II
Nel presente lavoro si cercherà di determinare se ed in che misura i
fattori sopra elencati hanno effettivamente inciso sul conseguimento dei
risultati economici ponendo a confronto le diverse tesi presenti nella
letteratura economica. In particolare, nel primo si procederà all’analisi
del quadro generale della situazione europea riguardo alla crescita del
PIL pro capite, dell’occupazione e della produttività del lavoro
guardando anche ai fattori che influenzano positivamente la crescita
economica; saranno, altresì, sintetizzate le argomentazioni, derivanti
dal lato della domanda e dal lato dell’offerta, che forniscono una
spiegazione della più bassa performance europea rispetto a quella degli
USA e delle divergenze tra i paesi europei mettendo in rilievo la scarsa
validità delle tesi a sostegno di una maggiore flessibilità del mercato del
lavoro come fattore fondamentale per la creazione di occupazione e,
quindi, per la crescita economica.
Nel secondo capitolo saranno considerate le esperienze di alcuni paesi
europei caratterizzati da un rallentamento della crescita delle loro
economie –Germania, Francia ed Italia –e di altri caratterizzati da
un’accelerazione dei tassi di crescita economica –Spagna ed Irlanda –
cercando di determinare quanto le divergenze tra questi paesi siano
legate ai processi storici, politici e sociali che li hanno interessati.
Nel terzo capitolo si procederà all’analisi delle divergenze in termini
reali esistenti a livello regionale, cercando di determinare quanto queste
sono legate alle situazioni economiche dei paesi d’appartenenza e
come si sono evolute nel tempo; nell’esaminare i processi di
convergenza o divergenza saranno sintetizzati tre distinti filoni di
letteratura: la teoria della crescita neoclassica, la teoria della crescita
endogena e la nuova geografia economica, inoltre sarà analizzato
l’impatto esercitato dai fondi strutturali sulla riduzione delle disparità
regionali. In ultimo, saranno presentate le conclusioni del presente
lavoro.
1
CAPITOLO 1
UNO SGUARDO ALLA SITUAZIONE ECONOMICA EUROPEA
DEGLI ANNI ‘90
1.1 Crescita economica e disoccupazione europea
Durante gli anni ’90, la crescita economica europea non solo è stata
debole rispetto a quella degli USA, ma anche rispetto alla crescita
media europea degli anni ’80.
Grafico 1.1 Crescita del PIL
(aumento medio annuo del PIL pro capite)
Fonte: Wyplosz (2000).
Dalla metà degli anni ’90, tuttavia, è stata registrata una ripresa nei
tassi di crescita europei (vedi tabella 1.1), anche se la performance
europea resta sotto quella statunitense, non solo in termini di crescita
2
del PIL ma anche in termini d’occupazione e di crescita della
produttività del lavoro (tabella 1.3, 1.4).
Tabella 1.1Tassi di crescita media annua del PIL reale (%)
periodo 1975-2001
Irlanda
Lussemburgo
Finlandia
Olanda
Spagna
Grecia
Portogallo
Svezia
Regno Unito
Belgio
Danimarca
Austria
Francia
Italia
Germania
UE-15
Stati Uniti
Giappone
1975-1985
3.5
2.4
2.9
1.9
1.6
2.1
3.0
1.5
1.9
2.1
2.1
2.4
2.4
3.0
2.2
2.3
3.4
3.8
1985-1990
4.6
6.4
3.3
3.1
4.5
1.2
5.5
2.3
3.3
3.1
1.3
3.2
3.3
2.9
3.4
3.2
3.2
5.2
1990-1995
4.7
5.4
-0.7
2.1
1.5
1.2
1.8
0.6
1.6
1.5
2.0
2.0
1.1
1.3
2.0
1.5
2.4
1.5
1995-2001
9.1
6.1
4.9
3.7
3.7
3.5
3.4
2.9
2.8
2.8
2.6
2.5
2.5
2.0
1.8
2.6
3.9
1.1
Fonte: European competitiveness report 2001
Nella seconda metà degli anni ’90 Irlanda, Lussemburgo e Finlandia
hanno registrato tassi di crescita dell’economia rispettivamente pari al
9.1%, 6.1% e 4.9%. Rispetto alla prima metà degli anni ‘90 altri paesi
europei hanno registrato un aumento significativo nei loro tassi di
crescita: Olanda, Spagna, Grecia, Portogallo, Svezia, Regno Unito,
Belgio e Danimarca. Germania ed Italia hanno conseguito i tassi di
crescita più bassi, rispettivamente del 1.8 % e del 2%.
Il rallentamento della crescita, che è stato più evidente per i paesi
continentali, è stato accompagnato da una disoccupazione in salita che
continua il suo trend iniziato negli anni ’70.
