finanziata dalle
imprese
% della R&S totale
finanziata dallo
Stato
% della R&S totale
finanziata da altre
fonti nazionali
% della R&S totale
finanziata
dall’estero
Italia 48,2 47,3 - 4,5
Germania 61,5 36,0 0,4 2,0
Francia 43,9 47,7 0,9 7,6
Regno Unito 51,0 34,9 3,8 10,7
Stati Uniti 57,3 40,6 3,1 -
Giappone 76,3 19,4 4,2 0,1
Fonte: OCSE, ISTAT, Confindustria (1995).
Tab. 1.2 Origine dei finanziamenti per attività di R&S svolte dalle imprese.
% della R&S delle imprese
finanziata dalle imprese stesse
% della R&S delle imprese
finanziata dallo Stato
%della R&S totale
finanziata dall’estero
Italia 77,9 15,2 6,9
Germania 86,6 10,6 2,4
Francia 68,9 20,1 9,9
Regno Unito 69,8 15,9 14,4
Stati Uniti 74,5 25,5 -
Giappone 98,5 1,3 0,1
Fonte: OCSE, ISTAT, Confindustria (1995).
Relativamente all’Unione Europea, il Libro verde sull’Innovazione
(Commissione Europea 1995) sottolinea che il sistema della ricerca e il sistema
industriale europeo presentano una serie di punti deboli.
Il primo di questi riguarda il fatto che l’UE investe in ricerca e nello sviluppo
tecnologico meno dei paesi suoi concorrenti. Stati Uniti e Giappone investono in
ricerca percentuali maggiori del loro PIL rispetto al totale dei paesi dell’Unione. Questi
ultimi investono in ricerca una percentuale pari al 2% mentre gli Stati Uniti sono intorno
al 2,8% e il Giappone è al 3,1%.
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Una seconda categoria di punti deboli è connessa alla carenza di coordinamento,
a vari livelli, delle attività, dei programmi e delle strategie in materia di ricerca e di
sviluppo tecnologico in Europa. Il terzo e maggior punto debole del sistema di ricerca
europeo è, con molta probabilità, la sua capacità relativamente limitata di trasformare i
progressi scientifici e le realizzazioni tecnologiche in successi industriali e commerciali.
La situazione europea è quasi paradossale dato che, se comparate con quelle dei
principali concorrenti, le sue prestazioni scientifiche sono eccellenti ma, nel corso degli
ultimi 25 anni, le sue prestazioni tecnologiche, industriali e commerciali in settori di
punta come l’elettronica o le tecnologie dell’informazione, si sono nettamente
deteriorate. Pertanto la presenza di settori in cui i risultati scientifici e tecnologici sono
comparabili, se non superiori, a quelli di altri Paesi extra UE, ma in cui le prestazioni
industriali e commerciali sono inferiori, indica l’importanza strategica insita nel saper
trasformare il potenziale scientifico e tecnologico in innovazioni redditizie.