2
la destra repubblicana e con Ronald Reagan, su posizioni duramente antisovietiche e
anti-contenimento.
E’ un’alleanza che frutta ai neoconservatori la prima vera esperienza
nell’amministrazione americana: per due mandati, dal 1981 al 1988 essi hanno la
possibilità di contribuire a delineare le linee guida della politica estera e difensiva degli
Stati Uniti d’America, sostenendo da una parte l’intensificazione militare dei conflitti
locali con le forze sovietiche, tramite un massiccio piano di riarmo, e dall’altra la
necessità della promozione del modello americano di sviluppo (attraverso la politica
definita TINA – There Is No Alternative: nessuna alternativa al modello di sviluppo
democratico e capitalistico) nelle aree interessate da questi conflitti.
L’arrivo alla Casa Bianca di George Bush senior frena significativamente l’influenza
dei neoconservatori, che sembrano uscire definitivamente di scena con il crollo
dell’Unione Sovietica, acerrimo nemico cinquantennale.
Una tendenza confermata significativamente dall’elezione alla Presidenza della
Repubblica del democratico Bill Clinton: per otto anni ai neoconservatori è negato
l’accesso a posizioni di potere
politico, ma continuano a far sentire la propria voce dalle loro tribune abituali, i
giornali, i think tank e i talk show televisivi, e hanno trovato il modo di rifocalizzare il
senso della loro battaglia.
Crollato il molosso sovietico, i neoconservatori hanno suggerito all’America di
continuare a tenere alta la guardia, affinché non fosse data la possibilità ad altre realtà
emergenti di prendere il posto dei sovietici, e di guidare il “momento unipolare” per
assicurare a sé e al mondo un nuovo secolo all’insegna della pax americana.
Con l’ascesa di Bush junior alla Casa Bianca i neoconservatori sono inzialmente
scettici verso la politica del presidente, considerata di basso profilo sulle tematiche
della politica estera e della difesa, le più care ai neocon.
Ma la tragedia dell’11 settembre 2001 ha drasticamente cambiato le carte sul tavolo.
Il presidente Bush ha dovuto approntare una rapida risposta sia sul piano interno, per
non scoraggiare ulteriormente l’opinione pubblica, già sconvolta dalla relativa facilità
con cui gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono si sono materializzati che sul
piano internazionale, per dimostrare la capacità di reazione dell’America e per mandare
un messaggio chiaro al mondo: chi colpisce l’America non avrà scampo e sarà punito.
3
Secondo diversi commentatori i neoconservatori sono stati gli unici ad avere un piano
concreto d’azione in una situazione del genere, o quantomeno sono stati quelli con il
progetto più convincente.
Il loro progetto era da anni pubblico, sui siti internet dei think tank dai quali i
neoconservatori hanno fatto sentire la propria voce durante gli anni d’ombra dell’era
Clinton, e prevedeva un forte investimento per la difesa unito ad un piano strategico-
militare atto a far cadere uno ad uno, sulla scia di un effetto-domino, i regimi
considerati più pericolosi per i valori democratici occidentali e per l’America, quali
l’Afghanistan dei Talebani, l’Iraq di Saddam Hussein, l’Iran degli ayatollah, la Siria e il
Libano dei fondamentalisti islamici e degli Hezbollah, per restare nell’area
mediorientale, e sostituire a questi regimi dittatoriali un modello di società libera e
democratica, ispirato ai valori occidentali stessi.
Il punto d’innovazione più profondo di questo approccio sta proprio nella forte fiducia,
si direbbe una vera e propria fede, da parte dei neoconservatori nel modello
democratico, e nella possibilità da parte delle società arabe e musulmane di
implementare con successo questo modello.
Su queste tematiche il dibattito è più che mai aperto, alla luce della situazione irachena
e in parte anche di quella afghana.
Mentre la campagna afghana, condotta nell’ottobre 2001 all’interno di un ampio
consenso internazionale, ha dato luogo a un governo provvisorio, guidato da Hamid
Karzai, abbastanza legittimato e che tutto sommato non ha incontrato grandissime
difficoltà, nonostante non siano mancati attentati e atti di guerriglia nemmeno a Kabul e
dintorni, dove pure continuano ad essere presenti forze militari e di sicurezza, in Iraq la
situazione appare ben più disastrata.