3
L’opinione dell’OCSE è che negli anni ’80 e ’90 in tutti i paesi dell’area
dell’OCSE, a seguito di ripetuti shocks dell’offerta, è andata
aumentando la componente di trend della disoccupazione, vale a dire la
disoccupazione strutturale non influenzata dal ciclo economico.
1
Grafico 1.2 Tasso di disoccupazione europeo
Fonte: Wyplosz (2000).
Tabella 1.2 tassi di disoccupazione (%)
CE/UE B D F I L NL DK IRL UK E L E P A FIN S
C-6
EC-9
EC-10
EC-12
EU-15
EU-15
1958
1973
1981
1986
1995
2001
-
-
7.4
10.8
10.1
7.4
3.3
2.4
10.2
10.0
9.7
6.6
3.0
1.0
4.5
6.4
8.0
7.7
1.0
2.7
7.4
9.9
11.3
8.5
7.5
6.2
7.8
8.9
11.5
9.4
-
-
1.0
2.5
2.9
2.0
-
-
8.5
7.8
6.6
2.4
-
0.9
10.3
5.0
6.7
4.3
6.4
5.7
10.4
16.8
12.3
3.8
1.7
2.2
9.0
11.2
8.5
5.0
-
-
4.0
6.6
9.2
10.5
0.7
2.7
13.7
17.3
18.8
10.6
-
-
7.4
8.8
7.3
4.1
-
1.1
2.5
3.1
3.9
3.6
-
2.3
4.8
5.3
15.4
9.1
-
-
2.8
2.7
8.8
4.9
Fonte : Eurostat, Ocse
Paesi membri della CE/UE
Nuovi paesi membri della CE/UE
Paesi non membri della CE/UE
1
OECD 1994, pag. 67.
4
In Europa il fenomeno ha preso il nome di “eurosclerosi”. Questo
termine indica che i paesi europei hanno avuto una scarsa capacità di
generare flussi addizionali d’occupazione nelle fasi d’espansione
economica quindi, non riuscendo a compensare nelle fasi d’espansione
le perdite d’occupazione registrate nelle fasi di recessione, si sono
andati assestando su equilibri del mercato del lavoro caratterizzati da
livelli di disoccupazione di carattere permanente più elevati rispetto al
passato.
2
Inoltre, la disoccupazione europea sembra essere
caratterizzata da una crescente contrazione dei flussi in uscita dalla
disoccupazione (lavoratori disoccupati che trovano lavoro) piuttosto che
da flussi in entrata (lavoratori licenziati), ciò per effetto di una diminuita
possibilità di trovare lavoro una volta divenuti disoccupati piuttosto che
di un’aumentata possibilità di perderlo se occupati (Caroleo, 2000). La
conseguenza è un consistente aumento della disoccupazione di lunga
durata che contribuisce oggi per più del 50% al tasso di disoccupazione
di buona parte dei paesi europei.
3
La crescita della disoccupazione
strutturale è giustificata sulla base della riorganizzazione istituzionale in
Europa a seguito degli shocks avversi verificatesi negli anni ’70 e che
possono essere riassunti in:
1. caduta del tasso di crescita della produttività del lavoro a seguito
della rivoluzione tecnologica;
2. aumento del tasso d’interesse reale;
3. spostamento della domanda di lavoro verso il basso a seguito
delle decisioni delle imprese, a partire dagli anni ’80, di
aumentare la quota di capitale fisico sul prodotto dopo un lungo
periodo di riduzione negli anni ’60 e ’70.
4
2
Scarpetta (1996); Caroleo (2000).
3
Lindbeck (1994), Caroleo (2000); Lyungqvst, Sargent (2002); Layard, Nickell e Jeckman
(1991)
4
Caroleo (2000); Lyungqvst, Sargent (2002).
5
Tabella 1.3 Disoccupazione di lunga durata e disoccupazione strutturale
Fonte: Caroleo (2000).
Un’altra spiegazione della disoccupazione europea è quella derivante
da “isteresi”. Isteresi spiega perché shocks che incidono sul tasso di
disoccupazione effettivo tendono ad avere effetti permanenti, giacché il
tasso naturale di disoccupazione segue quello effettivo (Caroleo 2000).
Blanchard e Summers (1986) hanno individuato tre casi di isteresi:
1. asimmetria di comportamento tra insider e outsider. I primi
sfruttando il loro potere sui salari e di esclusione degli outsider,
dopo un periodo di recessione in cui si è verificata una
diminuzione dell’occupazione, fanno sì che nella fase successiva
di espansione si producano adeguamenti salariali piuttosto che
aumenti dell’occupazione;
2. perdita di capitale umano per i disoccupati di lungo periodo che
diventano non più reimpiegabili;
6
3. vincoli alla riduzione del tasso di disoccupazione derivanti dal
fatto che nel periodo di recessione vi è stata una scarsa
accumulazione di capitale fisico (Caroleo 2000).
