-5-
Le attribuzioni basilari in materia ospedaliera furono affidate agli enti
locali. Il successivo passo fondamentale si ebbe con il R.D. 27 luglio 1934,
n.1265, avente ad oggetto il testo unico delle leggi sanitarie, cui fece
seguito il regio decreto 30 settembre 1938, n.1631 (c.d. decreto Petragnani)
che costituì un’autentica pietra miliare. Con esso fu introdotta la prima
disciplina organica della materia ospedaliera. In particolare si ebbe, per la
prima volta, una definizione precisa dell’organizzazione assistenziale
ospedaliera, con la classificazione degli ospedali, oltre che in generali e
specializzati, anche in quattro ulteriori categorie in conformità a parametri
dimensionali. Nel secondo dopoguerra si ebbe un primo importante
intervento del legislatore con la legge 10 maggio 1964, n.336, che fissò le
norme sullo stato giuridico del personale sanitario degli ospedali.
-6-
1.2 LA RIFORMA OSPEDALIERA DEL 1968
Un primo tentativo di razionalizzazione complessiva dell’assistenza
ospedaliera si ebbe con la legge 12 febbraio 1968, n.132 (c.d. legge
Mariotti), recante “Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera”. In un’ottica
squisitamente costituzionale, essa si rese necessaria per porre in essere una
prima, sia pur parziale, attuazione del dettato costituzionale in materia di
tutela della salute. Il primo comma dell’articolo 32 della Costituzione,
enuncia il principio programmatico che individua la salute quale oggetto di
tutela da parte della Repubblica, qualificando contemporaneamente gli
interessi soggettivi nei confronti del bene salute nei termini di fondamentale
diritto dell’individuo e di interesse della collettività. A giudizio di chi
scrive, il legislatore ordinario del 1968 orientò la riforma nell’ottica della
tutela della salute quale interesse collettivo, subordinando ad esso il diritto
soggettivo dell’individuo, capovolgendo la lettera dell’art.32, c. 1°. Tale
linea del legislatore costituzionale prospetta, per la sua concreta attuazione,
un servizio sanitario in cui l’assistenza ospedaliera sia fondata su un
ordinamento sanitario con una forte connotazione pubblicistica.
In effetti, la legge n.132 del 1968 trasformò gli ospedali in enti ospedalieri,
cioè in enti dotati di personalità giuridica pubblica e sottoposti al controllo
del Ministero della sanità e dei suoi organi periferici.
Per quanto concerne gli enti ospedalieri, gli aspetti maggiormente
qualificanti della riforma possono essere tratteggiati nei punti che di seguito
si individuano.
1) Affidamento dell’amministrazione degli enti ospedalieri agli enti
esponenziali della collettività cui prestano assistenza.
-7-
2) Autonomia statutaria: si attribuì al consiglio di amministrazione la
competenza a deliberare lo statuto dell’ente.
3) Riqualificazione (almeno negli intenti) degli ospedali, da istituti
assistenziali ad istituzioni specializzate.
4) Distinzione fra ospedali generalisti e specializzati anche per la
lungodegenza e la post-acuzie.
5) Riorganizzazione della rete ospedaliera sul territorio, con il tramite della
distinzione per bacino d'utenza zonale, provinciale o regionale.
6) Introduzione di strumenti di programmazione cui furono associate
nuove modalità di finanziamento e nuovi criteri amministrativi e
contabili.
In attuazione della legge n.132 del 1968, fecero seguito tre decreti delegati.
- D.p.r. 27 marzo 1969, n.128, disciplinante l’ordinamento interno dei
servizi ospedalieri. Con esso si definì analiticamente l’articolazione
interna degli enti ospedalieri e, innovazione di non poco conto, per la
prima volta furono individuati degli standard assistenziali.
- D.p.r. 27 marzo 1969, n.129, concernente l’ordinamento interno dei
servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero
e cura.
- D.p.r. 27 marzo 1969, n.130, avente ad oggetto lo stato giuridico dei
dipendenti degli enti ospedalieri.
La riforma voluta dal legislatore del 1968 va collocata nel contesto
dell’evoluzione legislativa di quegli anni. Giova senz’altro ricordare che,
quasi contestualmente, si procedette ad avviare fattivamente il processo
attuativo dei precetti costituzionali in tema di decentramento, il cui primo
coronamento fu la nascita delle regioni a statuto ordinario. Nel corso degli
anni Settanta, tale processo condusse al trasferimento alle regioni delle
competenze normative anche in materia ospedaliera.