Un altro dei temi più discussi dell’approccio neoconservatore, e forse anche il più
contestato, riguarda il metodo unilateralista che ha caratterizzato l’azione militare in
Iraq.
Per i neoconservatori l’America può fare da sola, e deve essere in grado di poter fare da
sola: da qui il riferimento costante all’aumento della spesa militare.
I neoconservatori ritengono che l’America debba essere dotata di un esercito sempre
all’avanguardia, efficiente ed efficace, che consenta, in potenza, di essere presenti su
più fronti senza alterare la capacità e le potenzialità militari.
4
Le loro idee sono state insistemente e ripetutamente accostate a quelle di Leon Trotzkij
e di Leo Strauss.
Sono stati paragonati a una sorta di mafia ebraica che impone all’amministrazione
americana le proprie scelte.
Sicuramente con Israele hanno un legame forte che deriva, per un verso, dalle origini
ebraiche di alcuni tra di loro (ma non tutti), soprattutto quelli della prima generazione,
ma per un altro fondamentale verso dal fatto che è l’unica democrazia di stampo
occidentale in un area come quella mediorientale, abitualmente appannaggio di tirannie
religiose.
Di sicuro però la loro reale influenza sulla politica del presidente Bush è stata
sopravvalutata.
I neocon in posizioni di governo che contano davvero sono pochi e, soprattutto, per loro
stessa natura essi si sentono parte di un movimento intellettuale e culturale piuttosto che
politico.
Il loro regno naturale sono i think tank, le pagine degli editoriali sui giornali, le raffinate
riviste accademiche e politiche, i talk show televisivi: tribune dalle quali certo parlano
al potere politico, ma anche all’opinione pubblica, proponendo la loro visione dei fatti e
le loro proposte pratiche.
Per i neoconservatori l’America deve giocare un consapevole ruolo di leadership
mondiale, facendosi promotrice universale dei valori della democrazia e del libero
mercato, e difendendo questi valori anche con le armi, di fronte alle serie minacce che
ad essi vengono portati, secondo i neocon, dalle dittature del Medio Oriente, dalle
organizzazioni terroristiche che esse ospitano e dalle ideologie nichiliste che le
animano.
Certo è che i neoconservatori non hanno alcun genere di rappresentanza di base a
livello politico, nè nel Partito Repubblicano nè in nessun altro partito.
Il limite più grande è proprio questo: senza una base politica reale nei partiti (e nel
Partito Repubblicano ovviamente in primo luogo) è certamente più difficile per loro
poter sfidare le correnti tradizionali della politica estera americana.
Probabilmente però la loro è una scelta consapevole: restare estranei all’agone politico
per poter valutare i fatti con maggiore libertà e semmai continuare ad influenzare
dall’esterno i giochi politici.
5
Capitolo 1: Le origini e lo sviluppo del movimento
neoconservatore
1.1 Cosa intendere per “neoconservatori”
Prima del fatidico spartiacque dell’11 settembre 2001 i pochi in Europa a parlare di
“neoconservatori” si contavano forse sulle dita di una mano. Con la guerra all’Iraq del
2003 la parola “neocon” (o “neocons”) è diventata una delle più pronunciate e scritte nei
dibattiti pubblici, sui giornali e sui libri.
Innanzitutto è bene mettersi d’accordo su che cosa si intenda con il termine
“neoconservatore”.
1.1.1. La parola “neoconservatore”
Si è fatta, e si fa ancora per la verità, molta confusione, e si fatica a catalogare i neocon
in una categoria politica e culturale ben definita: non a caso uno dei temi più dibattuti
nei mesi passati è stato proprio l’interrogarsi sul “Chi sono i neocon?”, quali misteriosi
gruppi d’interesse si nascondano dietro questo lemma per alcuni decisamente
inquietante.
Il termine neo-conservative fu usato per la prima volta nel 1973 da Michael Harrington
in un articolo per la rivista liberal Dissent. In quel pezzo si voleva apostrofare il
presunto spostamento a destra di un gruppo di intellettuali ritenuti sino ad allora
inequivocabilmente di sinistra.
1
Irving Kristol, indiscutibile padrino del movimento sia per anzianità che per originalità
del suo contributo, ha dipinto i neoconservatori con una frase che probabilmente rimarrà
insuperata per efficacia: <<Sono liberal assaliti dalla realtà>>.
