5
L'approccio parametrico e quello non parametrico sono due tecniche
distinte, che si basano su ipotesi relative alla flessibilità della tecnologia
assolutamente differenti.
L'approccio parametrico, essendo di tipo stocastico, prova a scindere gli
effetti imputabili all'inefficienza, da quelli dovuti all'errore; l'approccio non
parametrico, viceversa, non essendo di tipo stocastico, confonde i due
effetti.
I metodi parametrici, però, non riescono a distinguere gli effetti, ascrivibili
ad un'errata specificazione funzionale da quelli attribuibili all'inefficienza;
mentre i metodi non parametrici non sono influenzati da questo tipo di
errore.
Nell'analisi sono stati considerati dieci settori e per ognuno è stata
stimata una frontiera di produzione stocastica.
Questo tipo di modello implica la specificazione di un termine di errore
con due componenti stocastiche: una, l'errore stocastico, con distribuzione
normale, l'altra, l'inefficienza tecnica, con distribuzione asimmetrica.
Le frontiere stocastiche stimate, in quest'analisi, sono due: nella prima si
ipotizza una distribuzione normale troncata per la componente stocastica,
rappresentante l'inefficienza tecnica, nella seconda, invece, si ipotizza una
distribuzione half-normal.
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Il motivo, per cui sono stati stimati due modelli, è quello di evidenziare
l'eventuale relazione tra la distribuzione di probabilità scelta e i valori di
efficienza tecnica ottenuti.
La tecnica non parametrica impiegata è la DEA, Data Envolopment
Analisys, la cui principale caratteristica è quella di "inviluppare" i dati, vale
a dire determinare una frontiera senza basarsi su funzioni di produzione o
distribuzioni dell'errore predeterminate.
La frontiera di produzione è in gran parte composta da osservazioni
virtuali, ottenute come combinazioni lineari di alcuni produttori efficienti,
effettivamente osservati.
Un grande vantaggio del metodo DEA, ma anche di tutte le altre tecniche
non parametriche, è quello di poter valutare la performance delle imprese,
senza incorrere in problemi di distorsione delle stime, dovuti all'ipotesi dei
rendimenti di scala costanti, come, invece, accade con le tradizionali
tecniche parametriche.
In questa tesi è stato eseguito anche un confronto tra le misure di efficienza
tecnica DEA, basate sull'ipotesi dei rendimenti di scala costanti e quelle
basate sull'ipotesi dei rendimenti di scala variabili, al fine di individuare le
possibili analogie e le possibili differenze.
La tesi è organizzata come segue: nel primo capitolo sono specificate le
definizioni e le misure di efficienza e produttività, due termini utilizzati,
frequentemente, per indicare la performance di un'impresa.
7
Dopo aver distinto il concetto di funzione frontiera da quello di funzione
media, sono, inoltre, illustrate, dettagliatamente, le caratteristiche dei
metodi parametrici e non parametrici, impiegati, abitualmente per la stima
della stessa funzione frontiera.
Nel secondo capitolo sono presentati alcune recenti analisi, presenti sia
nella letteratura italiana, sia in quella straniera, che trattano l'argomento
dell'efficienza nel settore manifatturiero.
Nel terzo ed ultimo capitolo è stata indicata la procedura che ha portato alla
determinazione del panel bilanciato di imprese e dei dati, utilizzati
nell'analisi.
Quest'ultima è stata realizzata con l'ausilio di due software: FRONTIER
Version 4.1 e DEAP (Data Envolopment Analisys Program) Version 2.1.
I software, entrambi realizzati dal professore Tim Coelli, sono serviti,
rispettivamente, per eseguire l'analisi parametrica e quella non parametrica.
Infine, oltre ai risultati relativi all'efficienza tecnica, nell'ultimo paragrafo
sono presentati anche i valori di alcuni indicatori di produttività totale di
Malmquist.
