Premessa
5
Premessa
L’idea di provare a far lavorare insieme alunni di età diverse mi è venuta dopo aver sentito
un seminario della Nemirovsky dove venivano presentati modelli di tutoring tra alunni di scuola
materna e di scuola elementare.
L’esigenza di trovare nuove modalità di sostegno all’insegnamento in situazioni ordinarie e
non, rappresentava da tempo una mia necessità, più o meno da quando avevo cominciato ad
interessarmi dell’alfabetizzazione degli alunni stranieri che arrivavano, sempre più numerosi, nella
scuola dove lavoravo. Il loro arrivo infatti, rappresentava una fonte di forte ansia per le docenti e di
destabilizzazione per la classe, soprattutto, a mio modo di vedere, a causa dell’inadeguatezza
dell’insegnamento “tradizionale”, frontale e trasmissivo, di rispondere alla richiesta pressante della
classe e dei bambini stranieri di “entrare” a pieno titolo in quel mondo di conoscenze che a scuola,
ma non solo, separa chi è adeguato da chi inesorabilmente non lo è.
Una delle riflessioni che mi capitava di fare si soffermava sulla considerazione che alcuni
dei bambini che arrivavano a scuola da altri Paesi possedevano un patrimonio di conoscenze
culturali e a volte anche “scolastiche” che era difficilissimo fare emergere in contesti usuali. D’altra
parte era in molti casi evidente che all’interno delle classi c’erano bambini capaci di aiutare gli altri
e di aiutarli come e talvolta meglio degli insegnanti stessi.
Queste pratiche però, nella scuola dove è stato svolto l’intervento che è anche la scuola dove
insegno, non sembravano e non sembrano essere viste di buon occhio. Su alcune modalità di
insegnamento, che cercano di coinvolgere maggiormente gli alunni, non sembra esserci consenso
soprattutto in ragione del fatto che la scuola elementare viene considerata “ancella” della scuola
media e pertanto le priorità che i docenti perseguono riguardano principalmente la trasmissione
disciplinare e marginalmente la costruzione di competenze trasversali o “altre”.
Se questo poi avviene perché alcuni alunni hanno risorse proprie, familiari o culturali, tanto
meglio per loro. In una realtà siffatta e percepita qualsiasi tentativo di proporre modelli di
insegnamento includenti attività da svolgere insieme, tra insegnanti e insegnanti e tra alunni e
alunni, presenta seri ostacoli sia ideologici sia operativi.
Ciò nonostante, sorretta dalla convinzione che tra le persone si annidino risorse inesplorate e
inespresse, ho continuato a coltivare l’idea che fosse necessario modificare la proposta didattica per
riuscire a sostenere l’apprendimento di coloro che manifestavano evidenti bisogni linguistici,
culturali e anche cognitivi.
Premessa
6
Un mio primo tentativo di provare ad applicare quello che viene poi presentato nella
relazione che segue è da ricondurre alla necessità nel mio Istituto di creare una pluriclasse in un
piccolo plesso. In quell’occasione chiesi al dirigente scolastico di permettermi di occuparmi di una
pluriclasse composta da otto alunni di 2
a
elementare e da cinque alunni di 5
a
elementare. La mia
richiesta venne rigettata dal voto contrario delle altre 3 colleghe del plesso che preferivano una
soluzione di pluriclasse di 1
a
e 2
a
elementare. Questo tentativo quindi finì nel nulla, ma a me rimase
la curiosità di voler provare comunque un’esperienza simile.
Nel frattempo, mentre mi occupavo di alunni stranieri, inseriti anche nella scuola media del
mio Istituto, continuavo ad osservare le difficoltà di questi ragazzi ad instaurare rapporti con i
coetanei che normalmente li allontanavano e attribuivano talvolta anche le loro defaillance e le loro
insofferenze alla presenza nelle classi di compagni “stranieri” adducendo a motivazione di scarso
impegno, di noia, di irrequietezza, i tempi e i ritmi che questi compagni talvolta o spesso
imponevano alla classe. Considerazioni di questo tipo purtroppo non mi risultavano nuove, da
sempre le sentivo e le sento da molti colleghi e potevo solo constatare che questi atteggiamenti
erano stati ben assimilati anche dagli allievi che li avevano fatti propri.
Alla luce di queste considerazioni ho a lungo riflettuto sulle motivazione che potevano
sostenere e giustificare un cambiamento nell’approccio all’insegnamento laddove si era in presenza
di alunni con bisogni diversi e per certi versi, nuovi, e in questo senso le mie appassionate letture
prima e il mio percorso universitario poi mi hanno aiutato a trovare quei “sostegni” che credo
possano essere utili ad indirizzare e dare fondamento all’idea che sia ormai necessario trovare, usare
e promuovere modi di insegnare più ricchi e flessibili.