Kristol spiega in un saggio del 1995 che la differenza principale tra il
neoconservatorismo e il conservatorismo tradizionale, almeno per come egli vede la
questione, sta nel giudizio storico sul New Deal, il piano di ristrutturazione economica
1
[Rocca 2003, 66]
6
che fu approntato dal presidente Franklin Delano Roosevelt per risanare la situazione
americana all’indomani della Grande Depressione del 1929. Mentre i conservatori
vecchio stampo alla Buckley insistevano ad attaccare il New Deal e qualsiasi cedimento
all’ideologia statalista, Kristol e gli intellettuali della sua area trovavano insensata quella
battaglia e soprattutto quel fervore antistatalista. D’altra parte Kristol non dimentica le
sue origini:
<<Eravamo tutti figli della Depressione – la maggior parte di noi proveniva da famiglie della
bassa borghesia o addirittura operaie e un numero significativo di noi erano ebrei di città per i
quali gli anni Trenta erano stati anni di disperazione – e provavamo tutti una certa lealtà
verso lo spirito del New Deal, anche se non verso tutti i suoi programmi o le sue
politiche>>.
2
1.1.2. L’alleanza tra Bush e i neocon
Molti hanno visto nell’intera amministrazione Bush un esempio di governo
neoconservatore in toto, identificando giocoforza il massimo leader neoconservatore
nella persona di George W. Bush.
John C. Hulsman, research fellow dell’Heritage Foundation ha scritto, puntando
l’indice contro le analisi europee correnti:
<<Gli sforzi dell’Europa di dipingere l’amministrazione Bush come monoliticamente
neoconservatrice celano il fallimento intellettuale di quasi tutte le analisi di politica estera
europee dell’ultimo decennio>>
3
.
In realtà le strade e gli obiettivi di Bush e dei neocon si sono incrociati in maniera
significativa solamente dopo l’11 settembre 2001, quando l’America ha dovuto
progettare una risposta energica e muscolare all’attacco patito sul proprio suolo, che
fino a quel momento era immacolato da attentati terroristici.
2
Irving Kristol, American Conservatism 1945-1995 in “The Public Interest” n.121, autunno 1995
(http://www.thepublicinterest.com/notable/article2.html Traduzione italiana Noi miglioristi, in
“Fondazione Liberal” n.19, p.125-126 )
3
John C. Hulsman, Requiem per i neocon in “Aspenia” n.22, autunno 2003
7
Una risposta ritenuta necessaria sia nei confronti dell’opinione pubblica interna ed
internazionale, sia verso gli stessi terroristi che hanno perpetrato l’attacco e gli stati (gli
ormai celebri rogue states, stati canaglia) che avrebbero ospitato ed alimentato il
terrorismo.
I neocon la risposta ce l’avevano da tempo, e la esternavano dalle loro tribune di
riferimento: think tank, giornali, libri, talk show televisivi, siti internet.
La loro risposta prevede da una parte la disponibilità di una forza militare efficiente e
predominante in campo internazionale, nonché il diritto americano di ricorrere a questa
forza, anche preventivamente e senza il consenso degli organismi internazionali, se
ritenuto necessario per la difesa dei propri interessi e della propria sicurezza; dall’altra
un impegno non di tipo esclusivamente militare, bensì principalmente culturale, politico
e civile per promuovere i valori della democrazia e della libertà nelle aree geografiche
dove queste ancora vi sono.
Soprattutto in quell’area dalla quale arriva il pericolo terrorista sin qui emerso con
maggiore chiarezza, vale a dire il Medio Oriente.
Questi sono gli obiettivi di fondo che accomunano oggi i neocon.
Ma la storia del movimento, per come lo si intende in questa sede, parte da ben lontano.
8
1.2 Le origini intellettuali
Le origini intellettuali del movimento neocon sono rintracciabili nella New York degli
anni Trenta/Quaranta e nell’ala trozkista del partito socialista dei lavoratori americano.
Successivamente le vicende culturali dei neocon si sono spostate su un piano più
moderato, ma rimanendo in un primo momento negli ambienti del Partito Democratico,
nella Manhattan animata dalla “Famiglia” degli intellettuali, con la quale la rottura si
consumerà definitivamente a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
1.2.1. Giovani ebrei trozkisti a New York
Al City College di Harlem in quegli anni studiavano tre giovani ebrei trozkisti: Irving
Kristol, Melvin Lasky e Nathan Glazer. Era questo probabilmente il primo (sebbene
all’epoca essi stessi non ne fossero minimamente consapevoli) nucleo neocon. Si
riunivano all’Alcove One, la caffetteria dell’università che diventò la loro base
operativa, contrapposta all’Alcove Two, dove invece si ritrovavano gli stalinisti del
college. Kristol era il leader, e radunò attorno a sé diversi seguaci, molti dei quali non
erano neppure socialisti o trotzkisti, ma subivano l’influenza del carisma di Kristol.
