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altri termini la spinta all’integrazione nella filiera agroindustriale
è diventata forte anche in una regione come il Veneto, in cui è
ancora diffusa una realtà di piccole e medie imprese agricole.
Scopo della mia indagine è vedere come la cosiddetta
riforma Mac Sharry della PAC, approvata nel 1992, ha trovato
concretamente applicazione nelle campagne venete, attraverso lo
studio delle decisioni dei produttori dei seminativi. Invero essa
riguarda anche altri settori dell’agricoltura; basti pensare al
tabacco; tuttavia un’analisi generale sarebbe divenuta per forza di
cose generica e quindi in larga parte inutile a chi si interessa, per
motivi di studio o di lavoro, a un comparto particolare. Le scelte
colturali e le produzioni dei principali cereali e delle
oleoproteaginose vengono rappresentate da tabelle per le quali
sono state utilizzate le pregevoli elaborazioni di dati ISTAT
compiute dall’Osservatorio Tecnico ed Economico dei
Seminativi (OTES) di Padova. E’ necessario precisare subito che
le colture foraggere non sono state interessate dalla riforma;
tuttavia ho inserito alcuni dati che le riguardano perché la
categoria comprende anche l’avena come erbaio. In questo modo
è più completa la descrizione dei seminativi intesi in senso lato.
In altri termini parlare di foraggere in regime generale o in quello
semplificato costituisce un semplice conteggio.
Il periodo studiato va dal 1993 al 1995; quindi sono
compresi i raccolti del ’93, ’94 e del ’95. Al fine di evidenziare le
tendenze negli orientamenti produttivi originate dalla riforma, ho
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considerato le annate immediatamente precedenti e quelle
successive. Ma ho rivolto l’attenzione, ripeto, al periodo
suindicato, perché il sistema agricolo regionale, subendo la
riduzione dei prezzi istituzionali della Comunità Europea, ha dato
i primi segni di adattamento. Sono anni che costituiscono una
sorta di spartiacque, perciò reputo interessante osservare cosa s’è
verificato, utilizzando i dati raccolti. Ho considerato e descritto i
regolamenti comunitari vigenti nel periodo suindicato, mentre ho
ignorato volutamente quelli intervenuti successivamente.
Non si possono studiare le conseguenze del piano Mac
Sharry senza conoscerne i contenuti. Per questo i primi due
capitoli riguardano la PAC. Il terzo contiene una descrizione di
alcuni caratteri dell’agricoltura veneta, caratterizzata da un
altissimo numero di piccole e medie aziende; si tratta di dati che
consentono di avere una visione più approfondita del triennio
esaminato.
L’indagine che ho svolto è macroeconomica, anche se
alcune valutazioni contenute nel capitolo conclusivo riguardano i
singoli produttori agricoli, soprattutto dove suggerisco alcune
misure concrete per ridurre i costi di produzione.
Nelle campagne italiane sono iniziati tempi veramente
difficili la cui conseguenza più prevedibile è la contrazione della
base produttiva. Non mi sembra di essere distante dal vero se
scrivo che il Veneto rurale fra dieci anni sarà molto diverso
dall’attuale. Probabilmente il futuro sistema agricolo sarà sotto
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certi aspetti più evoluto, perché aumenterà la superficie media
delle aziende agricole; sarà così possibile superare i vincoli
strutturali che da parecchio tempo limitano le potenzialità
economiche delle agricolture regionali. Ma non mancheranno
anche conseguenze di tipo sociale, come l’ulteriore riduzione del
numero degli addetti del settore primario, l’abbandono di vaste
aree montuose e il mutamento del paesaggio rurale.
A completamento dei miei studi universitari consegno
questo scritto agli archivi dell’Università degli Studi di Padova.
Ho la speranza di avere svolto un lavoro utile a chi vuole capire il
senso dei profondi cambiamenti in atto nelle aree rurali italiane.