Caroleo (2000) rivisita l’idea di fondo dell’OCSE espressa nel job study
del 1994 secondo la quale l’alta disoccupazione europea è dovuta alle
rigidità delle norme e regole che operano nell’incontro tra domanda e
offerta di lavoro e che sono responsabili sia dell’aumento della
disoccupazione di equilibrio (strutturale) sia di fenomeni di persistenza
(isteresi). L’implicazione di policy è che ciascun paese dovrebbe
procedere ad una consistente riforma istituzionale che vada verso lo
sviluppo della concorrenza nel mercato del lavoro. Lo stesso autore,
però, è critico nei confronti dell’OCSE e, a sostegno della sua critica
pone l’evidenza empirica: “…l’evidenza empirica tuttavia, mentre da un
lato sembra dimostrare un certo effetto delle rigidità istituzionali sulla
composizione della disoccupazione, non sembra invece fornire stime
robuste sulla determinazione del livello della stessa. Inoltre, risulta
altrettanto evidente che il mercato del lavoro europeo è caratterizzato
da una grande variabilità degli assetti istituzionali, nelle caratteristiche
dei mercati del lavoro locali e nelle strategie di policy adottate da
ciascun paese, per cui risulta difficile pensare come unica soluzione del
problema della disoccupazione il semplice ripristino della legge di
mercato.”
5
In sostanza, l’evidenza empirica, nella comparazione tra l’economia
europea e quella statunitense, sembra dimostrare che il solo
differenziale nei tassi di disoccupazione non spiega tutte le differenze
tra le due aree. Le diversità sembrano potersi ricondurre ai più bassi
livelli di partecipazione femminile e giovanile specie nei paesi
mediterranei; non sembrano potersi ricondurre, invece, alla difficoltà di
5
Caroleo (2000), pag. 5.
7
trovare lavoro per i lavoratori a bassa qualifica ed ai diversi gradi di
rigidità salariale. Inoltre, i paesi europei evidenziano una grande
variabilità nelle caratteristiche dei mercati del lavoro non tutte spiegabili
dal diverso grado di rigidità istituzionali.
Tabella 1.4 Indicatori del mercato del lavoro: femmine e giovani. Anno 1998
Fonte: Caroleo (2000).
8
Tabella1.5 Indicatori del mercato del lavoro: livello di istruzione bassa. Anno
1998
Fonte: Caroleo (2000).
Le divergenze nella performance economica tra i paesi europei e tra
Europa e USA riflettono differenze negli sviluppi della domanda e
dell’offerta.
6
Wyplosz (2002) ha sintetizzato le argomentazioni derivanti
dal lato della domanda e dal lato dell’offerta per spiegare la bassa
crescita e l’elevata disoccupazione europea. Analizziamole
brevemente. Le spiegazioni derivanti dal lato della domanda
sostengono che le politiche restrittive attuate in Europea dopo gli
shocks petroliferi degli anni ’70 ed ’80, rese ancora più pronunciate dal
Trattato di Maastricht, sono state inefficienti in termini di crescita
economica ed occupazione, inoltre i più alti tassi d’interesse hanno
condotto le imprese a adottare misure volte a ridurre i tassi
6
IMF world economic outlook (WEO), october 1999.
9
d’accumulazione del capitale o a ridurre i salari reali spinte
dall’esigenza di più alti profitti. In particolare Phelps (1994) ha associato
lunghi periodi di bassa crescita e alta disoccupazione con esogeni
aumenti “long-lasting” nei tassi d’interesse. Di conseguenza l'equilibrio
risultante è quello in cui, nei periodi d’alti tassi d’interesse reali, i salari
reali aumentano e l’occupazione diminuisce.
Le spiegazioni derivanti dal lato dell’offerta pongono l’accento sulla
domanda di lavoro e sulle inefficienze del mercato del lavoro. I
sostenitori di queste spiegazioni guardano alle istituzioni del mercato
del lavoro ed ai fattori strutturali che agiscono sulla disoccupazione
strutturale europea:
1. sindacati e contrattazione collettiva;
2. benefici di disoccupazione;
3. protezione del lavoro;
4. elevati costi di assunzione e licenziamento;
5. salari minimi;
6. imposte sul lavoro.
Riassumendo, l’origine della perdita di competitività europea è stata
attribuita a diversi fattori, tra i quali:
1. bassa crescita dell’occupazione e della produttività media del
lavoro
2. disoccupazione e rigidità nei mercati del lavoro;
3. politiche restrittive attuate in Europa;