II
Tale conclusione cozza con i dati empirici, e poi dal punto di vista intellettuale
non si può accettare che si possa considerare esogena una variabile così
fondamentale. Ecco perché nasce, negli anni ottanta il filone della teoria della
crescita endogena. Gli autori principali di modelli di crescita endogena (Romer,
Aghion, Howitt, Grossmann, Helpmann per esempio) fanno dipendere
l’innovazione tecnologica dalle spese in ricerca e sviluppo che gli stati sostengono
e che le stesse aziende riescono a portare avanti.
Questo filone dimostrerebbe gli alti tassi di sviluppo dei paesi con spese in
R&S molto elevate e l’effettiva divergenza tra stati ricchi e stati poveri, che negli
ultimi vent’anni si è verificata in modo davvero preoccupante. Tuttavia non si può
ammettere, sia per una questione di buon senso, che per una questione scientifica,
che gli stati poveri non potranno fare altro che diventare più poveri, perché non
hanno risorse né umane né fisiche da impiegare nella ricerca.
In questo breve testo mi propongo di dimostrare che è possibile pensare che le
cose possono andare in modo diverso, partendo da un pensiero molto semplice: la
tecnologia non è altro che l’applicazione pratica di idee al fine di risolvere i più
svariati problemi del genere umano. Siccome le idee sono dei beni non
perfettamente escludibili attraverso i brevetti, esse circolano e possono essere
catturate e decifrate da chiunque ne abbia bisogno. Inoltre non tutte le idee
nascono grazie alla ricerca, idee importantissime possono nascere nello
svolgimento di un’attività lavorativa per effetto del learning by doing (LBD) .
III
I contributi teorici che ho esaminato mettono in luce l’importanza del LBD
come fattore non solo di miglioramento della capacità produttiva, ma di
innovazione, evidenziando la necessità di concentrare volta per volta l’intera
massa di conoscenze acquisite nel settore più innovativo, che cioè abbia più alti
potenziali di learning.
L’idea che il sottosviluppo dipenda da una sostanziale arretratezza tecnologica
non è certo nuova, ma spesso l’approccio che sta alla base di questo concetto è
pessimistico. Le idee del digital divide, e cioè della moderna divisione tra ricchi e
poveri in base alla possibilità (di pochi) ed all’impossibilità (di molti) di accedere
alle nuove tecnologie non sono altro che dei riscontri empirici strumentalizzati, a
mio avviso, per scopi politici. Sono fortemente convinto che le nuove tecnologie
siano estremamente adattbili a tutti i contesti, che se utilizzate in modo adeguato
possono dare degli ottimi risultati ed inoltre che queste creino grosse esternalità.
Voglio tentare di comprendere come le reti possono aiutare le imprese a
crescere e come possono riuscire a dare impulso alla creazione di nuove idee. Le
reti inoltre oltre a creare un nuovo paradigma industriale, possono creare un
nuovo paradigma di innovazione. L’Open Source è una frontiera con la quale
l’industria che punta sulla ricerca dovrà confrontarsi.
Alla base di tutto c’è bisogno di persone istruite (skilled society), che sappiano
utilizzare bene le nuove tecnologie e che possano avere la possibilità di lavorarvi
per accumulare esperienze e poterle catturare traendo da esse delle informazioni
importatnti. Dobbiamo aspettare ancora anni per capire gran parte delle
IV
potenzialità dell’information technology, ma possiamo già oggi tracciare un
sentiero entro il quale muoversi. Penso che i PVS debbano approfittarne.
Pasquale Marchese
1
CAPITOLO I.
UNA VISIONE GENERALE DEL PROBLEMA
1.1 Introduzione
La nascita della scienza moderna è legata al cannocchiale di Galileo Galilei, la
prima rivoluzione industriale alla macchina a vapore di Watt, la seconda alla
lampadina di Edison. Da sempre la tecnologia è indice e parametro del livello di
progresso raggiunto dall’umanità, anzi proprio la tecnologia costituisce l’impianto
paradigmatico dell’idea stessa di progresso. Il capitalismo stesso nasce perché la
tecnologia rende possibile una più razionale utilizzazione delle risorse, maggiore
specializzazione e quindi maggiore produttività. Sembra quasi ovvio che la
tecnologia sia da considerare il vero motore della crescita capitalistica. Ed in
effetti nessun economista ha mai negato il ruolo trainante di questo fattore.