Con il senno di poi forse la gestione di una pluriclasse con le caratteristiche che ho citato in
precedenza non sarebbe risultata facile, comunque l’idea di un’esperienza scolastica che potesse
coinvolgere bambini di età diverse era rimasta tra le mie speranze.
L’occasione per una realizzazione parziale, ma controllata e quindi in qualche modo validata
dai risultati che si sarebbero ottenuti, mi si è ripresentata in occasione della relazione finale del mio
percorso universitario. Ed ecco quindi che ho ricominciato a pensarne la fattibilità.
Il mio interesse si è focalizzato, in un primo momento, su modalità di lavoro che potessero
coinvolgere il gruppo classe come gruppo di pari. Questa scelta però avrebbe presentato alcuni
punti di debolezza perché l’apprendimento cooperativo prevede momenti di preparazione specifica
dei gruppi e dei singoli componenti ai quali vengono assegnati ruoli definiti preventivamente.
In effetti alcuni approcci presuppongono la suddivisione della classe in piccoli gruppi
eterogenei ai quali viene affidata una certa attività da portare a termine attraverso la suddivisione
dei compiti di cui ogni componente del gruppo si assume la responsabilità.
Premessa
7
L’attività di ognuno contribuisce alla completezza del lavoro del gruppo che viene valutato
complessivamente e individualmente.
Approcci di questo tipo però sembrano essere più adatti in ordini di scuola superiori alla
scuola elementare e comunque non sembrano, a mio parere, rispondere a una delle criticità cui
facevo cenno precedentemente e cioè la poca tolleranza nei confronti del diverso che riscontravo e
riscontro in molte realtà di classe.
Quindi il problema era un po’ più complesso e doveva essere affrontato prima della
preadolescenza per evitare la sedimentazione di idee e preconcetti con cui si era quotidianamente
convissuti.
Ma non bastava. Agli aspetti sociali, secondo me si dovevano affiancare capacità di
interazione e di scambio, di proposta cognitiva tali da permettere un reale aiuto anche dal punto di
vista apprenditivo.
I dati empirici in mio possesso, - grado di soddisfazione dichiarato dalle insegnanti e da
alcuni genitori e valutazioni scolastiche degli alunni ad opera delle stesse insegnanti, - sostenevano
la convinzione diffusa che un insegnamento in prevalenza trasmissivo aveva caratteri di eccellenza
e si manifestava con caratteri di competenza effettiva.
Sotto questo aspetto il mio affidamento è stato totale: la competenza dichiarata corrisponde a
competenza reale.
Con queste premesse ho cominciato il percorso di laboratorio che è raccontato e spiegato
nelle pagine che seguono.
Introduzione
8
Introduzione
L’esperienza descritta è nata proprio dal proposito di applicare una modalità di
insegnamento basata sui principi dell’apprendimento cooperativo, del tutoring in particolare
(Topping, 1988; Canevaro, 1983), che ha fornito i criteri e le premesse per organizzare un ambiente
di apprendimento nel quale coniugare apprendimento del sapere scolastico e raggiungimento di
obiettivi formativi.
Nel tutoring l’interazione tra gli allievi è l’elemento attorno al quale ruotano le altre variabili
connesse al processo di apprendimento. Questa visione assume che assistere ed aiutare un
compagno durante il processo di apprendimento della lingua italiana, e specificatamente nel
processo di composizione del testo narrativo, può essere una condizione, oltre che di miglioramento
dei risultati scolastici per entrambi i partner, anche di coinvolgimento emotivo ed emozionale e di
costruzione di competenze prosociali.
A livello globale, Cohen et al. (1982) giungono alla seguente conclusione:
Questi programmi hanno chiari effetti positivi sul rendimento scolastico e gli
atteggiamenti di coloro che vi partecipano. Tali programmi, inoltre, hanno anche effetti
positivi sui tutor tanto sul piano dell’atteggiamento quanto su quello della comprensione.
Tali considerazioni hanno costituito una base sufficiente per sostenere la convinzione che il
tutoring incida positivamente sugli atteggiamenti dei tutee nei confronti dei contenuti insegnati e
che le prestazioni degli alunni che partecipano come tutor diventino migliori di quelle di altri alunni
nell’area curricolare considerata.
Nel progetto la decisione di coinvolgere alunni di classi diverse - e precisamente di classe II
e V elementare - è stata dettata dalla necessità di poter disporre di tutor mediamente “competenti” in
lingua italiana, essendo i tutee scarsamente “competenti”, data la loro origine socio-culturale di
immigrati e figli di immigrati di recente o recentissima immigrazione.
