2
professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di prima
occupazione, con particolare riferimento alle fasce deboli del mercato
del lavoro
”
2
.
Inoltre con tale riforma:
- sono state modificate alcune tipologie contrattuali: collaborazioni
coordinate e continuative;
- sono state introdotte nuove formule contrattuali: lavoro intermittente e
staff leasing;
- sono state apportate modifiche al rapporto di lavoro part-time e
all’associazione in partecipazione;
- sono state regolamentate le prestazioni occasionali;
- è stato sostituito il contratto di formazione e lavoro
3
con il contratto di
inserimento;
- è stato ridisciplinato, in maniera del tutto innovativa, il contratto di
apprendistato.
Oggetto del presente lavoro sono i rapporti di collaborazione coordinata
e continuativa “a progetto” e i rapporti occasionali (collaborazioni
occasionali, lavoro occasionale accessorio, lavoro autonomo
occasionale), prestando particolare attenzione agli aspetti previdenziali
e assicurativi inerenti a tali rapporti e procedendo a un raffronto con le
collaborazioni tradizionali.
E’ importante premettere che la riforma delle collaborazioni risponde
ad un’opzione politica precisa: lo scopo è “impedire un utilizzo
improprio e abusivo delle collaborazioni e, quindi, ridurre per quanto
possibile le forme di flessibilità impropria riequilibrando i rapporto di
lavoro autonomo e subordinato”
4
.
2
Art. 3, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, Finalità.
3
Che continuerà ad applicarsi soltanto nell’ambito delle Pubbliche Amministrazione
(art. 86, comma 9, d.lgs. n. 276/2003).
4
Circ. Min. Lav. 8 gennaio 2004, n. 1.
3
Non a caso, nel “Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia” redatto
nel 2001 dal Prof. Marco Biagi, espressamente si legge
5
: “occorre
prevedere nuove tipologie contrattuali che abbiano la funzione di
“ripulire” il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di alcuni
strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o frodatoria della
legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, e che, nel contempo,
tengano conto delle mutate esigenze produttive ed organizzative.
In questa ottica si segnala […] la prospettazione del lavoro a progetto,
come forma di lavoro autonomo parasubordinato in cui rileva
fortemente il fattore della realizzazione appunto di un progetto avente
precisi requisiti in termini di quantificazione temporale, ma anche di
qualità della prestazione”.
Tiraboschi
6
sostiene che “l’introduzione di nuove flessibilità si
giustifica con l’impegno a eliminare quelle forme di flessibilità
impropria, che spesso si nascondono dietro lo strumento delle
collaborazioni coordinate e continuative”. Prima della riforma, infatti,
anche a fronte di prestazioni che certamente non si caratterizzavano per
l’autonomia, si stipulavano contratti di collaborazione coordinata e
continuativa ai quali si accompagnavano minori costi per le imprese,
ma, cosa particolarmente grave, minori tutele per i lavoratori, anche di
carattere previdenziale.
La nuova disciplina, come si chiarisce anche nella Relazione di
accompagnamento della legge delega n. 30
7
del 14 febbraio 2003, non
introduce una nuova fattispecie contrattuale, ma restringe la nozione di
cui all’art. 409 c.p.c., che viene espressamente richiamata, in funzione
5
Pag. XIII.
6
M. TIRABOSCHI, Il lavoro a progetto e le collaborazioni occasionali , in La Riforma
Biagi, supplemento di Guida Lav. n. 4/2003, nota 1, 107.
7
V. D’ORONZO, Primi chiarimenti ministeriali sulla disciplina del lavoro a progetto, in
Guida Lav., n. 3/2004, 10 s.
4
antifraudolenta, così confermando, in ogni caso, la riconducibilità delle
collaborazioni all’area del lavoro autonomo
8
.
Nella Relazione di accompagnamento del d.lgs. n. 276/2003 si legge,
inoltre, che le collaborazioni coordinate e continuative “hanno
rappresentato un modo con cui la realtà ha individuato nelle pieghe
della legge le strade per superare rigidità e insufficienze delle regole
del lavoro”, e si dice, proprio a superamento della “farisaica
accettazione di questa pratica elusiva”, di voler ricondurre siffatti
rapporti alla diversa del lavoro a progetto.
In senso contrario si segnala l’opinione di R. De Luca Tamajo
9
, per il
quale il lavoro a progetto configurerebbe un nuovo tipo contrattuale, sia
per la precisione dei contorni definitori, sia per la specifica disciplina di
cui risulta destinatario, e anzi, costituirebbe non già un tertium, bensì
un quartum genus, per cui si propone un nuovo acronimo (co.pro.pro,
collaboratori a progetto o a programma), che si collocherebbe accanto
alla residua, ma permanente categoria dei collaboratori continuativi e
coordinati.