In questo capitolo tratteremo brevemente quali sono i due impianti teorici alla
base delle moderne teorie della crescita. In particolare, nel primo paragrafo
forniremo dei dati che potranno dare un idea dell’importanza data alla spesa in
ricerca dagli stati moderni e di come le nuove tecnologie (Hi-tech) stiano
soppiantando i settori più tradizionali per numero di occupati e capacità
produttiva. In questo paragrafo solleveremo un problema che poi svilupperemo,
sempre dal punto di vista empirico, nel corso del primo sottoparagrafo: il
problema della convergenza. E cioè se il progresso tecnologico determina una
crescita ed un miglioramento delle condizioni di vita generalizzato, oppure
contribuisce ad accrescere il divario tra paesi ricchi e paesi poveri (technological
divide). Nel modello Neoclassico il progresso tecnologico è la causa ultima della
2
crescita nel lungo periodo, ma è una variabile esogena. Ciò vuol dire che se si
assume che due stati abbiano identiche dotazioni fattoriali iniziali, cioè capitale e
lavoro, anche se ad un certo punto della loro storia si dovessero riscontrare delle
differenze nel reddito pro capite, queste nel tempo tenderebbero a diminuire
spontaneamente a causa dei rendimenti decrescenti del capitale (convergenza
assoluta).
Nel terzo paragrafo sarà proposta una visione dei fatti completamente
differente. Partendo dal concetto di “idea”, cercheremo di dare risalto al
meccanismo endogeno che stimola a produrre idee e quindi innovazione
(approccio della competizione imperfetta) ed alla capacità che le idee hanno di
produrre esternalità e quindi di migliorare il livello di benessere della collettività.
L’obiettivo di questo capitolo è di dare una visione generale del problema della
crescita, cercando di sottolineare quali sono i difetti dei filoni che presentiamo e
quali sono le motivazioni che ci spingono a condurre la nostra analisi nel modo
che vedremo.
1.2 Alcuni dati
1
Generalmente si tende ad associare il grado di sviluppo di un paese al livello
tecnologico raggiunto e alla quantità di sapere scientifico posseduto.
Come risultato di questa comune credenza, le politiche dei paesi
maggiormente sviluppati, sono diventate progressivamente più incisive nel
1
Dati tratti da “documento di Legambiente Italia: Tecnologia e sviluppo sostenibile”.
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guidare gli investimenti verso la ricerca e spostare risorse verso questo campo
strategico, anche in un periodo in cui l’intervento dello stato nell’economia ha
subito un notevole ridimensionamento.
I settori industriali e dei servizi basati sulla conoscenza (Knowledge-based
economy), caratterizzati da un alto livello di R&S e che impiegano manodopera
con un livello di qualificazione superiore alla media, ed in particolare quelli
imperniati sulla titolarità di diritti d’autore o sul possesso di know-how, hanno
superato settori più tradizionali in termini di crescita dell’occupazione,
capitalizzazione e capacità d’esportazione.
• Dal 1985 al 1998 il tasso medio di crescita delle esportazioni dei prodotti ad
alto contenuto tecnologico è stato di 11,3% nei paesi sviluppati e del 21,4% nei
paesi in via di sviluppo.
• Dal 1995 al 1999 l’occupazione in questo settore in Europa, è cresciuta ad
un tasso triplo rispetto alla media.
• Nel 1999 la percentuale degli occupati in questo settore era del 25% in UE e
pari ad 1/3 del totale degli occupati in Germania, Olanda e nei paesi nordici.
In un tale contesto la ricerca e lo sviluppo tecnologico e la qualità del capitale
umano diventano fattori cruciali. I fatti dimostrano con sufficiente chiarezza la
correlazione tra il tasso di crescita economica ed il tasso di crescita della spesa
per R&S:
a) In Europa, nel periodo 1995-1999, i paesi con tassi di crescita della
spesa inferiori alla media hanno avuto anche tassi di crescita inferiori
4
alla media, mentre tutti i paesi con tassi di crescita della spesa
superiori alla media hanno ottenuto migliori prestazioni economiche.
b) La spesa, pubblica e privata, per le attività di R&S è cresciuta nell’area
OCSE
2
al ritmo del 4% annuo.
Dopo un generalizzato declino della spesa (in % sul Pil) nel corso dei primi
anni novanta, , a partire dal 1994:
c) Negli Stati Uniti ed in Giappone la spesa -in primo luogo quella per
investimenti nel settore privato, che copre circa il 75% del totale- è
tornata a crescere più del Pil, mentre in Europa l’incidenza sul reddito
è rimasta declinante.
d) Alla fine degli anni ’90, la spesa in R&S rispetto al Pil è pari al 3% in
Giappone, al 2,6% negli USA e al 1,9% in Europa. Gli occupati nella
R&S in Europa, nel 1999 erano pari a 1,6 milioni di persone, cioè
l’1,3% del totale della forza lavoro con una crescita del 2,5% sul 1997
e del 21% sul lungo periodo, rispetto al 1985.
La spesa in R&S è trainata soprattutto dal settore privato. In molti paesi
sviluppati si registra il declino della spesa pubblica e la modificazione della
composizione e destinazione.
2
L'OCSE, la cui sede è a Parigi, raggruppa attualmente 30 paesi industrializzati e svolge un ruolo
guida nella promozione del Buon governo ("good governance") nei settori pubblici e privati.
Membro fondatore dell'organizzazione fu nel 1961 la Svizzera.