L’intervento, condotto in accordo con le insegnanti curricolari di lingua italiana delle classi
coinvolte, ha cercato di trovare una relazione di interdipendenza positiva tra l’esperienza di tutoring
e diversi problemi discussi in ambito educativo: quali le difficoltà di scrittura, la povertà lessicale,
le inesattezze e gli errori ortografici e sintattici relativi a carenze di conoscenze in vari ambiti dal
culturale al relazionale, rilevate dalle osservazioni delle insegnanti, e che vedono coinvolti
principalmente gli alunni di provenienza straniera, iscritti nelle classi.
Il primo intento afferisce alla necessità di migliorare le abilità di linguaggio e di scrittura di
alcuni allievi stranieri. Questo obiettivo è coerente con le necessità educative dell’istituzione
scolastica dove si è svolto l’intervento.
Introduzione
9
Nell’ambito di questo progetto ero interessata a valutare se, attraverso un laboratorio
didattico di tutoring, si potesse promuovere un apprendimento più solido e maturo nella lingua
italiana come L2 e migliorare una serie di “competenze linguistiche” ritenute fattori rilevanti della
determinazione del successo scolastico degli allievi stranieri.
Il secondo riflette il proposito di osservare in che misura l’intervento potesse promuovere
e/o migliorare rapporti interetnici, sostenendoli con la conoscenza, la fiducia e la disponibilità verso
l’altro percepito come diverso da sé.
La realtà della scuola dove si è svolto l’intervento è caratterizzata da una presenza - il 12% -
percentualmente significativa di alunni di origine straniera che presentano situazioni diversificate
che possono essere raggruppate in tre tipologie. Il primo gruppo è composto da bambini stranieri
nati in Italia e che hanno frequentato la scuola dell’infanzia, al secondo gruppo appartengono
bambini che sono arrivati in Italia entro i 5 anni di età, nel terzo gruppo si comprendono i bambini
giunti in Italia all’inizio della scuola elementare.
È questo terzo gruppo e, in parte anche il secondo, che presenta generalmente maggiori
difficoltà sia a livello di adeguatezza dell’apprendimento scolastico sia a livello di socializzazione.
Alla luce di questa situazione si giustifica, a mio parere, anche la scelta di proporre un
intervento mirato alla promozione dei rapporti interpersonali attraverso una migliore conoscenza
reciproca.
Capitolo 1 Quadro teorico di riferimento
10
Capitolo 1
1. Quadro teorico di riferimento
1.1 Il tutoring come esperienza di aiuto e condivisione
L’assistenza, l’aiuto e la condivisione sono considerate come categorie di comportamento
prosociale. Rappresentano condotte prosociali attive, ovvero sono comportamenti finalizzati a
beneficiare un’altra persona. Con riferimento a tali osservazioni si può intendere per
“comportamento prosociale” un’azione tesa a favorire una o più persone (Mussen e Eisenbeg-Berg,
1985; Salfi e Barbara, 1990-1991; Staub, 1978; Roche, 1997).
Una definizione che potrebbe essere assunta come indicazione per strutturare un intervento è
la seguente “ …quel comportamento che, senza la ricerca di ricompense esterne, favorisce altre
persone, gruppi o fini sociali ed aumenta una probabilità di generare una reciprocità positiva di
qualità e solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conseguenti, salvaguardando l'identità, la
creatività e l'iniziativa dei gruppi implicati.” (Roche, 1991).
L’analisi dell’agire prosociale comporta, secondo Batson (1998), l’applicazione di una
duplice strategia di ricerca: la prima è diretta alla conoscenza del grado con cui sono correlati i
fattori di personalità e quelli situazionali con i comportamenti prosociali; la seconda è orientata
all’individuazione dei fattori sottostanti l’agire prosociale.
All’interno della seconda strategia si possono distinguere due filoni di analisi. Nel primo
settore di indagine si collocano gli autori che hanno cercato di individuare le motivazioni, che
hanno focalizzato la loro attenzione sulle emozioni e che hanno indirizzato le indagini sugli
antecedenti cognitivi associati all’attuazione di un comportamento prosociale.
1.
In particolare nella teoria dello sviluppo cognitivo i bambini, non vengono visti come
passivi, guidati da impulsi istintivi, ma capaci di agire sull'ambiente, spesso in modo creativo, così
come l'ambiente agisce su di loro. Tale teoria rileva l'importanza dello sviluppo delle teorie
cognitive viste non come statiche, ma volte a cogliere il significato di quello che accade nella vita di
tutti i giorni.
