4
la quale le menti più fervide e brillanti venivano a contatto tra loro,
ma nei cui salotti si decidevano anche le sorti della povera gente.
Ma la censura sappiamo ha ben altre origini, soprattutto la censura
cinematografica, essa nasce dall’essenza stessa del suo oggetto.
Il potere del buio
Se durante il suo percorso evolutivo la censura ha subito, da una certa
prospettiva, una trasformazione sostanziale, sfrondando
sistematicamente gli antiquati orpelli di cui si era fregiata nei periodi
più bui della nostra storia culturale, dall’altra non ha però
abbandonato quelli che ancora oggi, ironicamente, sono i capisaldi di
una comunità moralistica e bacchettona, quegli oggetti della censura
che fanno ancora paura e che creano imbarazzi insuperabili.
Anche se ci troviamo in un momento che definiremmo più caotico e
babelico che di vera libertà espressiva, dobbiamo confrontarci con
l’eredità di questo passato accettando il fatto che ci è stata concessa
solo la liberazione di avamposti senza alcun valore. « L’ordine di non
guardare o toccare è vecchio quanto il mondo. La sua determinazione
è una prerogativa degli dei, dei re e dei preti »
2
. Gli Dei impedivano
agli uomini di guardare il proprio volto, i re di guardare le ingiustizie
del potere e i preti di scrutare i propri sentimenti. Nasce così la
censura alimentata dall’ignoranza e dalla paura.
Non vi è differenza tra il toccare e il guardare, entrambe le azioni
presuppongono una inevitabile contaminazione. Già l’uomo primitivo
non aveva chiara la differenza tra la realtà e la sua immagine,
2
Amos. Vogel, Il cinema come arte sovversiva, Studio forma, Torino 1980, p. 109
5
distinzione che il cinema, macchina illusoria per eccellenza, ha reso
evanescente. Infatti ancora oggi in alcune tribù indigene gli uomini
non si lasciano fotografare per la paura di perdere l’anima. Nello
stesso modo il primo spettatore del cinema avrà avuto la paura di
essere investito da un treno in corsa.
Complice sicuramente il buio, la veridicità delle immagini, la
predisposizione che ognuno di noi ha ad abbandonarsi alla finzione ed
alla fantasia, l’insoddisfazione della propria vita e il fascino trasgressivo
delle storie “esotiche”. Nell’oscurità della sala cinematografica, con i
sensi rilassati, pronti a percepire ogni sensazione senza filtri emotivi e
senza rigidi schemi sociali, ci illudiamo di partecipare ad una realtà
lontana dalla nostra, crediamo di essere i protagonisti involontari di
una storia, quella rappresentata sullo schermo, che ci affascina più
della nostra, che ci coinvolge, che ci allontana dalla nostra vita
mediocre e anonima.
« Appena si abbassano le luci il grande rettangolo dello schermo
diventa l’universo totale, ciò che traspare qui in un alternarsi di luce e
oscurità viene accettato come vita »
3
.
È la nostra stessa natura di essere umano, che ci condiziona,
l’illusorietà dei sensi e la limitatezza della nostra corporeità ci porta ad
un completo coinvolgimento di fronte ad una immagine in movimento
che ha sicuramente più impatto visivo ed emotivo di una immagine
fissa. In fondo ciò che vediamo scorrere sullo schermo enorme che ci
sovrasta altro non sono che fotogrammi fissi proiettati alla velocità
necessaria ed indispensabile affinché si trasformino sulla tela bianca in
immagini in movimento e nella nostra mente in immagini vere, quasi
3
ibidem, p. 8
6
fisiche. Questo può accadere solo perché la velocità elevata con cui
viene proiettata la sequenza dei fotogrammi e la loro impercettibile
diversità crea nella nostra mente attraverso la retina, tale illusione. Ma
allora « senza la complicità fisiologica e psicologica dello spettatore, il
cinema non potrebbe esistere »
4
Anche questo buio catartico ha una sua funzione illusoria. Infatti è
proprio attraverso questo estraniamento dalla realtà, che è lì fuori ad
attenderci, che il nostro inconscio può alimentarsi delle fantasie che ci
travolgono rendendoci più vulnerabili alla fascinazione delle immagini
irreali.
Il cinema attraverso la capacità che ha di mantenere l’attenzione dello
spettatore sempre alta, può, in un certo senso, agire in maniera
subdola e inconscia sulla sua capacità di azione, interagire con il suo
subconscio e quindi alterarne la volontà finendo poi col manipolarla.
Questo perché la veridicità del messaggio filmico e al contempo la sua
natura illusoria penetra nella fantasia eccitabile degli spettatori
deformandola, ma non solo, attraverso la conoscenza di ciò che è
fisicamente e culturalmente lontano dalla nostra realtà quotidiana,
accentua la nostra curiosità e la voglia di annullarne le distanze ed i
limiti.
Anche perché lo spettatore nella sala cinematografica, più che davanti
al mezzo televisivo, si trova lontano dalle sollecitazioni del mondo
esterno e diventa sordo a quei condizionamenti che regolano la nostra
vita sociale.