-8-
Purtroppo, sempre negli anni Settanta, un ampio spettro di elementi
vanificò il grosso potenziale innovativo della riforma posta in essere dal
legislatore del 1968. Fattori che possiamo sintetizzare nell’assenza di una
vera programmazione a tutti i livelli istituzionali e nei gravi deficit di
bilancio che gli enti ospedalieri fecero registrare, unitamente ad una
marcata perdita di credibilità dell’istituzione ospedaliera, anche a causa di
un'efficacia dei trattamenti sanitari percepita come in ribasso da parte della
pubblica opinione. Di guisa che una parte della dottrina “degradò” tale
riforma ospedaliera a mero riordino contingente, in attesa di una riforma di
più ampio respiro. All’epoca tale argomentazione apparve ben fondata, in
quanto basata su un dato fattuale piuttosto consistente, perché con una serie
di interventi normativi, sia a livello centrale che regionale, in pochi anni il
disegno del legislatore del 1968 venne completamente snaturato. Ciò non
toglie che tale tesi, alla luce dei tempi ristretti con cui si stanno
avvicendando le riforme più recenti nella nostra materia, oggi non appare
più condivisibile.
-9-
1.3 L’ISTITUZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
La legge 23 dicembre 1978, n. 833
1
, istitutiva del Servizio sanitario
nazionale, riformando tutta la disciplina della sanità italiana, riordinò anche
l’organizzazione ospedaliera del paese.
Il processo di cambiamento introdotto dalla riforma sanitaria costituì un
momento evolutivo di estrema importanza per tutto il sistema. Sotto il
profilo istituzionale, con la creazione delle unità sanitarie locali, si
individuò una nuova articolazione dello Stato sul territorio, con
l’attribuzione di poteri più pregnanti agli enti locali. Sotto il profilo
strutturale e funzionale si ricompose in un quadro unitario l’intervento
pubblico in materia sanitaria. Il tutto sulla base di due fondamentali
principi: unitarietà del sistema sanitario ed universalità, nel senso che si
intese assicurare la tutela della salute a tutti i cittadini, indistintamente. In
effetti tale legge ha segnato il superamento del pregresso sistema
mutualistico-ospedaliero, connotato da una notevole frammentazione,
oltreché dalla quasi completa assenza di collegamenti fra i diversi livelli
assistenziali.
Nell’ottica costituzionale, con la L. 833/78 si completò il cammino
attuativo del dettato costituzionale di cui all’articolo 32. Se la L.132/68
focalizzò l’attenzione sull’interesse collettivo alla tutela della salute, la
riforma del 1978 costituì la prima completa traduzione a livello di
legislazione ordinaria dei tre principi programmatici consacrati dall’art.32,
comma 1° della Carta costituzionale: “… la salute come fondamentale
diritto dell’individuo… interesse della collettività… cure gratuite agli
indigenti”.
1
Gazzetta ufficiale, 28 dicembre 1978, n. 360, serie ordinaria.
-10-
Nella legge 833/78, l’unico articolo dedicato espressamente alla disciplina
ospedaliera fu il n.17, rubricato “Requisiti e struttura interna degli
ospedali”. Esso recita “Gli stabilimenti ospedalieri sono strutture delle unità
sanitarie locali, dotate dei requisiti minimi di cui all’articolo 19 della L. 12
febbraio 1968, n.132. Le Regioni… disciplinano con legge l’articolazione
dell’ordinamento degli ospedali in dipartimenti…in rapporto alle esigenze
di definiti ambiti territoriali…”.