1 Una delle motivazioni che spinge all'altruismo è quella predisposizione interna denominata empatia. Secondo Hoffman (1982) essa
è “una risposta affettiva vicaria più appropriata di un'altra alla situazione dell'altro”. Per la Eisenberg (in P. Di Blasio, E. Camisasca,
1995), invece, la definizione di tale costrutto è la percezione del bisogno dell'altro “implicante comprensione e simpatia”.
Naturalmente, durante lo sviluppo, l'empatia non rimane la semplice percezione dei sentimenti dell'altro, ma si arricchisce
cognitivamente attraverso l'identificazione e la piena comprensione da parte del soggetto empatico dello stato affettivo dell'altro;
infatti, la capacità dell'assunzione del punto di vista e dell'assunzione di ruolo dell'altro sono fondamentali non solo per comprendere
i sentimenti altrui, ma anche per il radicarsi nella personalità dei significati morali delle condotte prosociali.
Capitolo 1 Quadro teorico di riferimento
11
La teoria dello sviluppo cognitivo, quindi, si occupa dei cambiamenti provocati dall'età nei
giudizi morali e nelle abilità di assunzione di ruolo e di prospettiva che sono fondamentali
nell'attuazione del comportamento prosociale.
Il secondo filone di ricerca è stato condotto da autori interessati ai benefici sociali e
psicologici dell’agire prosociale, i quali hanno tentato di capire se un’azione prosociale potesse
essere appresa e quali fossero i suoi antecedenti sociali.
2
Secondo la teoria dell’apprendimento sociale il comportamento sociale positivo sarebbe
appreso attraverso gli stessi processi che governano l'apprendimento di qualsiasi altro
comportamento. In questo quadro diventano determinanti sia i fattori ambientali e situazionali che
di relazione interpersonale.
Le condotte sociali vengono così interpretate come la conseguenza di rinforzi diretti, mentre
il carattere morale viene definito come l'insieme di abitudini e virtù apprese attraverso l'influenza
dei genitori e degli adulti significativi (A. M. Asprea, 1993).
In altre parole studiosi diversi si sono domandati se il non essere arrivista, il non essere
aggressivo, l’essere capace e desideroso di aiutare, di farsi accettare e di accettare gli altri, dotato
cioè di quella che si definisce “intelligenza sociale” possa essere appreso e come. Se questo
comportamento prosociale, questo altruismo è in buona misura dovuto ai genitori, che lo
costruiscono inconsapevolmente, modellando il bambino sul loro proprio modello interiore
3
,
conseguentemente la fiducia in se stessi, e negli altri, crea “buone” identità personali.
L’esperienza relativa a questo cammino di crescita apparterrà al bambino se egli, vivendo la
sua quotidianità, sarà capace di mantenere la propria unitarietà e la propria continuità di fronte ad
un destino perennemente mutevole
4
.
Attualmente la crisi delle istituzioni più specificamente delegate al processo di
socializzazione, come la famiglia e la scuola, ha fatto nascere l’esigenza di rafforzare le interazioni
di tipo cooperativo fra le persone.
La scuola in particolare ha sempre prestato scarsa attenzione all’interazione tra gli alunni,
mentre nella società l’esigenza di collaborare è diventata particolarmente importante nella vita
sociale.
2 Una delle condizioni che può favorire o inibire la condotta sociale positiva è il contesto familiare; in uno studio di Hoffman, 1975
(in P. Di Blasio, E. Camisasca, 1995) viene rilevata come significativa l'incidenza socializzante del genitore dello stesso sesso. Si
può, inoltre, affermare che “uno stile educativo basato sulla tendenza a fornire spiegazioni, usare il ragionamento e la persuasione,
più che le punizioni, costituisce un fattore facilitante il comportamento altruistico e la comprensione delle esigenze altrui”. Anche il
tipo di relazioni con i pari età ha la sua influenza nello sviluppo di tale comportamento; in una ricerca di N. Eisenberg et al. (1981),
venne rilevato che i bambini che generalmente avevano frequenti interazioni sociali positive con i compagni e gli insegnanti, agivano
maggiormente in maniera prosociale e ricevevano risposte positive a questa condotta.
3
D. Winnicott, Colloqui con i genitori, Raffaello Cortina Editore, Milano 1993
4
E.H. Erikson, Introspezione e responsabilità, Armando, Roma 1972
Capitolo 1 Quadro teorico di riferimento
12
La partecipazione attiva di molte persone è determinante per il buon esito di molte attività,
per questo, nel corso degli anni, riflessioni su questi temi hanno dato vita alla costruzione di
programmi formativi finalizzati alla promozione di comportamenti e atteggiamenti prosociali sia in
bambini che in adolescenti (De Beni, 1998; 2000; Roche, 1997; 2002).
Quindi verificare gli effetti del tutoring sui comportamenti prosociali è in linea con il lavoro
svolto da questo secondo gruppo di ricercatori.