In questo mondo così ovattato dove lo spettatore, « rimosso dal
mondo reale, isolato anche dagli altri si abbandona al sogno e alle
4
ibidem, p. 9
7
fantasticherie, nell’oscurità uterina del cinema »
5
, lancia a briglia
sciolta la sua fantasia rende vane le sue stesse inibizioni, annulla la
propria auto-censura e il nostro vero io può finalmente giocare un
ruolo attivo, agendo da protagonista; può sedurre la sua donna fatale,
può attaccare e distruggere il nemico, può essere sfrontato con le
autorità, può lanciare la sua automobile in un inseguimento senza
regole stradali, può sorpassare e dal finestrino mostrare fiero un bel
paio di corna.
Si entra in sala con questa voglia di libertà incondizionata, con questa
necessità di scrollarsi di dosso le costrizioni di una esistenza fatta di
regole, di complessi, di castrazioni sessuali, di tabù censurati e per un
paio di ore si vuole avere l’illusione che tutto ciò che guardi sullo
schermo possa realmente accadere una volta uscito dal cinema.
Più di ogni altra forma d’arte il cinema ha annullato lo spazio esistente
tra l’opera e il soggetto attraverso la libertà delle sue fantasie, lo ha
arricchito di nuove immagini di nuovi canali di conoscenza lo ha reso
in un certo senso attivo, dandogli la possibilità di trasformare l’opera a
seconda della propria sensibilità di stravolgere il significato di
immagine dandole il movimento e quindi rendendola più reale, più
avvicinabile. Questa è la forza del cinema, sembrare la realtà senza
esserlo, essere autentica anche se falsa, inseguirne la coerenza avendo
la capacità di sovvertirla.
Nonostante vi sia l’impossibilità oggettiva che lo spettatore sia soggetto
attivo e partecipe alla creazione del film e quindi sembrerebbe
impossibile da parte sua difendersi dalle immagini egli non è davvero
cosi passivo e acriticamente ricettivo di fronte a tutto ciò. Egli ha due
5
ivi
8
possibilità: discernere la realtà dalla finzione, sapersi distaccare da
quelle immagini riconoscendole come false, volutamente costruite ed
artefatte, o semplicemente di informarsi preventivamente sul
contenuto del film e quindi scegliere di non vederlo.
Nonostante tutto la censura, per tutto ciò che si è detto fin qui, scopre
nel cinema il mezzo di coazione per eccellenza e raffrontandolo con le
altre arti visive, si rende conto di come esso fonda la sua stessa ragione
d’essere nella manipolazione delle coscienze. Le forze repressive della
società lo hanno reso quindi il loro bersaglio preferito per « la forza
delle immagini, il loro fluire in uno spazio nero e in un tempo
artificiale »
6
che lo rende non assoggettabile a rigidi schemi sociali e
che attraverso tale libertà conferma la sua capacità di influenzare le
masse e oltrepassare i confini perfino dell’inconscio.
Inoltre una comunità libera e democratica non dovrebbe contemplare
per nessuna forma d’arte, tanto meno per il cinema, la possibilità di
una censura totale, perché implicitamente sottolineerebbe la perdita di
qualsiasi forma di libera scelta che gli spettatori, maggiorenni e con
una loro sensibilità e capacità di discernimento, hanno il diritto di
esercitare. Limitare questa scelta trasforma la censura in uno
strumento repressivo pericoloso per l’evoluzione del linguaggio
artistico e per la libera circolazione delle idee.
« Se davvero lo scrittore (l’autore) obbedisce a quello che è il suo
primo compito conoscersi e conoscere, nel rendere conto di queste due
operazioni non ci sono sul suo cammino territori inesplorabili, proibiti,
così come non ci sono nella sua carriera momenti condannabili o
6
ivi
9
riprovevoli o, comunque, inutili e perduti »
7
. Il cinema tenta di offrirci
la visione dell’uomo e della sua realtà diversificata in un’infinità di
varianti, obbedendo ad un’unica legge: non cristallizzarla in un
unicum condivisibile e valido per tutti.
Ed è per questo motivo che la censura non dovrebbe avere come
unico termine di paragone la sua personale immagine dell’uomo come
un essere con solo delle virtù e non con delle debolezze naturali, o non
naturali che siano, e non dovrebbe eliminare ed esorcizzare tutto ciò
che ricorda questo suo lato oscuro per mantenere inalterato una
morale comune, cioè una serie di norme che non turbino e non
destabilizzino la sterilità che regna in questa nostra società al contrario
già molto contaminata. Il censore combatte il sentimento del segreto
che serpeggia nella nostra vita rendendola varia ma anche
incontrollabile e che « (…) di nascosto nutre la nostra esistenza di
domani, la nostra continuità »
8
.
La libertà sta quindi nel rispetto della verità, e limitarla è un atto
illegittimo che ci porterà a stabilire i termini innaturali di un confronto
non produttivo che reca separazione al posto della convivenza e
alienazione al posto dell’integrazione.
7
Carlo Bo, La libertà nella cultura , nell’arte e nella morale, in “La censura cinematografica” a
cura di Ernesto G. Laura, Edizioni Bianco e nero, Roma 1961, p. 64
8
ivi