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CAPITOLO PRIMO
LA POLITICA AGRICOLA COMUNE (PAC)
1.1 L'intervento pubblico nel settore primario
L'agricoltura presenta alcune caratteristiche che la
differenziano dalle altre attività economiche. Esse riguardano non
solo la produzione, ma anche la commercializzazione delle
derrate. Per quanto concerne la prima, bisogna precisare che è
ciclica perché segue il corso delle stagioni. Si verifica, perciò,
una tendenziale saturazione del mercato nel periodo del raccolto
con conseguente caduta dei prezzi. Per correggere questo
inconveniente vengono coltivate varietà precoci e altre tardive
allungando il periodo del raccolto, oppure si ricorre a tecniche di
immagazzinamento e di trasformazione industriale: così viene
spostato il momento del consumo.
A questa difficoltà si aggiunge la rigidità del mercato
agricolo nei Paesi industrializzati, perché il consumo di derrate
alimentari si è stabilizzato su quantità difficilmente aumentabili,
e l'incremento della popolazione risulta basso o nullo. Si dice che
la domanda è inelastica rispetto al prezzo per la maggior parte dei
prodotti agricoli. Ciò deriva dal fatto che i fabbisogni alimentari,
pur variando da un consumatore all’altro, sono complessivamente
stabili; possono variare soltanto con l'evoluzione demografica.
All'aumento della produzione, quindi, si ha necessariamente la
diminuzione del suo valore monetario (legge di King).
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L'offerta avviene in modo discontinuo per la ciclicità della
produzione; inoltre il produttore non può proporzionarla al
prezzo formatosi sul mercato. Se a questo si aggiunge anche il
tradizionalismo dei ceti agrari e la mancanza o esiguità di
capitali, ci si rende conto di come l'offerta stessa tenda a essere
poco adattabile alle esigenze della domanda.
Sull'andamento dei prezzi influiscono anche le modalità di
produzione in senso lato e di commercializzazione, perché gli
agricoltori spesso immettono i propri prodotti sul mercato grazie
a una serie di operatori commerciali, tanto più numerosi quanto
più piccole sono le aziende produttrici. Normalmente il guadagno
più rilevante va al commerciante, mentre solo una piccola
frazione del costo finale spetta al produttore: in media lo scarto
tra prezzo alla produzione e quello al minuto è due volte
superiore a quello di un prodotto industriale. I produttori, poi,
acquistano fertilizzanti, macchinari e altri strumenti in una
posizione d’intrinseca debolezza, perché sono mezzi tecnici
indispensabili per il loro lavoro: quindi subiscono i prezzi
praticati dall'industria.
Il risultato di tutti questi fattori è un livello di guadagno
generalmente basso anche nelle aziende efficienti; dunque
l'accumulazione del profitto avviene a un ritmo più lento che
nelle altre attività.
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Ora, nei Paesi industrializzati si interviene per difendere
principalmente i redditi degli agricoltori ed evitare l'abbandono
delle campagne. Sono utilizzate misure diverse le quali vengono
riunite dagli studiosi di economia agraria in tre categorie:
interventi sul mercato dei prodotti, interventi sulla struttura
produttiva e sul mercato dei fattori e interventi per l'aumento
della produttività. La modalità più comune è quella del prezzo
garantito dei prodotti sui quali si fonda l'economia agricola di un
Paese; per mantenere alti i prezzi, appositi organismi pubblici
ritirano la merce eccedente. Le derrate così acquisite vengono
immagazzinate per utilizzarle nei periodi di scarsa produzione,
date in beneficenza o mandate al macero.
Così tra gli anni Trenta e Cinquanta sorsero le
"organizzazioni nazionali di mercato" di diversi Paesi dell'Europa
occidentale. Si trattava di complessi di disposizioni
sostanzialmente protezionistici che, pur avendo proprie
caratteristiche, presentavano una stessa impostazione, vale a dire
erano basate sul sostegno ai prezzi.
