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Nel capitolo tre ho analizzato in modo specifico l’inserimento socioprofessionale
degli immigrati. Come avviene l’incontro tra offerta di lavoro nazionale e la domanda
di lavoro immigrata -3.1.-, come le reti etniche consentano di migliorare tale incontro
e siano spesso un valido appoggio socioeconomico per coloro che ne fanno parte -
3.1.1.-, lo sviluppo relativamente recente di una vivace imprenditoria immigrata
inteso anche come via alternativa, anche se più rischiosa, di integrazione
socioprofessionale -3.2.-. Anche in questo capitolo ho inserito, per concludere e
integrare la parte teorica, alcune rilevazioni empiriche riguardanti la popolazione
attiva -3.3.1.-, il lavoro autonomo -3.3.2.- e l’imprenditorialità straniera -3.3.3.-,
nell’arco di tempo compreso tra il 1996 e il 2001 per i primi due indicatori e tra il
1996 e il 2002 per il terzo e per il livello nazionale, regionale e provinciale.
Nell’ultimo capitolo ho infine mostrato quali sono le politiche di integrazione previste
dalla legislazione italiana e quali potrebbero essere gli interventi da attuare in futuro
per migliorare a livello normativo l’integrazione degli immigrati.
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1. Il fenomeno immigratorio
1.1. Inquadramento generale
Per comprendere il fenomeno immigratorio occorre per prima cosa analizzare quali
motivazioni possono spingere una persona o un gruppo di persone a spostarsi dal
proprio luogo d’origine ad un altro.
La realtà si presenta molto complessa ed eterogenea, ma come punto di partenza si
può osservare che le migrazioni avvengono o all’interno di un paese o a livello
internazionale. Il flusso delle migrazioni internazionali, a sua volta, è
significativamente mutato nel corso del ventesimo secolo e tutte o quasi le
motivazioni si possono racchiudere nel termine di spinte politico-economiche-
demografiche (Golini, 1999), quali:
-carestie, disastri naturali, guerre, scontri etnici, regimi non democratici. La maggior
parte delle persone che fuggono da queste situazioni, i cosiddetti rifugiati, si
spostano all’interno del paese d’origine o in paesi limitrofi, solo una piccola parte di
essi riesce a raggiungere i paesi ricchi dell’emisfero nord del mondo.
- forte crescita demografica non accompagnata da un’adeguata crescita economica
ed occupazionale. Tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento
l’Europa riusciva a non avere a suo carico il 20% della popolazione in quel momento
ritenuta in “ eccesso” la quale emigrava verso paesi con maggiori opportunità
occupazionali e maggiori spazi abitativi. Dopo la seconda guerra mondiale le
migrazioni si sono ampliate di volume e destinazioni, interessando un numero
sempre maggiore di paesi. A partire dagli ultimi anni del Novecento invece i paesi in
via di sviluppo riescono a “sbarazzarsi” di solo il 2-3% del loro “eccesso” verso
Europa, Stati Uniti-Canada e Giappone-Australia-Nuova Zelanda. La crisi petrolifera
degli anni Settanta infatti ha determinato uno spostamento di nuovi flussi di
popolazione verso nuove aree di destinazione, dai paesi produttori di petrolio
dell’area del Golfo Persico, a quelli emergenti dell’Estremo Oriente. In questa nuova
fase, anche l’Europa meridionale si è trasformata da area di emigrazione ad area di
immigrazione. Si può affermare dunque che le migrazioni non siano in grado di
risolvere il problema della miseria del mondo, in quanto le aree ricche dell’emisfero
non riescono ad assorbire la povertà di quelle in via di sviluppo, potendo accogliere
soltanto una così bassa percentuale di popolazione. (Golini, 1999)
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-nei paesi d’origine la popolazione acquisisce sempre maggior consapevolezza
della propria condizione di assoluto sottosviluppo e della possibilità di sopravvivere
o di avere promozione economica, e spesso anche sociale, nel paese di
destinazione. Tutte queste informazioni vengono acquisite o attraverso la televisione
o grazie parenti/amici che si trovano già nel paese di destinazione;
-nei paesi d’arrivo si registrano sempre maggiori squilibri qualitativi nel mercato del
lavoro che, a volte, divengono anche più importanti e influenti di quelli quantitativi.