Il dettato di cui all’art.17 è strettamente coerente con il disegno
complessivo della riforma, che attribuì tutta l’assistenza sanitaria, compresa
quella ospedaliera, alle unità sanitarie locali. Gli ospedali divennero
strutture delle Usl, con il consequenziale superamento degli enti pubblici
ospedalieri. Per la precisione, l’art.17 fissò il criterio della riduzione
dell’ospedale a patrimonio necessario dell’Unità sanitaria locale. Tale
previsione si inserì in un’ottica diversa rispetto alla L.132/68, in antitesi
rispetto al conferimento della personalità giuridica ed in coerenza con la
scelta di porre in essere un collegamento più stretto dell’ospedale con il
servizio sanitario. Conservarono la propria autonomia solo le cliniche
universitarie (art.39), le istituzioni sanitarie riconosciute che erogavano
assistenza pubblica (art.41), gli istituti di ricovero e di cura a carattere
scientifico (art.42) ed i presidi sanitari privati (art.44). L’art.17 prosegue
con la previsione della riserva di legge regionale per quanto concerne la
disciplina inerente all’ordinamento degli ospedali su base dipartimentale. In
previsione di ciò, le regioni dovettero procedere nell’ambito di tre
indicazioni aventi natura di vincoli di principio, inderogabili ex art.117
Cost.:
a) l’integrazione tra divisioni, sezioni e servizi affini e complementari;
-11-
b) l’integrazione delle competenze, anche al fine della valorizzazione del
lavoro di gruppo;
c) il collegamento tra servizi ospedalieri ed extra ospedalieri, in rapporto
alle esigenze degli ambiti territoriali di riferimento.
-12-
1.4 L’ESIGENZA DI RIORDINO DELLA SANITA’ ITALIANA
Se la prima metà degli anni Ottanta fu caratterizzata dai primi frutti della
riforma, la seconda parte del decennio vide progressivamente ingrossarsi le
file dei controriformisti. L’ottimo impianto teorico della riforma del 1978 fu
ben presto in rotta di collisione con le esigenze economico-finanziarie, a
causa dei costi sempre crescenti del Servizio sanitario. Sotto il profilo
normativo ciò si tradusse, dapprima in un rallentamento della fase
concretamente attuativa, successivamente con lo snaturamento dei principi
della riforma, che in effetti non fu mai interamente attuata. Le motivazioni
principali della crisi del sistema introdotto con la L. 833/78 possono
riassumersi nei fattori di seguito indicati.
1) Incremento progressivo dei costi complessivi del Servizio sanitario
nazionale; crescita giudicata, nel tempo, sempre più ingiustificata
dall’opinione pubblica.
2) Scarsa efficienza
1
generale.
3) Efficacia
2
percepita in ribasso dall’opinione pubblica.
4) Indifferenza rispetto ai costi da parte degli attori del Servizio sanitario
nazionale, dovuta alla disciplina di diritto amministrativo dei rapporti
fra i vari soggetti, all’assenza di vincoli finanziari, all’inesistenza di
misure sanzionatorie nell’eventualità di gravi disavanzi di bilancio, al
finanziamento legato alla spesa storica, con il consequenziale innesco di
un meccanismo quasi premiale per le strutture deficitarie.
1-2
“…L’efficacia, intesa come raggiungimento di obiettivi prefissati, può essere scorporata in
almeno… due dimensioni… La prima dimensione, che potremmo definire efficacia a priori, è
quella relativa all’utilizzo di tecnologie efficaci. Una seconda dimensione, definibile come
efficacia a posteriori, è quella della valutazione dei risultati di un sistema di cure in termini di
salute. Questo aspetto è, per sua natura, prioritario rispetto a ragionamenti di efficienza, che
devono essere fatti comunque a parità di efficacia…”. (Organizzazione sanitaria, n. 3/4, 1994,
pagg. 39-40).
-13-
5) Errore strutturale del Servizio sanitario nazionale, laddove l’Usl,
unitamente al monopolio dell’offerta ebbe anche il ruolo di ordinatrice
dei servizi. In altri termini, si configurò un modello autoreferenziale,
cioè con la domanda creata dall’offerta.
6) Incapacità di programmazione. Si consideri che il Piano sanitario
nazionale, previsto dall’art.54 della L. 833/78 a partire dal triennio
1980/1982, in realtà fu varato per la prima volta in relazione al triennio
1994/1997.
Con la legge 15 gennaio 1986, n. 4, recante “Disposizioni transitorie
nell’attesa della riforma istituzionale delle unità sanitarie locali” (c.d. mini-
riforma), il legislatore, in un’ottica di razionalizzazione deliberatamente
transitoria, cercò di porre rimedio alle principali problematiche sopra
evidenziate, in attesa di una riforma complessiva dell’intero Servizio
sanitario nazionale. In particolare, fu tentato un riavvicinamento tra Usl ed
enti locali, ma da tale operazione non sortirono risultati apprezzabili, in
quanto fu modificata esclusivamente la conformazione degli organi interni
delle Usl, lasciando inalterato il quadro organizzativo generale.