I tre erano membri dell’ala trotzkista del Socialist Workers Party che faceva capo a
James Burnham e Max Schachtman. Il dibattito che si sviluppò intorno
all’interpretazione del patto Molotov-Ribbentrop del 1939 ed agli sviluppi della
situazione internazionale a ridosso della Seconda Guerra Mondiale provocano la rottura
di Burnham e Schachtman con il SWP e con lo stesso Trotzkij, come documentano le
lettere scritte dal politico sovietico a Schachtman e ad altri esponenti del trotzkismo
americano contenute nel suo In Defense of Marxism
4
. Burnham diventerà un agguerrito
cold warrior e darà una mano a William Buckley nella nascita e lo sviluppo della
National Review.
5
Schachtman invece restò nell’ambito del socialismo americano,
sebbene limando col tempo gli accenti rivoluzionari fino a convertirsi alla
socialdemocrazia (trasformando il suo partito, l’Indipendent Socialist League negli
attuali Social Democrats), abbandonando persino l’ostilità pregiudiziale alla guerra,
4
http://www.marxists.org/archive/trotsky/works/1942-dm
5
http://www.wsws.org/articles/2003/may2003/shac-m23.shtml
9
tanto che, dopo la sua morte nel 1971, diversi suoi compagni si avvicinarono sempre di
più agli ambienti della destra repubblicana, sino a sostenere apertamente Ronald Reagan
negli anni Ottanta.
6
Anche Kristol abbandona il socialismo rivoluzionario, e si converte al capitalismo ed al
libero mercato, restando però almeno in un primo momento nell’ambito dell’area
politica della sinistra americana, vicino al Partito Democratico.
Negli anni Cinquanta/Sessanta il movimento che oggi chiamiamo neocon è
principalmente un movimento intellettuale, più legato al mondo della carta stampata che
a quello dei palazzi della politica. Proprio nell’ambiente legato alla Partisan Review (la
rivista fondata nel 1934 dal John Reed Club di New York) della quale era redattore
Lionel Trilling, il professore della Columbia University che prese a cuore le sorti del
giovane Podhoretz, negli anni Cinquanta nasce il sodalizio culturale tra Kristol e
Norman Podhoretz.
1.2.2. La rottura con la “Famiglia”
Le prime avvisaglie dell’imminente rottura con quella che allora veniva chiamata la
“Famiglia” degli intellettuali newyorchesi si hanno nel 1958, quando Podhoretz scrive
un saggio per la Partisan Review dal titolo The Know-Nothing Bohemians, nel quale
demolisce il manifesto culturale della Beat Generation, ritenuto portatore di una nefasta
ideologia nichilista e antiborghese. Podhoretz era amico personale di diversi esponenti
della cultura beat, a partire dai più noti, come Jack Kerouac e Allen Ginzberg. Mark
Gerson nel suo The Essential Neoconservative Reader (ripreso da Rocca in Esportare
l’America) racconta a tal proposito un episodio significativo.
A qualche giorno dall’uscita del saggio Jack Kerouac telefonò a Podhoretz per invitarlo
a una festa al Greenwich Village, cuore pulsante dell’intellighenzia liberal e beat.
Podhoretz andò e trovò Allen Ginzberg, che gli disse, lapidario:
<<Prenderemo i vostri figli>>.
7
6
http://en.wikipedia.org/wiki/Max_Shachtman
7
[Rocca 2003, 72-73]
10
Successivamente, nel 1962 sulle pagine di Commentary, il mensile diretto da Podhoretz
a partire dal 1960, si consuma un’altra pesante frattura con la sinistra liberal
newyorchese, questa volta a causa di My Negro Problem – and Ours, un pezzo molto
cattivo sui neri e sul movimento liberal che sostiene le lotte antirazziste, scritto da
Podhoretz in reazione a quello che lui ha vissuto come il tradimento di un’amicizia,
prima ancora che professionale: il caso di James Baldwin, saggista e amico di
Podhoretz, con il quale il direttore di Commentary aveva concordato un saggio sul
movimento dei Black Muslims. Il giorno della consegna Baldwin si rese irrintracciabile.