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1.2 I tentativi di cooperazione europea in agricoltura
Nell'immediato secondo dopoguerra si era diffusa la
convinzione che solo formando un’Europa unita si potesse
garantire la pace nel mondo e la sopravvivenza della cultura
occidentale, perché gli eventi della prima metà del secolo
avevano reso evidente quanto i nazionalismi fossero fattori di
instabilità politica ed economica. Nacquero diversi movimenti
federalisti i quali promossero delle iniziative europeistiche, senza
portare a nessun risultato concreto. Una certa importanza ebbe il
Congresso dell'Aja che si tenne su iniziativa del Comitato dei
Movimenti per l'Unità Europea nel 1948. Durante il suo
svolgimento vennero indicati anche i tre principali problemi
dell'agricoltura del Vecchio Continente. Il primo era
l'insoddisfacente approvvigionamento alimentare che limitava i
livelli dei consumi e di benessere delle popolazioni. Il secondo
consisteva nel fatto che le importazioni di prodotti agricoli
richiedevano grandi risorse finanziarie limitanti gli investimenti
per la ricostruzione dell'apparato industriale. Infine, il settore
primario era arretrato perché vi operava il 20% della popolazione
occupata nei sei Paesi che diedero vita alla CECA, ma
contribuiva solo per l'11% del prodotto nazionale lordo
complessivo.
Gli Stati dell'Europa occidentale si mossero, dando vita ad
alcuni organismi internazionali, soltanto per la necessità di far
fronte a situazioni obbligate. Così nel 1948 fu fondata
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l'Organizzazione Europea di Cooperazione Economica (OECE),
per procedere a un razionale utilizzo degli aiuti concessi dagli
Stati Uniti nel quadro del "Piano Marshall"; l'anno successivo fu
istituito il Consiglio d'Europa per promuovere la cooperazione
politica, giuridica e culturale tra i Paesi membri. Fu nell'ambito di
questi organismi che venne lanciata e studiata l'idea di una
organizzazione agricola sovranazionale. Nel 1950 il Consiglio
Direttivo dell'OECE propose la realizzazione di un mercato
europeo limitatamente ad alcune derrate considerate essenziali, e
per le quali si riteneva opportuno promuovere la crescita della
produzione e la liberalizzazione degli scambi. In seguito vennero
presentati diversi progetti di organizzazioni comuni dei mercati
agricoli per regolamentare il commercio (progetti di "pool
verde"). Fra le proposte si distinse quella del governo olandese
che suggeriva l'adozione di un prezzo unico e di una tariffa
comune verso l'esterno, per orientare la produzione e mantenere
elevati i prezzi interni. Successivamente vennero organizzate tre
conferenze europee per l'organizzazione dei mercati agricoli.
L'unico risultato concreto fu l'istituzione in ambito OECE del
Comitato Ministeriale dell'Agricoltura e dell'Alimentazione nel
1955.
Non si può affermare che non esistessero degli ostacoli
all'integrazione europea nel settore primario. Le Nazioni
dell'Europa occidentale avevano adottato delle politiche
protezionistiche in campo agricolo, in un periodo in cui
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bisognava incoraggiare la produzione interna e intervenire sulle
strutture arretrate. I Paesi con alti costi di produzione temevano
di non reggere la concorrenza; quelli importatori di derrate ed
esportatori di manufatti non volevano compromettere i vantaggi
derivanti dai rapporti commerciali con regioni extraeuropee.
Gli scambi internazionali di prodotti agricoli erano limitati;
l'OECE a dire il vero contribuì ad attivarli su base multilaterale
eliminando alcuni diaframmi che li ostacolavano. Nella
maggioranza dei casi ciò avvenne per quelle quantità che i vari
Paesi ritennero di poter liberare, senza compromettere gli sforzi
produttivi nazionali. In definitiva esisteva ancora una marcata
sensibilità nazionalistica