La legge 4 aprile 1991, n.111, recante “Norme sulla gestione transitoria
delle unità sanitarie locali” (da taluni indicata quale legge-ponte) introdusse
le tre novità di rilievo che di seguito si riassumono.
1) Accentuazione del ruolo svolto dalle regioni.
2) Sostanziale estromissione degli enti locali dall’organizzazione sanitaria..
3) Immissione nel sistema di alcuni elementi di aziendalizzazione.
-14-
La L. n.111 del 1991, nonostante il limitato respiro temporale, si tradusse in
un passo importante, in quanto riorientò l’intero sistema verso la
regionalizzazione e l’aziendalizzazione.
Fu prevista anche una riorganizzazione della rete ospedaliera che però,
anche a causa della provvisorietà del disegno, non diede risultati
apprezzabili.
-15-
1.5 IL RIASSETTO ISTITUZIONALE DEL SISTEMA SANITARIO
NAZIONALE
Ai sensi dell’art.76 della Carta costituzionale, fu emanata la legge 23
ottobre 1992, n. 421, recante “Delega al Governo per la razionalizzazione e
la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di
previdenza e di finanza territoriale”. Con tale legge, il Governo fu investito
del compito di riordinare contestualmente quattro materie particolarmente
delicate:
1) sanità;
2) pubblico impiego;
3) previdenza;
4) finanza territoriale.
In effetti, la riforma sanitaria introdotta negli anni 1992 e 1993 non può
essere disgiunta dal quadro complessivo tratteggiato dal legislatore della L.
421 del 1992. Dal nostro angolo visuale sono maggiormente pregnanti le
connessioni con la razionalizzazione complessiva della Pubblica
Amministrazione e, in particolare, con il dettato di cui al D.lgs. 3 febbraio
1993, n. 29, con cui si intese riformulare la disciplina del pubblico impiego,
attraverso la graduale introduzione di schemi privatistici (sia pure
reiteratamente dilazionati nel tempo).
Come la riforma sanitaria di cui alla L. 833 del 1978 fu strettamente
connessa al processo di riordino amministrativo di cui, in particolare, al
D.P.R. 616 del 1977, così il riassetto istituzionale della sanità di cui alla L.
421 del 1992 può dirsi intimamente legato al nuovo disegno che vede la
Pubblica Amministrazione agire sempre più con il tramite di schemi di
diritto comune.
-16-
Gli obiettivi fondamentali del legislatore sono pienamente condivisibili,
quanto di ardua realizzazione: essi consistono nel contenimento dei costi, da
attuarsi con la razionalizzazione dell’uso delle risorse, e nella contestuale
tutela dell’efficacia delle prestazioni.
Come la riforma sanitaria nel suo complesso è inserita nel più ampio
panorama riformistico del tempo, allo stesso modo il ridisegno della
disciplina ospedaliera deve essere necessariamente incasellato nell’impianto
riformistico dell’intera sanità. Quest’ultimo, quantomeno nella sua
originaria formulazione letterale, appare decisamente orientato nella
direzione tracciata dalla L.111/91. In altri termini il legislatore della L. 421
del 1992 intese proseguire sulla strada della regionalizzazione, ma in
un’ottica aziendalistica (sia pure sui generis)
1
.
Ad ogni modo, l’art.1 della L. 421/91 sintetizza in diciotto punti, peraltro
con una formulazione abbastanza vaga, i principi e i criteri direttivi a cui
l’Esecutivo dovette attenersi ex art.76 della Carta costituzionale. Di seguito
si indicano, per estratto da tale elenco e ordinati per importanza, i punti
aventi ad oggetto anche la disciplina ospedaliera.
1) Trasferimento alle aziende infraregionali (cioè alle nuove aziende-unità
sanitarie locali) e agli ospedali dotati di personalità giuridica e di
autonomia organizzativa (cioè alle nuove aziende ospedaliere) del
patrimonio mobiliare ed immobiliare già di proprietà dei disciolti enti
ospedalieri e mutualistici (art.1, punto 14).