8
Stabilisce infatti la circolare del Ministero del Lavoro n. 1 del 2004 che “L'art. 61 non
sostituisce e/o modifica l'art. 409, n. 3, c.p.c. bensì individua, per l'ambito di
applicazione del decreto e - nello specifico - della medesima disposizione, le modalità
di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore, utili ai fini della
qualificazione della fattispecie nel senso della autonomia o della subordinazione.
Sul piano generale, peraltro, il lavoro a progetto non tende, allo stato, ad assorbire
tutti i modelli contrattuali riconducibili in senso lato all'area della c.d.
parasubordinazione”.
9
R. DE LUCA TAMAJO, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, in Itinerari
d’impresa. Management, Diritto, Formazione, n. 3/2003, www.diritto.it.
5
CAPITOLO 1
IL RAPPORTO DI COLLABORAZIONE
PRIMA DELLA “RIFORMA BIAGI”
1.1. Nozione. Il rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa non è definito in modo specifico dal legislatore e viene per
questo ricondotto genericamente all’art. 2222 e seguenti del Codice
Civile che disciplina il rapporto di lavoro autonomo e il contratto
d’opera, disponendo che: “quando una persona si obbliga a compiere
verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei
confronti del committente si applicano le norme di questo capo – capo I
– salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV”.
Un’altra disposizione di fondamentale importanza in materia di
collaborazioni coordinante e continuative è l’art. 409, n. 3, c.p.c., come
modificato dalla l. 533/1973, il quale estende la disciplina delle
controversie individuali di lavoro anche a quei rapporti di
collaborazione “che si concretino in una prestazione d’opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a
carattere subordinato”.
La formula utilizzata dal Legislatore del 1973, per la verità, non era
completamente sconosciuta all’ordinamento, in quanto una analoga
locuzione era già presente nell’art. 2 della l. 14 luglio 1959, n. 741 (c.d.
Legge Vigorelli), che conferiva la delega al Governo per l’emanazione
di norme giuridiche conformi alle clausole dei contratti collettivi, al
fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e
normativo per tutti gli appartenenti a determinate categorie di lavoratori
tra i quali anche coloro che svolgevano “prestazione d’opera
continuativa e coordinata”.
6
Inoltre di collaborazioni coordinate e continuative si parla anche in
altre e varie disposizioni di legge sull’imposizione fiscale e
previdenziale (art. 49, c. 2, lett. a), d.p.r. n 917/86; art. 2, c .26, l. n.
335/95) e di natura assistenziale (art. 59, comma 16 l. n. 449/1997; l.
488/1999; art. 5 d.lgs. 38/2000).
Dalle varie disposizioni sopra citate discende, secondo Vallebona
10
, un
“nucleo essenziale comune” consistente nella “collaborazione
continuativa e coordinata, senza vincolo di subordinazione e
prevalentemente personale”.
I presupposti per la qualificazione di un rapporto come di
collaborazione coordinata e continuativa, precisati e commentati più
volte anche dalla sezione Lavoro della Suprema Corte
11
, sono:
- la continuità, intesa come cooperazione non occasionale all’attività
del committente; essa implica persistenza nel tempo, non
necessariamente derivante da una serie ininterrotta di incarichi
bastando anche un unico incarico di apprezzabile durata
10
;
- la coordinazione che deve essere intesa come “funzionalizzazione”
della prestazione del collaboratore all’attività dell’impresa, ciò
significa che il collaboratore non persegue un risultato autonomo
correlato agli obiettivi del committente, ma con la propria attività
contribuisce al loro raggiungimento. Sottolinea sempre Vallebona
12
che
il coordinamento dell’attività va distinto dalle eterodirezione tipica del
lavoro subordinato e che esso può estrinsecarsi nei modi più svariati
anche in relazione al tempo e al luogo dell’attività, ma non può mai
10
A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro, CEDAM, 2004,
177
11
Cass., Sez. Lav., 26 luglio 1996, n. 6752, in AC, 1997, 163; Cass., Sez. Lav., 20
agosto 1997, n. 7785, mass., e, di recente, Cass., Sez. Lav., 9 marzo 2001, n. 3485,
mass.; Cass., Sez. Lav., 19 aprile 2002, n. 5698, in LG, 2002, 1164.
12
A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro, CEDAM, 2004,
177
7
consistere in penetranti ordini e controlli sulle modalità di esecuzione
della prestazione.
Diversa l’opinione di Suppiej
13
per il quale invece “il potere di
coordinare non è e non può essere cosa diversa dal potere direttivo del
datore di lavoro, se non sotto un profilo meramente quantitativo”.