8
CAPITOLO 1
LA MISURA STATISTICA DELLA
PRODUTTIVITÀ E DELL'EFFICIENZA
9
1.1 PRODUTTIVITÀ ED EFFICIENZA: CONCETTI E
DEFINIZIONI
Efficienza e produttività sono termini utilizzati, molto spesso, per indicare
la performance di un'impresa, di un settore produttivo o di un intero sistema
economico.
I diversi metodi di valutazione della produttività e dell'efficienza sono
particolarmente interessanti, perché permettono di analizzare la
performance delle unità produttive e quindi di costruire delle graduatorie.
Nella letteratura economica e statistica, efficienza e produttività sono due
termini utilizzati spesso come sinonimi, in particolare negli studi di
carattere microeconomico, anche se in realtà sono concetti diversi e le
rispettive misure empiriche forniscono informazioni differenti.
La produttività è definita come rapporto tra la quantità del prodotto
ottenuto e la quantità di uno o più input richiesti per la produzione; il
risultato è una misura della capacità dell'unità economica analizzata di
trasformare risorse in prodotti.
Sia a livello microeconomico, sia a livello macroeconomico esiste uno
stretto legame tra fattori produttivi e prodotto, così che a variazioni nella
quantità di input corrispondono variazioni nella quantità di output.
Spesso la variazione percentuale dell'output non coincide con quella dei
fattori produttivi lavoro e capitale, ciò è dovuto alla presenza di numerose
circostanze quali economie di scala, esperienza della forza lavoro, abilità
10
manageriali, complementarietà dei fattori produttivi, economie esterne ed
altre ancora che, intervenendo nel processo produttivo, con diversa
intensità, determinano l'assenza di una rigida proporzione tra l'output e i
due input considerati.
Tutti questi fattori dovrebbero essere considerati dei veri e propri fattori di
input e come tali inseriti nella funzione di produzione, ma
quest'inserimento è di difficile realizzazione, per l'impossibilità di
individuare e misurare tutti i fattori, che intervengono in un processo di
produzione.
Per questo motivo, la produttività è definita da alcuni Autori come il
residuo che otteniamo dopo aver sottratto dalla variazione effettiva
dell'output quella dovuta alla variazione dei soli fattori di input capitale e
lavoro.
L'efficienza, invece, è definita come il grado di aderenza del processo
produttivo ad uno standard di ottimalità, che è rappresentato dalla funzione
di produzione dei processi efficienti, detta anche funzione frontiera.
Una misura del grado di efficienza si ottiene dal rapporto tra l'output del
processo di produzione osservato e l'output che si può ottenere, dato lo
stato attuale della tecnologia, utilizzando la stessa quantità degli input in
modo efficiente.
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I due concetti di efficienza e produttività sono equivalenti solo se la
funzione di produzione che descrive la tecnologia è a rendimenti di scala
costanti.
FIGURA 1.1
Consideriamo come esempio una funzione di produzione a rendimenti
crescenti, come nella figura 1.1, con un solo input e un solo output.
I due processi produttivi A e B presentano un grado di efficienza pari a
uno, perché trovandosi sulla funzione di produzione l'output ottimale
coincide con quello osservato; il grado di produttività invece è diverso,
infatti, il rapporto tra output ed input è pari a 1.5 per il processo A e a 2 per
il processo B.
Considerazioni analoghe valgono nel caso in cui la funzione di produzione
presenta dei rendimenti di scala decrescenti.
A
B
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
12345
INPUT
OUTPUT
12
1.2 LE MISURE DI PRODUTTIVITÀ
Le prime ricerche sulla produttività furono eseguite nel 1920 da Divisia,
che propose dei particolari Numeri Indici; nel ventennio 1950-1970 alcuni
Autori tra cui Solow e Kendrick svolsero una serie di indagini
particolarmente interessanti ed infine negli anni '80 l'attenzione si spostò
sui metodi per aggregare i fattori produttivi e, nel caso di produzione
congiunta, i prodotti.
Nel corso degli anni l'obiettivo dei ricercatori è stato quello di costruire
indici in grado di fornire informazioni sempre più dettagliate sulle
caratteristiche del processo produttivo.