2) Indicazione degli ospedali di rilievo nazionale, di quelli di alta
specializzazione, dei policlinici universitari e degli ospedali destinati a
centro di riferimento della rete dei servizi di emergenza a livello
regionale (art.1, punto 12).
1
Sulle peculiarità inerenti all’aziendalizzazione della sanità italiana e, in particolare, lombarda,
amplius nel capitolo V.
-17-
3) Introduzione di norme volte, nell’arco di un triennio, alla revisione e al
superamento del regime delle convenzioni (art.1, punto 10).
4) Definizione dei principi relativi ai livelli di assistenza sanitaria uniformi
ed obbligatori (art.1, punto 7).
5) Definizione dei poteri spettanti al direttore generale (art.1 punto 5)
6) Definizione dei poteri spettanti al direttore amministrativo
(art.1, punto 6).
In attuazione della delega, l’Esecutivo emanò il D.L.vo 30 dicembre 1992,
n. 502, recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma
dell’art.1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, che, soprattutto a seguito
della pronuncia della Corte costituzionale n. 355 del 1993, fu
successivamente modificato dal Dlgs. 7 dicembre 1993, n. 517 (da taluni
indicato più brevemente come “decreto correttivo del 502”).
Un’innovazione originale, per il panorama italiano, è condensata nel
principio di separazione tra soggetti acquirenti ed erogatori delle prestazioni
sanitarie. Più precisamente, all’azienda-unità sanitaria locale è attribuito il
ruolo di assicurare ai cittadini l’erogazione delle prestazioni sanitarie,
ovvero il ruolo di acquirente di tali prestazioni dai soggetti erogatori
accreditati. Ne consegue l’eliminazione della disfunzione strutturale del
Servizio sanitario laddove, vigente la riforma di cui alla L. 833/78, l’Usl
ebbe, unitamente al monopolio dell’offerta, anche il ruolo di ordinatrice dei
servizi. Il legislatore degli anni 1992 e 1993 attribuisce alle regioni, con il
tramite delle aziende-Usl, il compito di provvedere all’assistenza
ospedaliera, in conformità al dettato costituzionale, affidando a soggetti
esterni, posti in competizione amministrata, il ruolo di erogatori delle
prestazioni richieste dalla stessa azienda-Usl.
-18-
Con la riforma in esame si ha lo scorporo di alcuni ospedali dalle Usl e la
loro configurazioni quali aziende ospedaliere, aventi personalità giuridica di
diritto pubblico
2
. La nascita della nuova figura dell’azienda ospedaliera è
espressamente prevista dall’art.4, Dlgs. n.502/92. In effetti, con la
configurazione dell’azienda ospedaliera, si determina l’abrogazione
implicita dell’art.17, L. 833/78 che, a sua volta, abolendo l’ente
ospedaliero, aveva incasellato l’ospedale nel patrimonio necessario delle
unità sanitarie locali.
In via generale, per quanto concerne la natura giuridica e gli schemi
organizzativi della nuova azienda ospedaliera, il legislatore degli anni 1992
e 1993 ripercorre la rotta già tracciata con la L. 132 del 1968, ponendosi
quindi in antitesi rispetto alla riforma successiva di cui alla L. 833 del 1978.
Accanto alla previsione di varie tipologie di ospedali-azienda, il decreto
delegato individua il presidio ospedaliero che, seppur dotato di autonomia
economica, finanziaria e contabile, va comunque ascritto al patrimonio
necessario dell’azienda-Usl.
Tutte le tipologie di ospedale, siano esse aziende o presidi di Usl, debbono
uniformare la loro attività, oltre che al principio dell’autonomia economico-
finanziaria, anche alle nuove esigenze di natura aziendalistica che
determinano l’introduzione obbligatoria di strumenti quali i preventivi e
consuntivi per centri di costo, basati sulle prestazioni effettuate. Il quadro si
completa con la previsione dell’obbligo del pareggio di bilancio.
La riforma introduce il principio della piena parificazione fra erogatori
pubblici e privati. Per il conseguimento di tale parità, intesa soprattutto nei
suoi risvolti sostanziali, viene concepito il nuovo istituto
dell’accreditamento
3
.
2
Amplius nel capitolo III.
3
Sull’istituto dell’accreditamento, amplius nel capitolo V.