Il saggio uscì qualche giorno dopo sul liberal New Yorker, che pagò a Baldwin una cifra
venti volte superiore a quella concordata con Commentary.
In My Negro Problem – and Ours Norman Podhoretz accusa i neri di voler sfruttare il
fatto di essere stati discriminati per ottenere protezioni speciali e privilegi a riparazione
dei torti subiti, corredando il pezzo di alcuni ricordi personali della sua infanzia a
Brooklyn, quartiere dove vivevano fianco a fianco neri, italiani, ebrei e irlandesi.
Podhoretz racconta che mentre i giovani ebrei studiavano, i neri passavano il tempo a
terrorizzare e picchiare i bianchi.
8
La rottura definitiva con il movimento per i diritti civili arriva nel 1965.
Daniel Patrick Moynihan, futuro senatore democratico di New York, era tra i consulenti
del presidente Lyndon Johnson per le tematiche sociali. Moynihan scrisse per il
presidente in persona un documento di lavoro intitolato The Case for the National
Action: The Negro Family, che passò poi alla storia come Moynihan Report. Da quel
documento nacque il discorso che Johnson tenne a giugno sui diritti civili, nel quale il
presidente si impegnò per il varo di riforme significative a tutela dei neri, e che pertanto
venne salutato positivamente dal movimento per i diritti civili.
Ma di lì a poco dalle redazioni dei giornali si sparse la voce che nel rapporto Moynihan
desse la colpa delle discriminazioni ai neri stessi, vale a dire alle vittime piuttosto che ai
carnefici.
Eppure Moynihan aveva solo scritto che le cause del “virus razzista” che affligge la
società americana erano da rintracciare nei tre secoli di durissima schiavitù che gli
afroamericani hanno dovuto sopportare; una schiavitù che ha creato infiniti problemi
all’istituzione-famiglia dei neri.
8
[Rocca 2003, 72-75]
11
Moynihan fu duramente accusato di razzismo dai leader afroamericani e venne
emarginato dai colleghi universitari e dagli intellettuali liberal. Da allora fu
praticamente “adottato” da Kristol e Podhoretz, che gli offrirono le tribune che avevano
a disposizione (Public Interest e Commentary) per continuare ad esprimere le proprie
idee. Proprio in un saggio su Commentary nel febbraio 1967, intitolato The President &
The Negro: The Moment Lost, Moynihan tornerà sull’argomento, accusando la sinistra
liberal di avere affossato con polemiche a suo avviso sterili l’occasione di fare un passo
avanti nella battaglia per i diritti civili
9
ed auspicando che i veri liberal si alleino con i
conservatori illuminati per sconfiggere l’antagonismo estremista che si è impossessato
della sinistra americana.
10
1.2.3. Prime defezioni a sinistra
Un’apparente accordo tra neocon e New Left (la nuova sinistra sessantottina) sembra
esserci a proposito del giudizio sulla guerra in Vietnam, ritenuta sbagliata oltre che dalla
sinistra, anche dalla maggior parte dei neocon (ad eccezione di Irving Kristol).
Ma lo scontro in realtà restava sul progetto complessivo di società che, secondo i
neocon, la New Left aveva intenzione di portare avanti: un progetto ritenuto illiberale ed
anarcoide e pertanto avversato dai neocon.
Eppure il grosso dei neocon restò ancorato al Partito Democratico per buona parte della
prima metà degli anni Settanta, chiedendo il ritiro delle truppe dal Vietnam e la
legalizzazione delle droghe leggere (Norman Podhoretz nel 1971 condusse una
campagna su Commentary teorizzando la differenza tra le droghe “dell’abitudine” e
quelle “d’opinione”, drugs of habit/drugs of belief )
11
.
Nello stesso anno, 1971, The National Review scrisse un’editoriale rivolto agli
intellettuali neocon, intitolato significativamente C’mon in, the water is fine (Venite,
l’acqua è buona).