Dal 1960 in poi si formano due gruppi di ricercatori, che perseguono
obiettivi differenti, da un lato ci sono alcuni Autori tra cui Solow e
Diewert, che si occupano di riesaminare gli indici di Divisia, avvalendosi
dei nuovi metodi statistico-applicativi, dall'altro alcuni studiosi tra cui
Nadiri, Griliches e Jorgenson, analizzano gli stretti legami esistenti tra i
metodi di misurazione dei fattori di input ed output e il valore degli indici.
Inizialmente gli indicatori di produttività più utilizzati erano quelli parziali,
ma a causa della scarsa attendibilità dei risultati, spesso inducevano a
considerazioni errate; attualmente gli indicatori più utilizzati sono quelli
globali.
Il primo indice di produttività globale, formulato da Solow nel 1957, è
utilizzato ancora oggi per la sua estrema validità.
13
Solow utilizza una funzione di produzione aggregata in cui i fattori
produttivi sono il lavoro e il capitale e scompone le variazioni di output per
lavoratore attribuibili alle variazioni di capitale da quelle dovute al
progresso tecnico.
Il progresso tecnico dipende dal miglioramento e dall'accumulazione delle
conoscenze tecniche e scientifiche, che si registrano nel tempo e
permettono di incrementare la produzione, anche a parità dei fattori
produttivi impiegati, modificando, così, la forma della funzione di
produzione.
Gli studi empirici di Solow dimostrarono che i sette ottavi della crescita
totale del prodotto dipendevano dal cambiamento tecnico e solo un ottavo
dall'aumento di capitale.
Nel 1961 Kendrick pubblica una ricerca sui trend di produttività americani,
utilizzando una metodologia rimasta punto di riferimento fondamentale per
ogni studio sulla produttività sino alla fine degli anni Sessanta.
Negli anni successivi l'attenzione dei ricercatori si soffermò, soprattutto, sui
metodi di misurazione degli input e dell'output, poiché un'errata
misurazione determinava un'errata valutazione della produttività.
L'analisi, riguardante le difficoltà nella definizione e misurazione dei
fattori, ha rivalutato gli indici di Divisia, che, poiché soddisfano numerose
proprietà tra cui l'invarianza, sono consigliabili per effettuare delle analisi
in diversi campi di applicazione.
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Oggi, utilizzando gli stessi metodi, è possibile analizzare la produttività sia
livello microeconomico, sia a livello macroeconomico: il primo tipo di
analisi consente alle aziende di confrontarsi con le concorrenti, che operano
nello stesso settore, il secondo tipo di analisi permette, invece, di
confrontare i diversi settori dell'economia nazionale ed internazionale.
Riepilogando, la produttività può misurarsi con:
1) gli indici di produttività parziale dei fattori;
2) gli indici di produttività globale o totale dei fattori (PTF).
Gli indici di produttività parziale si ottengono effettuando il rapporto tra
l'output (o un aggregato di output nel caso di produzione congiunta) ed uno
solo dei fattori produttivi, procedendo in questo modo si ottiene la
produttività del lavoro, dei prodotti intermedi, delle materie prime e così
via.
Questa categoria di indici si può suddividere in due gruppi:
1) Indici delle produttività parziali generiche dei fattori, che si ottengono
facendo il rapporto tra il prodotto complessivo e l'input;
2) Indici delle produttività parziali specifiche dei fattori, che mettono in
relazione la quota di prodotto attribuita ad un fattore con la quantità di quel
fattore impiegata nel processo produttivo.
La produttività del lavoro è quella più diffusa sia nelle analisi temporali, sia
in quelle cross-section e in particolare si considera, soprattutto, la
produttività oraria del lavoro.
15
La gran semplicità strutturale degli indici parziali costituisce, allo stesso
tempo, un pregio e un difetto, perché se da un lato comporta una notevole
facilità di calcolo, dall'altro può portare ad un'errata valutazione dei risultati
ottenuti.