Nei paesi sviluppati vi sono infatti un gran numero di occupazioni poco gradite e/o
poco retribuite che gli autoctoni non vogliono più svolgere perché il loro livello di
preparazione scolastica e il livello di benessere delle loro famiglie li spinge a
rifiutarli. Con queste premesse si riesce anche a spiegare come sia possibile che in
alcuni paesi coesistano elevata disoccupazione giovanile e consistente
immigrazione straniera.
Per quanto riguarda la situazione italiana e in particolare quella della regione
Lombardia, per molto tempo si è parlato dei fenomeni di immigrazione interna che
hanno creato nella società un nucleo di assorbimento storico di lavoratori
provenienti dal Mezzogiorno. Infatti solo nel ventennio 1951-1971 si sono spostate
dal Sud al Centro-Nord 2 milioni di persone. Il tessuto sociale lombardo può essere
considerato allora come un riferimento importante ed utile nella storia d’Italia oltre
che come un esempio significativo di integrazione. Il fenomeno immigratorio
straniero più recente presenta alcune caratteristiche simili a questa esperienza
vecchia ormai di quasi un secolo ma anche peculiarità assolutamente originali.
Come detto sopra i differenziali nei redditi pro capite e nell’evoluzione della
popolazione stimolano le immigrazioni dai paesi in via di sviluppo. Le economie
industriali rappresentano un ambiente che attrae per la maggiore prosperità. I vuoti
creati dal calo demografico costituiscono un ulteriore elemento di richiamo. In
sistemi demografici in cui diminuisce il numero dei giovani, l’ingresso di lavoratori
stranieri può essere visto come una ricchezza, per il contributo che le nuove forze,
socialmente e professionalmente integrate, possono in prospettiva apportare alla
crescita economica.
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1.2. Aspetti quantitativi
Uno dei nodi cruciali per inquadrare il fenomeno immigratorio è quantificare il
numero di stranieri presenti sul territorio lombardo.
A questo proposito i dati a disposizione sono molto discordanti. Considerando i
permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini stranieri dal Ministero dell’Interno la stima
del numero di stranieri risulta inesatta e tende a sottovalutarne la reale dimensione.
Questo perché le procedure di rilascio e rinnovamento, nonché le operazioni di
archiviazione e di aggiornamento dei permessi rinnovati o scaduti, provocano dei
ritardi e degli errori di registrazione.
In Lombardia nel 2001 gli stranieri in possesso di un permesso di soggiorno erano
340.850, di questi circa a metà (170.300) si trovava a Milano. Se poi si osservano i
dati risultanti dal censimento sulla popolazione del 2001 gli stranieri residenti in
Lombardia sarebbero 319.564, dunque in numero sensibilmente inferiore a quello
già riduttivo dato dai permessi di soggiorno. Un ulteriore confronto si può elaborare
in base alle stime effettuate dalla fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla
Multietnicità) nella regione Lombardia (ISMU, 2003).
Secondo questo studio infatti al 1° gennaio 2001 la consistenza numerica degli
stranieri presenti sul territorio lombardo e provenienti da paesi a forte pressione
migratoria (ossia paesi in via di sviluppo e dell’Est Europa) è stimata tra un minimo
di 405.000 e un massimo di 435.000 unità, dati che potrebbero addirittura
sovrastimare la reale dimensione immigratoria.
Occorrerebbe dunque, per avere una visione il più possibile vicina alla realtà,
prendere in considerazione una media tra le tre fonti di dati disponibili per
concludere che una buona approssimazione del numero di stranieri presenti in
Lombardia nel 2001 è di circa 370.000 unità, il che corrisponde circa al 4% della
popolazione.
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1.3. Provenienza geografica
Negli ultimi anni l’Italia è divenuta un paese di destinazione di molti immigrati e il
flusso di persone che giungono nel nostro paese anno per anno è molto
eterogeneo.