9
Cfr. http://www.wpunj.edu/~newpol/issue17/steinb17.htm
10
[Rocca, 76-77]
11
Cfr. http://www.commentarymagazine.com/Summaries/V51I6P6-1.htm
12
Non tutti presero subito sul serio il consiglio della rivista diretta da Bill Buckley, ma
uno lo fece. Irving Kristol, che nel 1972 votò per Richard Nixon, mentre gli altri neocon
appoggiarono il liberal pacifista George McGovern.
13
1.3. La nuova generazione neocon
Negli anni Settanta intanto si affaccia al mondo della politica la seconda generazione di
neocon, rappresentata al meglio, se non altro per la diretta parentela con il godfather
riconosciuto del movimento, da William Kristol, figlio di Irving.
1.3.1. Lo staff di Henry “Scoop” Jackson
I “nuovi” neocon si raccolgono principalmente attorno al senatore democratico (e feroce
anticomunista) Henry M. Jackson, detto “Scoop”, presidente del Senate Armed Service
Committee e noto anche come il “senatore della Boeing”.
12
Lo staff di Jackson formò la Coalition for a Democratic Majority (Cdm), una lobby che
si batteva a sostegno di posizioni anti-contenimento e anti-distensione nei confronti
dell’Unione Sovietica e che ha promosso la candidatura di Jackson alle primarie
democratiche del 1972 e del 1976.
Della Cdm facevano parte tra gli altri Richard Perle, Elliott Abrams, James Roche,
Frank J. Gaffney jr. e William Kristol. A metà degli anni Settanta la Cdm strinse
un’alleanza con alcuni esponenti repubblicani, tra i quali Donald Rumsfeld (che
all’epoca era segretario della Difesa di Gerald Ford) e Paul Wolfowitz.
L’alleanza si basava sul sabotaggio della politica pro-contenimento e pro-distensione
del segretario di Stato Henry Kissinger. Jackson fu autore di un provvedimento
(emendamento Jackson-Vanik) che legava gli accordi commerciali con l’Unione
Sovietica alla cooperazione di Mosca nel consentire agli ebrei sovietici di emigrare in
Israele e sostenne l’istituzione (voluta da Rumsfeld) del “Team B”, un gruppo di esperti
di strategia (che comprendeva anche Paul Wolfowitz) che aveva lo scopo di
delegittimare quelli che secondo la loro visione erano i tentativi della Cia e di Kissinger
di convincere governo e opinione pubblica che il potenziale e le intenzioni dell’Urss
non fossero più degne di preoccupazioni eccessive da parte degli Stati Uniti.
13
12
[Lobe e Olivieri (a cura di) 2003, 12]
13
ibidem
14
1.3.2. L’alleanza con Reagan e il passaggio definitivo al Partito Repubblicano
Alle elezioni del 1976 fu Jimmy Carter in persona a chiedere ai neocon l’appoggio alla
sua candidatura, promettendo posti chiave nel governo. Ma, ad elezione acquisita, solo
Paul Wolfowitz trovò un posto come vice assistente del segretario della Difesa, e,
soprattutto, Carter si rivelò essere tutto il contrario di quello che i neocon avrebbero
voluto, arrivando a dire che l’America aveva finalmente superato la sua “smodata paura
del comunismo”.
14
Così i neocon abbandonarono definitivamente il Partito Democratico: si riorganizzarono
nel Committee on the Present Danger (Cpd, nome mutuato da una lobby anticomunista
degli anni Cinquanta) e si allearono con Ronald Reagan, che divenne membro del Cpd
nel 1979.
Questa volta l’alleanza pagò: Reagan fu eletto presidente nel 1980 e chiamò al governo
ben trentatre membri del Cpd, la maggior parte dei quali proprio a ricoprire ruoli legati
al tema più caro ai neocon: quello della sicurezza nazionale.
Con l’apporto dei neocon l’atteggiamento dell’Amministrazione Reagan si fa più
deciso: messo in soffitta l’appeasement si sceglie di potenziare l’esercito e di attuare la
strategia detta roll-back strategy, mirata al ritiro del nemico dalle zone di maggiore
interesse geopolitico.
Una strategia rafforzata dalla ferma convinzione che non ci sia alternativa al modello di
sviluppo capitalistico americano (There Is No Alternative, o TINA)
15
: un caposaldo del
pensiero neocon, seppur esposto all’epoca in modo certo assai più grossolano di quanto
oggi essi si sforzino di abbellirlo.
14
[Rocca 2003, 79]
15
[Lobe e Olivieri (a cura di) 2003, 15]