Infatti, un aumento dell'indice della produttività parziale del lavoro, molto
spesso, dipende dalla crescente automazione, da un aumento del capitale
disponibile e quindi non può essere, semplicisticamente, imputato solo al
maggiore impegno dei lavoratori.
Gli indici di produttività parziali non permettono di considerare,
contemporaneamente, il contributo alla produzione di tutti i fattori
produttivi e questo problema è tanto più grave quanto più alto è il grado di
sostituzione tra capitale e lavoro.
Da queste considerazioni nasce la necessità di costruire gli indici di
produttività globale o totale dei fattori (PTF), che si ottengono rapportando
il prodotto (o l'insieme dei prodotti, nel caso della produzione congiunta)
all'insieme dei fattori produttivi impiegati.
Gli indici globali permettono di superare gli ostacoli descritti
precedentemente, ma presentano anch'essi delle difficoltà come la scelta
del metodo più adatto per aggregare i diversi input e i diversi output; la
definizione della funzione di produzione, che fornisce la relazione tecnica
tra output ed input; la necessità di individuare le fonti, da cui raccogliere i
dati riguardanti tutti i fattori produttivi e non più solo uno.
16
È necessario individuare e misurare i fattori produttivi sulla base del loro
effettivo utilizzo, cioè in termini di servizi resi.
Se consideriamo il fattore capitale, la sua misurazione è effettuata
considerando il numero di ore in cui le macchine sono utilizzate, anche se
le macchine sono solo una delle componenti del fattore capitale.
Un aspetto fondamentale, per l'esatta interpretazione dei valori assunti dagli
indici di produttività globale, è la conoscenza della funzione di produzione,
che può essere considerata una legge sottostante i diversi indici di
produttività.
L'esatta specificazione della forma funzionale e la bontà delle stime dei
parametri della funzione sono fondamentali per la realizzazione di misure
significative e la scelta della funzione di produzione dipende dal contesto in
cui sì effettua l'analisi.
Fino agli anni '60 la funzione più usata è stata la C.E.S. (Constant Elasticity
of Substitution), sia per le sue proprietà tra cui l'omogeneità, la possibilità
di differenti elasticità per industrie diverse, la presenza, al suo interno,
dell'elasticità di sostituzione fra capitale e lavoro, sia perché include la
Cobb-Douglas come caso particolare.
Essa può scriversi così:
Y = γ [ δK
-ρ
+ (1 - δ)L
-ρ
]
-µ/ρ
dove δ è il parametro da cui dipende la distribuzione del reddito tra i fattori,
γ è il parametro di efficienza, ρ = 1/(b-1) è una trasformazione della
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elasticità di sostituzione: per ρ = -1 l'elasticità di sostituzione è infinita, per
ρ = 0 l'elasticità di sostituzione è pari a uno e la C.E.S. diventa una
Cobb-Douglas a due fattori, per 0 < ρ < 1 l'elasticità di sostituzione è
maggiore di uno.
I limiti di questa funzione sono tre: l'impossibilità di porla in forma lineare,
le difficoltà nella stima a causa dei numerosi parametri, l'impossibilità di
estenderla al caso in cui ci siano più di due input.
L'espressione della Cobb-Douglas è la seguente:
Y = a L
α
K
β
dove a è un parametro di scala, α è l'elasticità della produzione rispetto al
lavoro, β è l'elasticità della produzione rispetto al capitale.
Se consideriamo il logaritmo della funzione avremo:
ln Y = ln a + α ln L + β ln K.
La qualità principale di questa funzione è la sua estrema semplicità, mentre
l'elasticità di sostituzione unitaria e costante tra i fattori è un suo limite.
Dagli anni '70 in poi la funzione di produzione maggiormente utilizzata,
nelle analisi della produttività, è la translog, introdotta da Christensen-
Jorgenson-Lau:
ln Y = ln α
0
+
∑
i
α
i
ln x
i
+
⎟
⎠
⎞
⎜
⎝
⎛
2
1
∑∑
ij
γ
ij
ln X
i
ln X
J.