Per quanto riguarda le aree di provenienza degli stranieri occorre fare alcune
precisazioni. Il fenomeno immigratorio può essere osservato secondo diversi punti
di vista. Uno meno dettagliato che tenga conto delle differenze tra immigranti basate
su tre macroaree di provenienza e uno più specifico che scenda nel particolare della
nazionalità di provenienza.
Le tre macrocategorie corrispondono a:
1)paesi appartenenti all’Unione Europea,
2)paesi non appartenenti all’Unione Europea e
3)paesi in via di sviluppo non appartenenti all’Unione Europea.
Racchiudendo i dati del fenomeno migratorio in tre insiemi basati su differenze di
tipo economico si riesce ad avere una visione più omogenea dell’evoluzione del
fenomeno senza distogliere l’attenzione dalle fasce di popolazione migrante più
fragili e maggiormente a rischio nei processi di integrazione socioprofessionale. Ciò
permette di ottenere un’impronta più ampia e netta sui risvolti che il fenomeno
immigratorio evidenzia sull’economia e la società lombarda.
Parte dell’analisi studia anche quali caratteristiche e quali ruoli tipici ciascuna
nazionalità ha sviluppato all’interno della società lombarda e attraverso quali canali
si riesca ad inserire nel mondo del lavoro.
Esistono infatti condizioni strutturali nella distribuzione delle diverse provenienze sul
territorio e questo ad esempio è confermato dalla presenza nell’area metropolitana
di Milano di circa la metà degli asiatici e dei latino-americani presenti in Lombardia
(mentre nell’intera provincia i nordafricani sono circa la metà, i latino americani sono
il 73% e gli asiatici sono il 62% del totale in Lombardia). (ISMU, 2003).
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1.4. Rilevazione empirica. Stranieri residenti
La rilevazione della popolazione straniera presente in Italia si basa su due tipologie
di dati:
-dati demografici delle Anagrafi comunali disaggregabili per sesso e nazionalità. La
rilevazione annuale predisposta dall’ISTAT a livello provinciale, regionale e
nazionale per quel che riguarda i cittadini stranieri non contempla la
disaggregazione per classi di età.
-dati sui permessi di soggiorno concessi dal Ministero dell’Interno a cittadini stranieri
disaggregabili per sesso, nazionalità ed età (per quel che riguarda quest’ultima la
prima fascia individuata è 0-17 anni e non la fascia 0-14), a livello provinciale,
regionale, nazionale.
Si rimanda all’appendice A per le tabelle dettagliate delle rilevazioni su tutti il livelli
territoriali e per il periodo compreso tra il 1996 e il 2001.
Alla fine del 2001 gli stranieri residenti in Italia sono 1.464.589, cioè il 2,5% della
popolazione totale del paese. In Lombardia invece l’incidenza raggiunge il 3,7%
della popolazione totale con 340.850 cittadini stranieri residenti. (fonte: ISTAT)
Tra il 1996 e il 2001 i valori assoluti mostrano una forte crescita della componente
straniera della popolazione sia a livello nazionale che a livello regionale: nel primo
caso la popolazione straniera residente è quasi raddoppiata passando da 737.793 a
1.464.589 persone, nel secondo caso si riscontra lo stesso andamento con una
popolazione che passa da 162.409 a 340.840 persone.
È soprattutto la popolazione extracomunitaria e proveniente da paesi a basso
reddito a conoscere questo aumento, con percentuali più alte per quel che riguarda
la Lombardia. Mentre in Italia infatti la popolazione extracomunitaria è aumentata
del 115%, in Lombardia la crescita è del 130%. Per quel che riguarda invece la
popolazione proveniente dai paesi a basso reddito l’aumento è leggermente
superiore: in Italia si riscontra una crescita percentuale del 122% mentre in
Lombardia del 138,6%. Dunque la presenza straniera in Italia nell’ultimo
quinquennio tende ad aumentare soprattutto per quel che riguarda la componente
dei cittadini provenienti da paesi a basso reddito: se nel 1996 questi costituivano
l’1% della popolazione totale in Italia, nel 2001 il valore raddoppia raggiungendo il
2,2%. In Lombardia si riscontra più o meno lo stesso andamento con un valore
dell’1,4% nel 1996 che sale a 3,2% nel 2001.