Si riporta, infine, l’opinione della Corte di Cassazione per la quale la
coordinazione deve essere intesa come una “connessione funzionale tra
l’attività dl collaboratore e l’organizzazione del destinatario della
prestazione”
14
;
- la prevalenza dell’attività personale “va riferita sia all’attività degli
eventuali collaboratori […], sia ai capitali e in genere alle strutture
organizzative impiegate
15
” ed è fondamentale che l’opera del
collaboratore “resti decisiva e non limitata alla mera organizzazione di
beni strumentali e/o di lavoro altrui
16
”;
- la non subordinazione, cioè la non “soggezione” del prestatore
d’opera al potere direttivo immanente del soggetto a cui favore è
prestata l’opera stessa. La Corte di Cassazione, vista la pratica
difficoltà di riconoscere il vincolo e il grado di subordinazione, ha
fornito
17
una serie di elementi sintomatici dell’esistenza di un rapporto
di lavoro subordinato:
13
G. SUPPIEJ – M. DE CRISTOFARO – C. CESTER, Diritto del Lavoro, CEDAM, 2003, 43.
14
Cass. , nn. 14722 del 1999 e 3485 del 2001, L. CASTELVETRI, Lavoro a progetto:
finalità e disciplina, in M. TIRABOSCHI (a cura di) La Riforma Biagi del mercato del
Lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del decreto legislativo 10 settembre
2003 n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, 152.
15
G. SUPPIEJ – M. DE CRISTOFARO – C. CESTER, Diritto del Lavoro, CEDAM, 2003, 44.
16
A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro, CEDAM, 2004,
177
17
Cass. n. 10077/2000; Cass. n. 9900/2003, M. FRASCARELLI, Le nuove collaborazioni,
Edizioni FAG, Milano, 2004, 36.
8
svolgimento delle mansioni secondo procedure predeterminate
dalla direzione, senza alcun margine di autonomia per il
lavoratore;
fissazione di un orario di lavoro predeterminato, continuativo e
non inferiore a quello degli altri dipendenti;
assunzione del rischio d’impresa da parte del datore di lavoro;
retribuzione con compenso orario e non in base a tariffa
professionale e pagamento della retribuzione a cadenza periodica
prestabilita.
E’ importante sottolineare che nessuno degli indici elencati è da solo
idoneo a costituire una scriminante tra lavoro autonomo e subordinato;
di conseguenza la valutazione di tali indici deve essere effettuata in
maniera ponderata. In altre parole, tali criteri devono essere oggetto di
un apprezzamento complessivo del rapporto avendo riguardo alle
concrete modalità di attuazione della prestazione e alla volontà reale ed
effettiva delle parti, non rilevando l’inquadramento formale che le
stesse gli hanno dato
18
.
18
Cass. n. 1442/1999 e Cass. n. 1666/2001, M. FRASCARELLI, Le nuove collaborazioni,
Edizioni FAG, Milano, 2004, 36.
9
1.2. Residuo campo di applicazione delle collaborazioni
tradizionali. A partire dal 24 Ottobre 2003, data di entrata in vigore
del decreto legislativo n. 276/03, per rapporti di collaborazione devono
intendersi quelli previsti all’art. 61 del decreto stesso.
Il breve excursus sui rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa tradizionali si è ritenuto doveroso in quanto essi
sopravvivono nei seguenti casi:
- alle collaborazione con la Pubblica amministrazione (art.1, comma 2).
Sull’esclusione della Pubblica amministrazione Miscione
19
rileva che
“alla fine i vecchi co.co.co. rimangono inalterati […] proprio dove gli
abusi e le elusioni sono più frequenti” contraddittoriamente alle
intenzioni di impedire un utilizzo improprio delle collaborazioni;
- agli agenti e rappresentanti di commercio, per i quali è già prevista
una disciplina speciale (art. 61, comma 1);
- alle collaborazioni occasionali
20
(ex art. 61, comma 2);
- agli incarichi dei componenti degli organi di amministrazione e
controllo delle società (art. 61, comma 3). Condizione necessaria
affinché tali rapporti siano considerati collaborazioni è che l’attività
svolta non rientri nei compiti istituzionali oggetto dell’abituale
professione del collaboratore, altrimenti il rapporto assume natura di
lavoro autonomo;
- ai partecipanti a collegi e commissioni (art. 61, comma 3) tra i quali
vanno inclusi anche gli organismi di natura tecnica, così come precisa
la circolare del ministero del lavoro n. 1/2004;
19
M. MISCIONE, Il collaboratore a progetto, in Lav. Giur., 2003, 812.
20
Cfr. Cap. 7.
10
- alle collaborazioni con titolari di pensioni di vecchiaia (art. 61,
comma 3). L’esclusione dei pensionati di vecchiaia comprende,
secondo la Circ. Min. Lav. n. 1/2004, anche quei soggetti titolari di
pensioni di anzianità o di invalidità che, ai sensi della normativa
vigente, al raggiungimento del 65° anno di età vedono automaticamente
trasformato il loro trattamento in pensione di vecchiaia;
- alle professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in
appositi albi professionali esistenti alla data di entrata in vigore del
decreto. Il decreto si rivolge all’attività di fatto svolta, cioè all’oggetto
del contratto; quindi l’iscrizione all’albo non rileva se poi l’attività
oggetto del contratto non è riconducibile ad una delle professioni
intellettuali per cui è necessaria l’iscrizione;
- alle collaborazione comunque “rese e utilizzate a fini istituzionali in
favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle
federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli
enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate
e disciplinate dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.”
(art. 61, comma 3). Anche per i collaboratori sportivi, così come per le
pubbliche amministrazioni, non si capisce perché non vi sarebbero
rischi di elusione; condivisibile la critica di Miscione
21
secondo il quale
“la logica dell’esclusione (introdotta nel testo finale del decreto su
sollecitazione delle Commissioni Parlamentari) pare non chiara e
ancor meno chiara l’espressione “comunque rese e utilizzate ai fini
istituzionali”, senza neppure considerare la necessità di prestazioni
“prevalentemente personali”;
21
M. MISCIONE, Il collaboratore a progetto, in Lav. Giur., 2003, 818.
11
- nelle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della
disciplina vigente che alla data di entrata in vigore del decreto non sono
riconducibili a un progetto o a una fase di esso; esse conservano, ai
sensi dell’art. 86, comma 1 del d.lgs. n. 276/2003, la loro efficacia,
anche se transitoria, cioè non oltre un anno dall’entrata in vigore del
decreto stesso (quindi fino al 24 Ottobre 2004).
Sempre l’art. 86 prevede la facoltà di stabilire la conversione in termini
diversi, anche superiori l’anno, nell’ambito di accordi sindacali di
transizione al nuovo regime stipulati in sede aziendale con le istanze
aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano
nazionale. In altre parole si lascia alla contrattazione collettiva la
possibilità di influire sull’applicazione della nuova disciplina
derogando alla “volontà della legge” anche per un periodo di tempo non
definito soprattutto nelle aziende di grandi dimensioni. Sul punto si è
anche espresso il Ministero con la circolare n. 1/2004 che al secondo
paragrafo del punto XI ribadisce e aggiunge che: “sempre per le
collaborazioni in atto che non possono essere ricondotte ad un progetto
o a una fase di esso è prevista la facoltà di stabilire termini più lunghi
di efficacia transitoria, purché ciò sia stabilito nell'ambito di un
accordo aziendale con il quale il datore di lavoro contratta con i
sindacati interni la transizione di questi collaboratori o verso il lavoro
a progetto, così come disciplinato dal decreto legislativo n. 276/03, o
verso una forma di rapporto di lavoro subordinato che può essere
individuata fra quelle disciplinate dal "nuovo regime" dei rapporti di
lavoro previsti dal medesimo d.lgs. […], ma anche già disciplinate
(contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, a termine, a
tempo parziale, ecc.)”.
12
1.3. La disciplina del rapporto (cenni). Si è già affermato che la
disciplina normativa dei rapporti di collaborazione tradizionali è
modesta; ad essi si applicano le norme sul processo del lavoro (l. n.
533/1973), la disciplina inerente alle rinunzie e transazioni (art. 2113
c.c.), la tutela previdenziale pensionistica attraverso l’iscrizione alla
Gestione separata Inps (l. n. 335/1995), tutela per la maternità e assegni
per il nucleo familiare (art. 59, comma 16 l. n. 449/1997), la tutela
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (art. 5, d.lgs.
38/2000), l’applicazione del regime fiscale del lavoro dipendente
(redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, ex art. 47
22
, c. 1 lett. c-
bis, D.P.R. n. 917/86.), il riconoscimento dell’attività sindacale e del
diritto di sciopero.
Poiché le collaborazione coordinate e continuative tradizionali e il
lavoro a progetto godono della stessa tutela previdenziale e
assicurativa, si rinvia a quanto verrà detto nei Capitoli 3, 4 e 5.
22
Si ricorda che la numerazione degli articoli del D.P.R. n. 917/1986 ha subito una
modifica a seguito dell’entrata in vigore del d.lsg. n. 344/2003 di riforma
dell’imposizione sul reddito delle società (Ires). L’art. 47 è diventato art. 50.